2021-06-23
Nel Regno della variante delta si muore di Covid meno che da noi
Panico per il boom di contagi oltremanica. Ma Londra fa molti più tamponi di altri, e la campagna vaccinale funziona: ricoveri e vittime sotto controllo. Berlino però insiste: vuole levare a Johnson la finale degli Europei.Lo zoologo Daszak ricusato dalla commissione di «Lancet» che indaga sul patogeno. Per lui i sospetti su Wuhan sono «complotti». Peccato che ora li abbia anche Biden.Lo speciale contiene due articoli.E' una preoccupazione significativa quella che si registra per la diffusione della variante delta. Questo ceppo si distingue per una maggiore contagiosità e, nel nostro Paese, è finito al centro dell'attenzione soprattutto dopo che ieri è ststo scoperto un focolaio tra Piacenza e Cremona. Ad esserne colpito è stato, negli ultimi tempi, specialmente il Regno Unito che ha visto una recente crescita dei contagi. Ieri, i nuovi casi oltremanica sono stati 11.625: il dato più alto da metà febbraio e in aumento rispetto al giorno precedente. Si tratta di una cifra che, tra l'altro, supera di gran lunga gli 835 nuovi contagi registratisi - sempre ieri - nel nostro Paese. Un fattore, questo, che ha spinto molti a considerare la situazione sanitaria britannica come fortemente preoccupante: soprattutto nel confronto con l'Italia. Ora, è naturale che questa variante costituisca una fonte di inquietudine. Ed è indubbiamente necessario tenere alta la guardia, soprattutto in termini di sequenziamento, senza sottovalutare alcun rischio. È comunque al contempo importante non lasciarsi travolgere dal panico e ricondurre il problema - per quanto serio - alle sue giuste proporzioni. Se è sbagliato minimizzare i pericoli di questa variante, è altrettanto sbagliato effettuare comparazioni basate sui soli dati afferenti ai contagi. Se infatti ci fermiamo a tale semplicistico confronto, la situazione britannica può apparire addirittura catastrofica. Eppure sarebbe forse più corretto integrare a queste cifre anche altri dati di significativa rilevanza. Prendiamo innanzitutto in considerazione il numero dei tamponi effettuati. Ieri, i test condotti nel Regno Unito sono stati 1.019.739, laddove il numero di quelli condotti lo stesso giorno nel nostro Paese si è rivelato considerevolmente più basso, attestandosi a 192.882. Una differenza notevole che potrebbe (almeno in parte) spiegare la forte diversità registratasi tra Italia e Regno Unito sui contagi. In secondo luogo, vale la pena di soffermarsi sull'ospedalizzazione. Da una parte è vero che il trend d'oltremanica non è troppo incoraggiante: dalla metà di maggio alla metà di giugno, i cittadini britannici ricoverati sono raddoppiati, da circa 100 a circa 200. Dall'altra parte, il dato diffuso ieri di 225 ospedalizzati è ben distante dal picco di oltre 4.000 ravvisato nel mese di gennaio. Interessante anche il dato delle terapie intensive: sono 227 quelle attualmente registrate nel Regno Unito a fronte delle 362 italiane (che comunque sono in calo). In tutto questo, se anche passiamo ai decessi, scopriremo come - almeno per il momento - la situazione britannica sia meno apocalittica di quanto possa apparire a prima vista. Ieri nel Regno Unito sono state registrate 27 vittime: un dato sicuramente più alto rispetto ai giorni precedenti, ma più basso di quello italiano (31) e soprattutto ben lontano dagli oltre 1.200 decessi verificatisi in Gran Bretagna lo scorso gennaio. Insomma, pur con tutte le dovute cautele del caso, è chiaro che - almeno per ora - i numeri d'oltremanica non consentono atteggiamenti allarmistici. E, in questo senso, un (prudente) ottimismo è stato espresso anche dal ministro della Salute britannico, Matt Hancock, secondo il quale il numero dei ricoveri segue una progressione «meno veloce» e quello dei decessi risulta mediamente «molto basso». «Dobbiamo rimanere vigili e osservare i dati in particolare dalla prossima settimana», ha precisato, aggiungendo infine che la campagna di vaccinazione si sta rivelando «efficace» anche contro la variante delta. Ricordiamo che il Regno Unito risulta al momento, secondo il tracciamento del New York Times, l'ottavo Paese al mondo per quanto riguarda l'avanzamento della campagna vaccinale. La questione rischia tra l'altro di avere dei risvolti calcistici (e inevitabilmente politici). Il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, avevano infatti espresso l'altro ieri preoccupazioni sanitarie per le semifinali e la finale degli Europei, che dovrebbero tenersi nello stadio di Wembley a Londra. Preoccupazioni tuttavia non condivise dal governo britannico. «La finale degli Europei si svolgerà a Wembley», ha dichiarato lo stesso Hancock. Una posizione che ha incassato ieri l'appoggio della Uefa. «La Uefa», recita in tal senso un comunicato, «la federazione inglese e le autorità inglesi stanno lavorando a stretto contatto con successo per organizzare le semifinali e la finale degli Europei a Wembley e non ci sono piani per cambiare la sede di quelle partite». Questa linea non ha convinto tuttavia la Merkel, che ha dichiarato: «La Gran Bretagna è una zona a rischio variante del virus. Io credo, anzi non credo, spero che la Uefa agisca in modo responsabile. Non troverei positivo che ci fossero stadi pieni lì». Gli strascichi del post Brexit insomma non accennano a placarsi. E lo stadio di Wembley rischia adesso di finire al centro di un nuovo braccio di ferro tra Londra e Bruxelles. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/variante-delta-covid-2653494422.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cacciato-lesperto-pro-cina-delloms" data-post-id="2653494422" data-published-at="1624392940" data-use-pagination="False"> Cacciato l’esperto pro Cina dell’Oms Ai lettori della Verità il nome di Peter Daszak, zoologo britannico a capo della statunitense EcoHealth alliance, non suonerà nuovo. Nel febbraio dell'anno scorso compariva tra i firmatari di un comunicato pubblicato dalla rivista Lancet in cui alcuni esperti condannavano fermamente le teorie su una possibile origine non naturale del Covid-19. Quattro mesi dopo, a giugno, pubblicò un articolo sul Guardian in cui definiva «teoria del complotto» l'ipotesi del virus manipolato o sfuggito dall'Istituto di virologia di Wuhan. È lo stesso centro in cui negli anni sono stati svolti studi sul coronavirus, finanziati dalla EcoHealth alliance, Ong newyorchese di cui è presidente. Ed è lo stesso istituto in cui Daszak ha lavorato in passato, fianco a fianco con Shi Zhengli, virologa cinese dell'Istituto di Wuhan, nota come batwoman cinese per aver raccolto oltre 15.000 campioni di virus da pipistrelli, colei che nei giorni scorsi ha rilasciato una breve dichiarazione al New York Times definendo infondate tutte le accuse occidentali contro il suo laboratorio. Laboratorio dove, nel 2017, come dimostrato dalle immagini diffuse la scorsa settimana dall'emittente tv Sky News Australia, venivano tenuti pipistrelli in gabbia. E chi è che nel dicembre scorso su Twitter tornava a definire quella una «teoria del complotto» e affermava che nell'Istituto di virologia di Wuhan «non ci sono pipistrelli, né vivi né morti» salvo poi cambiare idea? Esatto, proprio lui: Peter Daszak. Che soltanto pochi giorni fa ha ammesso che l'Istituto potrebbe aver ospitato pipistrelli. Ma lui, membro del team dell'Oms che a inizio 2021 viaggiò in Cina alla ricerca delle origini del Covid-19, non l'ha mai chiesto, ha aggiunto. Ieri navigando sul sito della commissione sul Covid-19 della rivista Lancet, sostenuta dalle Nazioni Unite tramite il suo Sustainable development solutions network, alcuni giornali anglofoni hanno notato qualcosa di strano. Sotto al nome di Daszak, uno dei 28 esperti coinvolti, si legge: «Ricusato dal lavoro della Commissione sulle origini della pandemia». In una nota, la commissione ha dichiarato che «analizzerà attentamente l'origine del virus Sars-Cov-2 prima del suo rapporto finale, con l'obiettivo prioritario di raccomandare politiche per prevenire e contenere futuri focolai di malattie infettive». Nessuna spiegazione fornita per il passo indietro di Daszak. Nel comunicato, però, appare chiaro il tentativo di tenersi alla larga dalle eventuali ripercussioni internazionali di conclusioni che potrebbero risultare sgradite alla Cina. Perfino Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms, la cui voce nei primi mesi della pandemia è apparsa flebile contro Pechino, ha recentemente spiegato che tutte le ipotesi rimangono sul tavolo e ha chiesto indagini più approfondite. Anche perché le indagini di inizio anno non hanno potuto contare su un pieno accesso ai dati e ai luoghi, negato dalle autorità cinesi. «Mi aspetto che i futuri studi includano una condivisione dei dati più tempestiva e completa», aveva dichiarato Ghebreyesus. Il mese scorso il presidente statunitense Joe Biden ha chiesto all'intelligence di raddoppiare gli sforzi di indagine sull'origine della pandemia, comprendendo anche l'ipotesi di una fuga da laboratorio. Anche Anthony Fauci, direttore dell'Istituto nazionale di malattie infettive e consigliere della Casa Bianca sul Covid-19, ha affermato di non essere convinto che il coronavirus si sia sviluppato per vie naturali. E forse non è un caso il passo indietro di Daszak dopo le polemiche sui suoi possibili conflitti d'interesse e il recente pressing statunitense per appurare la verità.
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