2018-08-25
Vaccinazioni, assunzioni e sicurezza prima dell’inizio, scuola già nel caos
Il 5 settembre suona la campanella nelle aule bolzanine, poi tocca alle altre regioni. Avvio d'anno difficile tra obblighi flessibili, corsi non fatti ed edifici a rischio. Per 8 milioni di studenti parte il valzer dei supplenti.Condannato il ministero che voleva chiudere quattro plessi scolastici basandosi sulla violazione di una norma abrogata.Lo speciale contiene due articoli.Presidi che mancano, assunzioni in ritardo, la metà degli edifici dove i ragazzi studiano da mettere in sicurezza. E poi, naturalmente, quell'obbligo vaccinale che il governo di Giuseppe Conte intende trasformare in «obbligo flessibile» e che lascia ancora nel limbo migliaia di famiglie. Manca ormai una manciata di giorni all'inizio del nuovo anno scolastico, che verrà ricordato come uno dei più difficili degli ultimi tempi. I primi a tornare sui banchi saranno gli alunni della provincia autonoma di Bolzano, per i quali la campanella suonerà il 5 settembre. Si parte invece cinque giorni dopo in Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Basilicata e Abruzzo. Da segnare sul calendario è il 12 settembre per gli alunni di Campania, Sicilia, Valle d'Aosta, Veneto, Lombardia, Umbria e provincia autonoma di Trento. Che precedono di un giorno quelli del Molise. Al via il 17 settembre la scuola per Marche, Toscana, Lazio, Sardegna, Emilia Romagna, Calabria e Liguria. Gli ultimi saranno gli alunni pugliesi, per i quali l'inizio delle lezioni è stato fissato per il 20 settembre. Insomma, manca ormai davvero poco per i circa 8 milioni di studenti del nostro Paese. Ma la scuola, quest'anno più che mai, sembra non essere pronta per accoglierli. Sono due le incognite che, su tutte, rischiano di trasformare l'avvio dell'anno scolastico in una difficile corsa a ostacoli: il caos vaccini e quello delle nuove assunzioni.In queste settimane migliaia di presidi e genitori sono alle prese con un rebus: i bambini che al primo giorno di scuola non presenteranno il certificato vaccinale potranno entrare in classe? Per il momento fra i dirigenti sembra prevalere la linea dura: «Allo stato delle cose, se non verrà presentato all'inizio dell'anno scolastico il certificato di avvenuta vaccinazione della Asl, non potremo permettere la frequenza dei bimbi a scuola, a nidi e materne». Insomma, per loro vale ancora quanto stabilito dalla legge dell'ex ministro Beatrice Lorenzin. In attesa che venga approvato l'11 settembre alla Camera il decreto milleproroghe che rinvia di un anno l'obbligo dei vaccini per l'iscrizione a materne e nidi. Insomma, se il nuovo governo non dovesse intervenire entro l'inizio del nuovo anno scolastico i bambini da zero a 6 anni senza le dieci vaccinazioni obbligatorie (polio, difterite, tetano, epatite b, pertosse, haemophilus influenzae di tipo b; morbillo, rosolia, parotite e varicella) resteranno fuori dai nidi e dalle materne fino all'ottemperamento dell'obbligo. Gli studenti da 6 a 16 anni potranno invece entrare, ma alle loro famiglie saranno elevate multe da 100 a 500 euro. Ma su questo scenario grava un'altra incognita, ovvero l'autocertificazione. Una misura già prevista dalla legge Lorenzin, prorogata da una circolare emessa dal nuovo ministro della Salute, Giulia Grillo, ma contestata dai dirigenti scolastici. Insomma, al momento a essere certi dell'inizio della scuola sono solo i genitori in possesso del certificato. Per tutti gli altri è ancora il caos a regnare sovrano.Il secondo grande nodo riguarda le nuove assunzioni, già autorizzate ma ancora in pesante ritardo. Per questo molti studenti potrebbero veder arrivare un supplente al posto del docente di ruolo. La questione potrebbe infatti non sbloccarsi in tempo: benché gli uffici scolastici regionali abbiano dato il via libera ai nuovi insegnanti, molti di loro non hanno ancora completato i percorsi Fit, ovvero la formazione iniziale e tirocinio. Quindi non sono pronti né hanno i requisiti per salire in cattedra. E i problemi non finiscono qui, perché procede a singhiozzo anche la regolarizzazione degli insegnanti a tempo indeterminato. Ovvero l'immissione in ruolo dei vincitori del concorso 2016 e anche dei partecipanti ai Fit, cioè i docenti abilitati della scuola secondaria inferiore e superiore che sostengono il concorso non selettivo. In diverse regioni le procedure stanno andando a rilento per mancanza di personale. Se la situazione non si dovesse sbloccare entro il 31 agosto, le cattedre disponibili potrebbero essere coperte ancora una volta da supplenti annuali.Sicurezza che mancaSpecialmente dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, l'attenzione del governo è dedicata alla sicurezza degli edifici scolastici. In Italia c'è un patrimonio edilizio scolastico composto da circa 40.000 istituti che fa capo agli enti locali. In gran parte si tratta di edifici costruiti prima del 1970. Di questi, quasi il 40% non possiede il certificato di collaudo statico, più del 50% non ha quello di agibilità/abitabilità e di prevenzione incendi. Il ministro dell'Istruzione, Marco Bussetti, ha intenzione di partire subito: «Ancora prima della tragica vicenda di Genova, avevamo già stanziato 7 miliardi per la messa a norma degli edifici scolastici: li ho trovati e adesso li stiamo utilizzando. Dobbiamo innanzitutto mettere a norma gli edifici scolastici, con il documento valutazione dei rischi e la certificazione degli impianti elettrici e termici in maniera che siano sicuri. Questo deve essere il primo passo. Abbiamo scovato le risorse e saranno le prime; poi ne verranno altre».Su un inizio anno già complicato grava infine un'altra tegola: l'assenza di un numero adeguato di dirigenti scolastici. Secondo il sindacato Udir, il primo settembre una scuola su quattro potrebbe riaprire senza il preside. Si tratta in totale di circa 2.000 istituti. I casi più eclatanti sono segnalati in Sardegna e Friuli Venezia Giulia dove sarà in servizio solo il 60% dei dirigenti. Da parte sua, il sindacato ribadisce che «la soluzione deve essere tempestiva: bisogna semplificare le procedure di selezione e formazione del nuovo concorso in atto e, inoltre, è necessario riaprire una procedura riservata ai ricorrenti del 2011, per evitare l'annullamento del corso riservato svoltosi nel 2015, quando si pronuncerà la Consulta in autunno sulla Buona Scuola». Insomma, i problemi da affrontare sono moltissimi. Come ammette lo stesso ministro Bussetti: «Dobbiamo rivedere tutto un sistema che in questo momento ha tante posizioni da chiarire. Sono in arrivo nuovi concorsi, sia per il reclutamento degli insegnanti sia per l'assunzione del personale amministrativo. Noi ce la stiamo mettendo tutta».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vaccinazioni-assunzioni-e-sicurezza-prima-dellinizio-scuola-gia-nel-caos-2598737960.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stato-non-conosce-la-sua-stessa-legge-sugli-istituti-paritari-e-paghera-i-danni" data-post-id="2598737960" data-published-at="1757769613" data-use-pagination="False"> Lo Stato non conosce la sua stessa legge sugli istituti paritari e pagherà i danni L'Ufficio scolastico della Lombardia, con un provvedimento del 2015, ha provato a revocargli la parità scolastica. Un articolo del febbraio 2016 del Corriere della Sera li ha aveva definiti «diplomifici» avviati «verso la chiusura» in conseguenza dei «blitz degli ispettori del ministero». Eppure, alla fine, i 16 istituti coinvolti nella vicenda, suddivisi in 4 plessi scolastici tra Milano, Como, Magenta e Pavia, hanno visto riconoscere le loro ragioni e, insieme, il loro diritto a continuare l'attività di scuole paritarie. A stabilirlo, la magistratura che, con quattro sentenze del Tar della Lombardia a cui ha fatto seguito il definitivo pronunciamento del Consiglio di Stato, da poco passato in giudicato, ha condannato il ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, ingiungendo allo stesso il pagamento delle spese processuali sostenute dalla Leonardo da Vinci srl, società cui queste scuole fanno riferimento. Ma come e da cosa è originata questa storia al termine della quale lo Stato, ancora una volta, non ha rimediato esattamente una bella figura? In sintesi, tutto ha avuto inizio qualche anno fa con dei blitz degli ispettori del ministero effettuati in diversi istituti superiori, fra cui quelli della Leonardo da Vinci. Controlli che avrebbero rilevato tutta una serie di irregolarità in ordine alla gestione scrutini, agli esami, alle iscrizioni da altre scuole nonché al passaggio di un indirizzo all'altro da parte degli studenti. In realtà, come si è poi avuto modo di appurare, la sola cosa irrituale, allora, furono le modalità di quelle verifiche, con le comunicazioni inerenti le visite ispettive inviate a ispezioni già avviate, a dispetto del fatto che gli incarichi fossero stati conferiti giorni prima. Ad ogni modo, le iniziali risultanze ispettive furono ritenute tante e tali da far emanare ben quattro decreti da parte dell'Ufficio scolastico regionale della Lombardia, datati 29 dicembre 2015, tutti volti a revocare ad altrettanti plessi scolastici la fino ad allora riconosciuta parità scolastica. Tradotto dal burocratese, secondo il Ministero quelle scuole avrebbero sostanzialmente dovuto chiudere i battenti, con gli immaginabili disagi per gli studenti i quali si sarebbero dovuti arrangiare, insieme alle loro famiglie, a trovare al volo nuovi istituti cui iscriversi. Per difendere le proprie ragioni la Leonardo da Vinci, che ha alle spalle un'esperienza che dura dal 1966, non ha così avuto altra via che quella processuale, nell'ambito della quale lo scenario iniziale è decisamente mutato. Una volta che la palla è passata alla magistratura, sono infatti emersi elementi che né le iniziali ispezioni né gli articoli di stampa al riguardo, non sempre equilibratissimi, avevano messo in luce. E che sono stati definitivamente confermate da una sentenza del Consiglio di Stato pubblicata il 21 marzo scorso con cui i giudici, tanto per cominciare, hanno sottolineato che «le deduzioni relative alla gestione scrutini, esami e iscrizioni da altre scuole sono prive della esatta individuazione delle condotte contestate e delle norme violate». In altre parole, la gran parte delle irregolarità rilevate negli istituti della Leonardo da Vinci, semplicemente, tali non erano. Il bello, si fa per dire, si riscontra leggendo cosa la magistratura ha rimarcato rispetto al passaggio di un indirizzo all'altro da parte degli studenti, che le ispezioni avevano censurato parificandole un passaggio di classe, da un anno all'altro. «L'assunto da cui muove l'Amministrazione», ha puntualizzato al riguardo il Consiglio di Stato, «che vorrebbe identificare i passaggi orizzontali fra diversi tipi e indirizzi di studio con gli esami di promozione e idoneità (che riguardano il passaggio da una classe inferiore a una superiore), si scontra altresì con l'abrogazione - disposta dall'articolo 31 comma 2, del citato decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 - dell'articolo 192 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297». L'Ufficio scolastico della Lombardia, il ministero dell'Istruzione, insomma lo Stato, ha cioè dimostrato di non conoscere la legge, rilevando la violazione di una norma abrogata, non più in vigore. Non si trattasse di materia giudiziaria e dunque inevitabilmente seria, verrebbe da ridere. Tanto più che i passaggi orizzontali contestati alle scuole lombarde come passibili di revoca della parità sono sempre regolarmente avvenuti in istituti analoghi, per esempio nel vicino Piemonte, senza che nessuno abbia mai avuto alcunché da obiettare. In questo modo la Leonardo da Vinci, incassati i successi al Tar, l'ha spuntata anche col Consiglio di Stato. «Siamo molto contenti che le nostre ragioni siano state definitivamente riconosciute», dichiara alla Verità Giovanni Previde Prato, rappresentante della società, «e lo siamo in particolare per le famiglie dei nostri studenti». Già, gli studenti. Un aspetto che vale la pena puntualizzare dal momento che tutta questa storia non è stata indolore per le scuole lombarde, che si sono ritrovate a fare i conti, sottolinea Prato, con 200 iscrizioni in meno, in pratica la riduzione di un terzo della popolazione scolastica. Danni, questi, per i quali alla Leonardo da Vinci ora sono intenzionati a chiedere un risarcimento di milioni di euro. Comunque andrà a finire, resta tuttavia l'amarezza per una vicenda evitabile, che oltre alla magra figura avrebbe fatto risparmiare allo stesso Stato spese significative.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)