2025-10-26
Per integrare i sistemi industriali non serve annullare le sovranità
L’Ue non sia un sistema chiuso, semmai un tassello dell’alleanza tra democrazie.L’Ue ha certamente bisogno di più compattezza per facilitare una reazione positiva e competitiva delle sue nazioni al cambio di mondo generato da molteplici discontinuità sul piano geopolitico, (geo)economico, tecnologico/industriale, ambientale, demografico e della ricchezza diffusa socialmente. Ma accelerare la creazione di una Confederazione europea - come più voci di sinistra stanno invocando - che annulli le sovranità nazionali sarebbe un errore perché ne renderebbe più probabile la frammentazione.C’è un altro modello possibile di compattazione dell’Ue a cui nel 2005 ho dato il nome di «Sovranità convergenti e reciprocamente contributive» e da allora continuo periodicamente a studiarlo, con un recente picco di attenzione sia per la priorità di compattazione efficiente dell’Ue sia per contrastare l’emergere di un sovranismo chiuso tanto nelle nazioni quanto nell’Ue stessa. In sintesi, sento di dover riprendere la ricerca di un modello europeo sufficientemente compatto e non de-sovranizzante nonché aperto. La ricerca iniziale con questo obiettivo la feci dal 2000 al 2005 con il prof Paolo Savona, riportata nei libri a due mani Sovranità e ricchezza (Sperling, 2001) e Sovranità e fiducia (Sperling, 2005). L’oggetto era una globalizzazione equilibrata fornendo alle singole nazioni un modo comodo per mantenere nazionalmente produttivi e sostenibili i flussi in entrata e uscita con il mercato internazionale. Al riguardo dell’ambiente europeo, dove la formazione di un mercato unico implicava un conferimento di sovranità delle nazioni a un euroregolatore, studiammo un «ciclo di andata e ritorno della sovranità», dove la nazione cedeva sovranità a un agente europeo, ma questo tornava alla nazione cedente un tipo di sovranità adattiva compatibile con il sistema complessivo, cioè con «il bollino blu». Tale ricerca fu anche spinta dal fatto che l’euro era una moneta zoppicante, perché senza pilastro fiscale integrato capace di bilanciare gli effetti negativi della moneta unica stessa applicata a sistemi economici diversi. Tale ricerca puntava a trovare un’alternativa alla dominanza del criterio tedesco (idealismo monetario suicida, ora parzialmente abbandonato) del tempo, sostenuto da una Francia che tentava di scimmiottarlo senza forza sufficiente, sui programmi di coesione europea in assenza di un centro comune di politica fiscale. Cioè rigore estremo (non nazionalmente adattativo) imposto alle nazioni fino all’impoverimento di massa di alcune, tra cui l’Italia: un euro costruito come un tetto senza i muri. Ma qui è importante sottolineare che Savona e io ci trovammo convergenti sulla dottrina per la creazione di organizzazioni internazionali che fosse centrata sulla nazione e sulla sostenibilità delle regole di composizione: questa per noi era la differenza tra impero (intrinsecamente instabile perché squilibrato) e architettura solida perché equilibrata di convergenza politica ed economica tra nazioni. Da qui sviluppai il modello di «sovranità convergenti e reciprocamente contributive» detto sopra che oggi riprendo come soluzione più efficace per combinare compattezza e sovranità nazionali nel sistema europeo contrapposto a un modello confederale prematuro e quindi esposto a frammentazioni. Come? Sul piano industriale, favorire integrazioni paneuropee, ma anche esterne, che aumentino la scala, la produttività e competitività tecnologica delle aziende per renderle campioni globali con vantaggio territoriale e finanziario di tutti gli attori partecipanti. Per esempio, il recente accordo tra Leonardo, Thales e Airbus per la produzione di sistemi spaziali va bene per Francia, Germania e Italia. Così come è produttivo il programma militare italo-britannico-nipponico per una piattaforma aerea di sesta generazione (Gcap). O quello navale italo-americano e tanti altri in decine di settori, i più importanti quelli delle mini-centrali nucleari a fissione e quello delle centrali a fusione, più remoto. Non serve una federazione per creare un sistema industriale europeo multinazionale integrato con scala capace di competitività globale. Servono invece programmi stimolativi con modello partecipativo di capitale pubblico e privato sia europeo - appunto, nazioni reciprocamente contributive - sia esterno dove è utile.Certo, una convergenza confederale per sostenere la moneta unica con una politica fiscale eurointegrata renderebbe solido l’euro e cancellerebbe i differenziali di affidabilità tra debiti pubblici nazionali (spread). Ma l’esperienza dell’euro ha modificato la teoria delle aree monetarie ottimali mostrando che anche un’architettura sub-ottimale può reggere grazie al consenso contributivo di un gruppo di nazioni. In sintesi, comparando il rischio di una confederalizzazione che non potrebbe soddisfare tutti è preferibile mantenere un modello europeo sub-ottimale, ma più flessibile e pragmatico dove le nazioni hanno più libertà di auto-aggiustamento. Poi nel tempo potrà esserci una confederalizzazione non imperiale basata sull’omogeneità delle parti del sistema.Sul punto però inserirei un ulteriore tema di ricerca: quali sono i confini potenziali dell’integrazione europea? Da Lisbona a Vladivostok? L’integrazione del G7 con metamoneta integrata basata su cambi convergenti delle monete nazionali? Altro? Secondo me è geoeconomicamente utile che l’Ue resti aperta a ulteriori integrazioni nel mondo piuttosto che strutturarsi come una piccola supernazione instabile con poco più di 450 milioni di abitanti. A chi voglia criticarmi offro un bersaglio: io perseguo l’alleanza globale delle democrazie e trovo utile l’Ue se ne fosse un passo, ma inutile e pericolosa se divenisse una nazione chiusa. Risponderò volentieri. www.carlopelanda.com
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)