2025-10-05
Ursula promette quasi 2 miliardi a Elkann
lUrsula von der Leyen (Ansa)
Il presidente della Commissione, ospite alla Tech Week di Torino, strizza l’occhio al patron di Stellantis sui veicoli elettrici: «L’Ue ha un piano d’azione per l’automotive, dalle batterie ai costi più accessibili». Progetto però ancora sconosciuto pure a Bruxelles.Ursula von der Leyen non molla. Quando parla del Green Deal, lo fa con lo sguardo di chi ha visto la luce. Elettrica, naturalmente. Nulla la scalfisce: né i conti in rosso dei costruttori, né i piazzali pieni di auto invendute, né le fabbriche ferme. La transizione verde resta una crociata. E come ogni crociata, si combatte anche quando il deserto avanza e i cavalli muoiono di sete.Così, mentre il mondo reale arranca, Bruxelles continua a predicare la fede ecologica. Anzi, a finanziarla. E che importa se i clienti non comprano le auto elettriche o, quando lo fanno, preferiscono quelle cinesi? Che importa se gli operai di Mirafiori si ritrovano a casa con la cassa integrazione? Se i concessionari non sanno più dove parcheggiarle, le benedette 500 elettriche? Ursula non si arrende: promette quasi 2 miliardi a John Elkann per sostenere la «transizione», parola magica che ormai serve a coprire qualsiasi buco, anche quelli che si spalancano sotto le ruote di un’industria che non sa dove andare.Ursula von der Leyen, dopo aver definito «ottimo», l’incontro con il presidente di Stellantis e Ferrari, John Elkann alla «Tech week» che si svolge a Torino, scrive su X. Annuncia «un piano d’azione per l’industria automobilistica». Offre un pacchetto da 1,8 miliardi di euro per potenziare la produzione di batterie a un programma per veicoli elettrici accessibili, con «l’obiettivo di ridurre i costi e incrementare la produzione in Europa».Un tentativo di rianimare un malato grave. Le vendite di auto elettriche nell’Unione europea sono lontanissime dalle vette immaginate dai pianificatori di Bruxelles. Le uniche auto a batterie che incontrano un certo successo sono quelle cinesi. Non a caso Byd ha raggiunto a settembre il 2% del mercato italiano. Il rischio che corre la Ue è quello di incentivare l’acquisto delle auto che arrivano da Pechino. A Mirafiori, infatti, la produzione della 500e è stata sospesa per l’ennesima volta: troppe auto ferme, troppi clienti che non arrivano, troppa energia sprecata a inseguire una rivoluzione che non decolla.Ma Ursula tira dritto, fedele alla linea: «Più incentivi, più vincoli, più norme». È il suo paradigma. Ogni volta che l’industria chiede tempo, lei risponde con una nuova scadenza. Ogni volta che i costruttori domandano libertà di mercato, Bruxelles impone limiti, sanzioni, obiettivi sempre più severi. Come se la decarbonizzazione fosse una questione di calendario, non di tecnologia.In questo scenario surreale, la voce della ragione è arrivata nei mesi scorsi proprio da chi, in teoria, avrebbe più da perdere, considerata la generosità delle casse europee. Ola Källenius, amministratore delegato di Mercedes-Benz e nuovo presidente dell’Associazione europea dei costruttori d’auto (Acea), ha deciso di rompere il silenzio e all’inizio dell’anno ha scritto una lettera che suona come una carezza e uno schiaffo insieme.Scriveva Källenius: «Serve un percorso realistico per la decarbonizzazione, guidato dal mercato e non dalle sanzioni». Realistico: parola dimenticata a Bruxelles. Il bello (si fa per dire) è che il piano europeo per l’auto elettrica di cui Ursula ha parlato con Elkann non esiste ancora. Lo aspettano tutti, ma nessuno l’ha visto. Gli unici a esserne sicuri sono gli uffici della Commissione, dove già si parla di «nuove sfide, nuovi orizzonti, nuovi obiettivi». Tutto nuovo, tranne una cosa: il disastro. Quello è già annunciato. Alla fine, la morale è semplice. L’Europa continua a scambiare la virtù per virtuosismo, la strategia per ideologia, l’industria per un laboratorio di ingegneria sociale. Ma l’economia non si governa con le buone intenzioni, e la transizione non si fa a colpi di regolamenti. Si fa con tecnologia, con mercato, e con la capacità di capire quando è il momento di fermarsi.Nel frattempo, Von der Leyen continua a distribuire miliardi come se fossero caramelle. A Elkann, quasi due miliardi; a chiunque voglia promettere un’auto elettrica che forse, un giorno, si venderà davvero. È il solito gioco dei fondi pubblici: chi urla di più, incassa di più. E chi resta in silenzio - come gli operai che aspettano la riapertura di Mirafiori - non riceve nemmeno una ricarica. Von der Leyen, invece, corre. O meglio, si ricarica. E mentre l’elettricità scorre nei suoi discorsi, i cavi dell’industria restano scoperti. Forse, prima o poi, qualcuno dovrà staccare la spina. Dopotutto, anche la fede verde, come le batterie, ha una durata limitata.