2025-08-01
Le università si piegano a The Donald: multe milionarie e addio «diversità»
Dopo l’ateneo della Pennsylvania (dove i trans gareggiavano con le donne) e i 200 milioni dati dalla Columbia, pure la Brown accetta di versarne 50 e di collaborare su contrasto a immigrazione illegale e antisemitismo.La stampa prende in giro Donald Trump: he always chickens out, minaccia tutti e poi si tira indietro. Sui dazi, però, il presidente ha incassato solo accordi vantaggiosi. E ora la sta spuntando pure nel braccio di ferro con le università woke: sono loro quelle che si stanno tirando indietro.Ricordate le proteste pro Pal scoppiate nei campus americani? La scorsa primavera, in risposta agli scontri con la polizia e alle presunte corresponsabilità dei college nell’ondata di antisemitismo, la Casa Bianca aveva interdetto a diversi atenei i fondi per la ricerca, oltre all’accesso degli studenti stranieri. Era il primo round del Kulturkampf a stelle strisce, quello tra i sostenitori delle cause Lgbt, di Black lives matter, di Hamas, dei programmi per la «diversità», e i proclamati paladini del buon senso comune, che si oppongono all’ammissione degli atleti trans nelle gare femminili, al pensiero unico e alla persecuzione degli ebrei nelle accademie. I mostri sacri della Ivy League, convinti che The Donald volesse conculcare la libertà d’insegnamento, avevano giurato che non si sarebbero arresi. E invece, pesi per la saccoccia, uno a uno stanno capitolando.Mercoledì sera, la Brown University ha accettato di versare 50 milioni di dollari in dieci anni all’amministrazione. Secondo il governo federale, l’università di Providence, nel Rhode Island, non è stata in grado di combattere l’antisemitismo all’interno del proprio campus. Come risultato dell’intesa, ha riferito Linda McMahon, segretario all’Istruzione, la Brown «si è impegnata ad attuare misure proattive per tutelare gli studenti ebrei». Inoltre, «gli sport femminili e gli spogliatoi saranno protetti per le donne e il Titolo IX sarà fatto rispettare come dovuto». Il Titolo IX è una norma che proibisce le discriminazioni fondate sul genere sessuale nelle scuole e nelle università. Trump, dopo l’ordine esecutivo con cui ha stabilito che il sesso è solo quello biologico, l’ha invocata affinché sia vietato ai trans di competere con le ragazze o di utilizzare i loro spazi intimi. L’ateneo, in cambio, potrà tornare a richiedere finanziamenti pubblici per i propri programmi, senza ulteriori intrusioni da parte del potere esecutivo. Soprattutto, scamperà alla crisi economica in cui si stava cacciando, tra il prestito bancario da 300 milioni di aprile e un altro da 500 milioni, sottoscritto a inizio luglio. In ogni caso, la Brown sostiene di non aver mai ricevuto contestazioni su eventuali violazioni di legge. Pochi giorni prima, ad alzare bandiera bianca era stata la Columbia, con un maxi «patteggiamento» da 200 milioni di dollari in tre anni, più 21 milioni di risarcimento agli impiegati di origine ebraica vittime di vessazioni. I vertici dell’università hanno dovuto cospargersi il capo di cenere. In un comunicato, pur non ammettendo alcuna «condotta sbagliata», hanno riconosciuto «che gli studenti e il personale ebrei hanno patito incidenti dolorosi e inaccettabili e che c’era e c’è bisogno di una riforma».La prestigiosa rivista Science, fiutando aria di ricatto, ha parlato di «un tragico campanello d’allarme». In effetti, non si potevano perdere 400 milioni di sostegni pubblici cancellati a marzo: la situazione già aveva indotto l’ateneo di New York ad accettare alcune delle disposizioni di Trump, tra cui la messa al bando delle maschere per il viso nel campus, che rendevano irriconoscibili i manifestanti, e controlli più stretti sugli iscritti di origine mediorientale, sospettati di legami con gli islamisti. Anche per la Columbia si sono sbloccati «miliardi di dollari di borse di studio presenti e future», comprese quelle riconducibili ai National institutes of health, l’Istituto superiore di sanità americano.Il college ha dovuto emettere provvedimenti disciplinari per una settantina di studenti che hanno preso parte ai disordini pro Pal. In seguito all’occupazione della biblioteca Butler, alcuni sediziosi erano stati espulsi, sospesi, oppure avevano avuto i loro titoli di studi provvisoriamente revocati. Inoltre, pur negando a sua volta di aver infranto le leggi, la Columbia ha dovuto di fatto rinunciare ad applicare le politiche Dei sulla diversità e l’inclusione, accettando di sottoporsi alla sorveglianza statale e di fornire alle autorità che si occupano di immigrazione alcune informazioni sugli studenti stranieri. È un punto storico messo a segno dai conservatori Maga: il movimento aveva raccolto consensi pure opponendosi alle manie woke nei college.Alle critiche - non banali - di chi afferma che l’amministrazione Trump voglia semplicemente ribaltare il segno della dittatura ideologica, il ministro McMahon, intervistata da Abc news, ha risposto che non è in atto «alcun tentativo di imporre un curriculum di studi». «Però», ha precisato il segretario all’Istruzione, «dev’esserci un terreno di gioco parificato. Entrambi gli schieramenti devono essere rappresentati nei campus». È la linea sottile che separa una banale inversione dell’orientamento del regime da un intervento legittimo, anzi, sacrosanto, di promozione del pluralismo. In un mondo ideale, non dovrebbe servire. Ma al di là dell’Atlantico, nell’epoca della polarizzazione, la guerra civile culturale infuria da anni: era il 2022, per dire, quando il governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis, con una mossa controversa, proibì l’insegnamento nelle scuole pubbliche della teoria critica della razza, la dottrina che riscrive l’intera storia degli Stati Uniti alla luce del radicamento del razzismo «sistemico».La prima università ad arrendersi all’amministrazione Usa, a inizio luglio, era stata quella della Pennsylvania, pizzicata perché aveva lasciato competere dei trans insieme alle donne. Mentre, da ultimo, starebbe per crollare il fortino di Harvard, da cui il governo pretende più del doppio della somma ottenuta dalla Columbia: quasi 500 milioni di dollari. Il college di Cambridge, nel Massachusetts, sarebbe però riluttante a versarli direttamente a Washington. Soprattutto, non sarebbe disposto a ingoiare lo stesso rospo ingurgitato dai newyorkesi: la supervisione sulle politiche Dei. Il problema è che dei fondi pubblici non si può fare a meno: rappresentano più o meno l’11% delle entrate dell’ateneo dove si laureò Barack Obama, che fu allievo pure della Columbia.Sta proprio in questa coincidenza il senso della vittoria simbolica di The Donald. Benché rimangano in piedi le cause con decine di altri atenei, Trump è riuscito a piegare gli emblemi dell’élite progressista, invisa alla sua base elettorale. Quell’America che Hillary Clinton considerava un «secchio di deplorevoli». Dopodiché, è legittimo interrogarsi: sarà una dittatura al contrario o una rivoluzione del buon senso?
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