La sostituzione delle vetrate di Notre-Dame «s’ha da fare», lo ha deciso Emmanuel Macron. E così, da ieri, è possibile vedere il modello a grandezza naturale delle sei future vetrate realizzate dall’artista Claire Tabouret. Le opere sono esposte al Grand Palais sugli Champs Elysées.
Macron cerca di ottenere un po’ di visibilità visto che, in patria, è apprezzato solo dall’11% dei suoi concittadini e, all’estero, pare non imbroccarne una. D’altra parte, la visibilità offerta da quello che è uno dei più famosi monumenti del mondo non ha prezzo. Lo si è visto un anno fa, in occasione della riapertura della cattedrale. In quell’occasione, Macron aveva accolto in pompa magna, e a favor di telecamere, i grandi della Terra e aveva benedetto un concerto con varie star internazionali, che aveva come sfondo la facciata gotica della madre di tutte le chiese parigine.
Ma la voglia di modernità a Notre-Dame non è un pallino presidenziale recente visto che, fin dai primi giorni dopo l’incendio che ha distrutto la cattedrale parigina, Macron ha fatto e sbrigato pur di lasciare una sua impronta nella famosissima chiesa, a futura memoria.
Già il 5 maggio 2019 però, contro Macron c’era stata una levata di scudi da circa 1.000 docenti universitari, architetti ed esperti di restauro che gli avevano rivolto un appello, in una tribuna pubblicata da Le Figaro. Questo perché, mentre fumavano ancora le ceneri di Notre-Dame, Macron aveva già auspicato un «gesto architettonico contemporaneo» per la nuova guglia che sarebbe stata costruita al posto di quella, ideata dall’architetto Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc, in occasione del restauro della cattedrale parigina, avvenuto a partire dal 1843. Fortunatamente per Notre-Dame, alla fine il presidente francese aveva mollato la presa. Tuttavia, a calmare la voglia di modernità dell’inquilino dell’Eliseo non è riuscita nemmeno la legge approvata dal Parlamento transalpino il 29 luglio 2019 intitolata «Per la conservazione e il restauro della cattedrale Notre-Dame di Parigi», ma anche l’istituzione di «una sottoscrizione popolare per questo scopo». Che tradotto, per gente meno intelligente del leader parigino, vorrebbe dire che la ricostruzione della cattedrale deve avanzare solo sui binari del restauro e della conservazione, invece che su quello della creazione ex-novo, anche perché c’è chi ha fatto donazioni proprio per i primi due scopi. All’inizio dell’anno scorso, poi, DIdier Rykner, fondatore del sito La tribune de l’art ha raccolto oltre 130.000 firme con una petizione contro le vetrate moderne. Il sito ha anche scritto in vari articoli che la sostituzione dell’opera di Violet-le-Duc, non rispetterebbe la Carta di Venezia del 1964, che tratta proprio del restauro e della protezione dei siti storici, artistici e monumentali, nonché la stessa legge del 2019. La Carta invita i Paesi firmatari (come la Francia, nel 1965) a non distruggere monumenti o opere d’arte sostituendoli con creazioni contemporanee. Va ricordato anche che, sempre nel 2024, la Commissione nazionale del patrimonio e dell’architettura francesi (Cnpa) ha espresso parere negativo al progetto delle vetrate e che, per essere pignoli, quelle di Violet-le-Duc sono uscite praticamente intatte dall’incendio che ha distrutto la chiesa madre di Parigi, il 15 aprile 2019. La Cnpa aveva presentato un ricorso all’equivalente del Tar parigino che, però, è stato respinto ed è previsto un appello.
I sostenitori del progetto di Macron non sono molti. Tra questi, quello di maggior peso è l’arcivescovo parigino, monsignor Laurent Ulrich che, come scriveva Vatican News nell’aprile 2024, auspicava che le nuove vetrate lasciassero «nell’edificio restaurato una traccia di questo evento» che ha distrutto la cattedrale. Non sono mancati sostegni alle vetrate moderne anche da parte di alcune voci del cattolicesimo progressista come l’ex direttore del quotidiano cattolico La Croix, Guillaume Goubert.
In ogni caso, anche senza le nuove vetrate, da quando è stata riaperta al pubblico, Notre-Dame sembra più un museo, per non dire un luna park, nel quale scorre quasi ininterrottamente un fiume di turisti. Gente che ha tutto il diritto di venire ad ammirare Notre-Dame, se non fosse che i fedeli parigini sono costretti a fare fatica per raccogliersi in preghiera nella loro cattedrale. Per questi frequentatori locali della chiesa madre parigina è complicato anche venire venerare le reliquie, come la Santa Corona portata da Gesù Cristo durante la sua Passione. In effetti, sia questa pratica sia la partecipazione alle messe deve essere prevista con un certo anticipo e bisogna anche essere pronti a fare la fila per lassi di tempo variabili, prima di accedere all’edificio di culto.
Vicino all’uscita di Notre-Dame c’è anche un chiosco che vende souvenir legati alla cattedrale, un punto vendita che fa venire alla mente i mercanti nel tempio. Chissà come finirà con il mercanteggiare sulle vetrate.
Dopo la Germania, Emmanuel Macron lancia un piano per 50.000 arruolamenti l’anno. E Guido Crosetto prepara la norma. Vladimir Putin assicura: «Non ci sarà un attacco all’Europa. Pronto a firmare la pace se Kiev si ritira dal Donbass».
I tre grandi Paesi fondatori dell’Europa unita mettono l’elmetto. Dopo la Germania, che in agosto aveva iniziato l’iter per una legge sulla reintroduzione del servizio di leva, puntando a costituire un esercito da mezzo milione di persone, tra soldati e riservisti, ieri anche Francia e Italia hanno avviato o ipotizzato progetti analoghi.
Il 13 novembre scorso, i partiti della maggioranza che sostiene il governo di Friedrich Merz si sono accordati sul progetto di creazione di un servizio militare volontario. La decisione è arrivata dopo mesi di trattative tra chi era favorevole a un ritorno della leva obbligatoria maschile, magari con un reclutamento a sorteggio, e chi invece privilegiava un approccio meno duro, basato appunto sul volontariato. Tuttavia persino il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, non ha escluso un «ultimo ricorso» alla leva obbligatoria. In questo modo, ha fatto eco al capogruppo dei cristiano democratici della Cdu-Csu, Jens Spahn, che giorni fa aveva dichiarato: «Se il servizio volontario non fosse sufficiente, allora il servizio obbligatorio si renderà necessario». Dal prossimo primo di gennaio, 700.000 ragazzi, che compiranno 18 anni nel 2026, dovranno sottoporsi a una visita medica per verificare la loro abilità fisica e psicologica. Sul lungo periodo poi, Berlino punta a far crescere il numero di militari attivi, passando dagli attuali 182.000 ai 260.000, entro il 2035. Nello stesso arco di tempo, i riservisti dovrebbero passare da 60.000 a 200.000 unità. I servizi segreti tedeschi da tempo lanciano allarmi su un conflitto militare diretto provocato dalla Russia contro la Nato, entro il 2029.
Anche il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, proprio ieri, ha dichiarato ai microfoni del Tg3 che «se la visione che noi abbiamo del futuro è una visione nella quale c’è minore sicurezza, una riflessione sul numero delle forze armate, sulla riserva che potremmo mettere in campo in caso di situazioni di crisi, va fatta». Secondo il ministro, la scelta di reintrodurre il servizio militare nel nostro Paese, su base volontaria, spetta alle Camere. Per questo Crosetto ha spiegato che proporrà «prima in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento, una bozza di disegno di legge da discutere che garantisca la difesa del Paese nei prossimi anni e che non parlerà soltanto di numero di militari ma proprio di organizzazione e di regole». Il titolare della Difesa ha parlato anche dell’Ucraina, affermando che l’invio di soldati a Kiev «non è un compito né per l’Italia, né per la Francia, né per l’Europa». Quest’ultima, per Crosetto, deve «garantire che ci sia una pace giusta, che non umili nessuno e che non sia messa in discussione un mese o due dopo».
Sempre ieri, anche il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato il ritorno, al di là delle Alpi, del servizio militare su base volontaria. Il leader parigino ha spiegato che la Francia ha bisogno della «mobilitazione della nazione per difendersi, non contro questo o quel nemico, ma per tenersi pronta e per essere rispettata», in un contesto di «accelerazione delle crisi e di crescita delle minacce». Ha inoltre sottolineato la necessità di «rafforzare il patto tra la nostra nazione e il nostro esercito» e la capacità del Paese di «resistere».
Macron ha precisato che i giovani impegnati nel «servizio nazionale» non andranno «né all’estero, né in operazioni esterne, né sul fianco Est». Tuttavia potranno supportare operazioni di sicurezza interna, la missione antiterrorismo «Sentinelle» e interventi a favore della popolazione. Il presidente francese ha anche chiarito che «il servizio nazionale sarà di natura militare e i giovani avranno uno status militare». In caso di crisi poi, «il Parlamento potrà chiamare oltre ai volontari anche coloro che sono stati individuati» nella giornata di mobilitazione e reclutamento, ha spiegato Macron, precisando anche che, in tal caso, «il servizio diventerebbe obbligatorio».
La nuova leva volontaria interesserà giovani di entrambi i sessi di età compresa tra i 18 e i 19 anni e fino ai 25, per profili specifici. Le candidature potranno essere presentate dal prossimo gennaio, mentre l’arruolamento sarà avviato nell’estate 2026. Per questa prima fase, si attendono 3000 volontari, 10.000 entro il 2030 e 42.500 dal 2035, fino ad arrivare a 50.000 unità. Il nuovo servizio militare francese costerà «più di 2 miliardi di euro» e, ha precisato Macron, «sarà finanziato con l’aggiornamento della legge di programmazione militare 2026-2030».
L’ipotesi dello scoppio di un conflitto capace di coinvolgere la Francia continua a tenere banco al di là delle Alpi. Ieri, il governo guidato da Sébastien Lecornu ha pubblicato online un opuscolo volto a spiegare ai francesi come diventare «resilienti» in caso di guerra o catastrofe naturale. Due giorni fa invece, un generale ha fatto saltare sulla sedia mezzo Paese affermando che la Francia deve essere pronta ad «accettare di perdere i propri figli». Lunedì invece, il presidente francese Emmanuel Macron e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky avevano firmato una «dichiarazione d’intenzione» per la vendita a Kiev di 100 caccia transalpini Rafale, nell’arco di un decennio.
Andando per ordine, il libretto governativo è stato pubblicato sui siti del Segretariato generale per la Difesa e la Sicurezza nazionale e dei ministeri interessati ma, entro qualche mese, dovrebbe essere inviato a tutte le famiglie transalpine in formato cartaceo. Nelle 27 pagine dell’opuscolo, intitolato «tutti responsabili», ci sono consigli sul come comportarsi nei tre giorni successivi all’inizio di una crisi. Tra le indicazioni fornite figura la preparazione di un piccolo stock di emergenza per ogni famiglia. Non devono mancare: farmaci, vestiti caldi, torce elettriche, radio a batteria, contante, documenti fotocopiati inseriti in buste impermeabili e, ovviamente, un kit di pronto soccorso.
Nel testo vengono passate in rassegna le varie possibili emergenze, come alluvioni o incendi, ma anche gli incidenti nucleari, per i quali si prevede l’invio di messaggi di allerta via sms ma anche un allarme sonoro. La guerra è solo menzionata, sebbene venga ricordato che la Francia è una potenza nucleare. In compenso, vengono evocate delle possibili azioni di disinformazione. La parola d’ordine del governo è niente allarmismi, ma «resilienza».
Disponendo la pubblicazione del libricino sulle emergenze, l’esecutivo parigino non doveva aver fatto i conti con il capo di Stato maggiore dell’aeronautica, il generale Fabien Mandon che, intervenendo al congresso dell’associazione dei sindaci d’Oltralpe, se n’è uscito con una dichiarazione esplosiva. «Abbiamo tutta la conoscenza, tutta la forza economica e demografica per scoraggiare il regime di Mosca» ha detto il generale, prima di aggiungere che «ciò che ci manca [...], è la forza di carattere per accettare la sofferenza per proteggere ciò che siamo». In tutto questo, secondo il graduato, i sindaci svolgerebbero «un ruolo fondamentale». Il colpo di grazia è arrivato quando Mandon ha detto che «se il nostro Paese vacilla è perché non è pronto ad accettare di perdere i propri figli. Perché bisogna dire le cose come stanno. Perché soffre economicamente. Perché la priorità sarà data alla produzione per la difesa, allora siamo a rischio». Apriti cielo ! Le reazioni non si sono fatte attendere. Il fondatore del partito di estrema sinistra La France Insoumise (Lfi), Jean-Luc Mélenchon, su X ha espresso il suo «totale disaccordo con il discorso del capo di Stato maggiore della Difesa» perché «non spetta a lui invitare sindaci o chiunque altro a partecipare ai preparativi di guerra decisi da nessuno». Sempre nell’estrema sinistra c’è stato chi, come Nathalie Arthaud leader del partito trotzkista Lutte Ouvrière, ha usato parole ancora più dure. Per essere esatti si è trattato di una strofa de l’inno L’Internazionale: «Se si ostinano, questi cannibali a far di noi degli eroi sapranno presto che le nostre pallottole son per i nostri generali!».
Più moderata la socialista Ségolène Royal, ex rivale di Nicolas Sarkozy alle presidenziali del 2007 e più volte ministro. L’ex candidata all’Eliseo ha scritto su X che «la Francia non accetterà di perdere i suoi figli a causa di una potenza alla deriva che, come scrisse Machiavelli, è tentata di “iniziare una guerra per evitare disordini interni, e che finisce sempre per accelerare la propria rovina”». Per Royal, in Ucraina, Parigi dovrebbe assicurare «una forza di stabilizzazione internazionale, come ha fatto Trump per Gaza», poi però non si è fatta mancare una critica alla «virilità tossica che non è altro che una compensazione per il crollo di una struttura di potere alla deriva in modo allarmante». Per il vicepresidente del Rassemblement national, il deputato Sébastien Chenu, «il capo di Stato maggiore non ha alcuna legittimazione per allarmare il popolo francese con dichiarazioni» che non sono la «linea ufficiale del Paese». Per il collega di partito di Marine Le Pen, se il generale «dice ciò che pensa Macron, è grave».
Critiche a Mandon sono arrivate anche da Christian Estrosi, sindaco di Nizza e membro del partito Horizons, fondato da Edouard Philippe e alleato alla formazione di Macron. Secondo il politico della Costa azzurra, non spetta al «capo di Stato maggiore della Difesa far preoccupare in questo modo il popolo francese». Invece Nathalie Loiseau, eurodeputata sempre di Horizons, ha definito «giuste» le parole del generale.





