2021-06-23
Il Vaticano impugna il Concordato e prende a cannonate il ddl Zan
Monsignor Paul Richard Gallagher (Ansa)
Per la prima volta la Santa Sede chiede al governo italiano di modificare un disegno di legge. In quanto quello contro l'omotransfobia violerebbe la libertà di parola e di pensiero. È una grande lezione di laicità.Con una mossa senza precedenti, il Vaticano ha chiesto formalmente al governo italiano di modificare il controverso disegno di legge contro l'omotransfobia, firmato dal deputato del Pd Alessandro Zan e approvato dalla Camera lo scorso novembre. Secondo la segreteria di Stato, alcuni dei contenuti della norma, che è all'esame della commissione Giustizia del Senato, violerebbero l'accordo di revisione del Concordato sottoscritto nel 1984 tra l'allora premier Bettino Craxi e il segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli. Una richiesta del genere non era mai avvenuta, nella lunga storia dei rapporti tra Italia e Santa Sede. In passato era accaduto che i vescovi criticassero leggi in discussione nel Parlamento italiano, in certi casi anche con eccessi d'interventismo: era successo per esempio nel 2007 con il progetto dei Dico, che proponeva il riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Ma dalla firma dei Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929, siglati dal cardinale Pietro Gasparri e da Benito Mussolini (per questo definito «l'uomo della Provvidenza» da Pio XI) e poi inseriti nella Costituzione all'articolo 7, il Vaticano non aveva mai esercitato le facoltà previste dall'accordo o dalle sue successive modificazioni, e non era mai accaduto che la Chiesa intervenisse con tanta forza sull'iter di approvazione di una norma italiana.La mossa della Santa Sede sul progetto di legge Zan in realtà non è di ieri, ma risale allo scorso 17 giugno, come ha svelato il Corriere della Sera: quel giorno monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati della segreteria di Stato, quindi il «ministro degli Esteri» del Papa, ha consegnato all'ambasciatore italiano presso il Vaticano, Pietro Sebastiani, una «nota verbale», che nel lessico diplomatico descrive una comunicazione formale. Quel giorno Gallagher aveva anche chiesto a Sebastiani una riservatezza che, evidentemente, non ha retto oltre una settimana. La nota era stata immediatamente trasmessa alla Farnesina e da questa alla presidenza del Consiglio. Da allora è al vaglio di Palazzo Chigi.Nel documento vengono espresse «in punta di diritto» le preoccupazioni della Santa Sede: «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato», si legge, «riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall'articolo 2, commi 1 e 3 dell'accordo di revisione del Concordato». Queste parti dell'accordo Craxi-Casaroli del 1984 assicurano alla Chiesa «libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica»; e garantiscono «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».Il Vaticano, insomma, nel progetto di legge contro l'omotransfobia presentato dal Pd intravvede rischi concreti: rischi che attengono alla libertà di parola e di pensiero, oltre che di culto, sui quali paradossalmente oggi è la Chiesa a chiedere attenzione, nel silenzio di tanti liberi pensatori laici e liberali. Il Vaticano in particolare sottolinea che, in base al testo in discussione, i cattolici potrebbero rischiare conseguenze giudiziarie nell'esprimere le loro convinzioni, e sottolinea che le scuole cattoliche non potrebbero essere esentate dall'organizzazione della futura «Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia», che con qualche ossessività lessicale l'articolo 5 della legge vorrebbe imporre. Altre parti del progetto poi, sono pericolosamente ambigue. Per esempio l'articolo 4: perché è vero che «fa salve la libera espressione di convincimenti od opinioni» e anche «le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte», ma poi aggiunge che opinioni e idee non devono essere «idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». E chi lo stabilisce? È più che evidente, insomma, il rischio che fondamentali libertà di pensiero e di parola vengano assoggettate alla estemporanea valutazione di un giudice. Ieri Enrico Letta ha confermato il pieno sostegno al ddl Zan, dicendosi pronto però a «guardarne i nodi giuridici»: il segretario del Pd ha quindi implicitamente ammesso che qualche nodo esiste. Sulla sponda opposta, Matteo Salvini ha ringraziato il Vaticano «per il buonsenso». Sempre ieri, fonti della Santa Sede hanno spiegato che l'intervento sul governo italiano ha l'obiettivo «non di bloccare» la norma, ma di «rimodularla in modo che la Chiesa possa continuare a svolgere liberamente la sua azione pastorale, educativa e sociale». Il problema è che modificare la legge in seconda lettura, al Senato, significherebbe farne ripartire l'iter da capo, con un nuovo passaggio alla Camera: il provvedimento probabilmente verrebbe affossato. Che cosa accadrà ora? L'articolo 14 dell'accordo di revisione del Concordato prevede una «commissione paritetica». Ma prima dovrebbe pronunciarsi il governo. E forse anche le Camere.
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)