
Auto, case, agricoltura e industria in crisi, Ursula von der Leyen sta distruggendo l’idea di coesione.Incassata la non sfiducia Ursula von der Leyn si avvia a passo marziale verso lo sfascio dell’Unione europea. Non deve sapere la baronessa – ribattezzata dai contadini Vonderland: la ragione che non c’è – che l’Europa si fonda proprio sulla politica agricola comune che fu, insieme all’intesa sul carbone e l’acciaio e a quella sull’energia atomica, il primo «campo» d’accordo tra i Paesi fondatori dell’Unione. Ebbene nella sua proposta di bilancio poliennale a venire – forse consapevole che non sarà mai rieletta – la Von der Leyen non solo smonta la Pac, ma smonta l’idea stessa di comunità. Sostiene infatti che i fondi agricoli saranno erogati in una trattiva «bilaterale» tra Bruxelles e ogni singolo Stato. Non diversamente da ciò che ha architettato per il suo inattuabile piano di riarmo. La sua proposta di nuova architettura d’Europa è stata sonoramente bocciata da tutti. Con buona pace di Romano Prodi che predica contro la capacità di veto, l’unanimità stavolta l’Europa l’ha graniticamente trovata. Le ragioni per dire no al folle quadro finanziario sono le più diverse – la Germania, ed è tutto dire, non vuole l’aumento del budget, l’Italia e altri 17 Paesi sono contro i tagli alla Pac, la Spagna e anche la Danimarca gli unici due governo socialisti sono contro la centralizzazione della gestione dei fondi, Kata Tutto che è ungherese, socialista, a capo delle Regioni d’Europa, la pensa come Viktor Orban: quel progetto è un mostro; Eelco Heinen, ministro delle finanze olandese è granitico sul no agli aumenti - ma la ragione di fondo è che la Von der Leyen ha copiato malissimo il dossier sulla competitività di Mario Draghi. Che ha scritto: via la burocrazia, ripensamento del Green deal, incentivo alla produzione, cancellazione dei vincoli interni. Ebbene la baronessa mantiene intatto l’impianto di Bruxelles, chiede più soldi torchiando i cittadini, accentra le funzioni e di Draghi ha colto solo la cifra: 800 miliardi in più. È invece ostaggio di Tersa Ribera - la socialista spagnola che ha preso anche troppo sul serio l’eredità di Frans Timmermans - e inasprisce il Green deal. Lascia intatti i limiti alle emissioni, distrugge l’industria dell’auto (resta lo stop ai motori endotermici entro il 2035), costringe i cittadini a fare le case green (costo stimato da 40 a 65.000 euro per un appartamento medio), rincara gli Ets (sono i certificati con cui si compra il diritto a emettere l’anidride carbonica) e per rilanciare la produttività mette una tassa sulle imprese che fatturano più di 50 milioni di euro, ammazza l’industria della plastica rincarando i balzelli sugli imballaggi e deprime l’industria tecnologica perché tassa i rifiuti elettronici. Ecco la Von der Leyen è la signora che vuole regnare, senza essere stata eletta, a colpi di tasse, impedendo all’Europa di produrre il proprio cibo, conducendoci verso un ignoto paradiso verde. Peccato che la realtà sia altra. Come farà con i governi tutti contro a far approvare il nuovo trattato sulla migrazione? Quale sarà l’industria europea del futuro visto che distrugge quella attuale, ma non ha un’idea di sviluppo? Come costruisce l’unione bancaria se incita ai rapporti bilaterali? E come farà con i dazi visto che non ha più alcuna autorevolezza verso i governi? Scrisse - un tedesco di una banca importante: Eric Eymann di Deutsche Bank – all’apparire del Green deal: «Per essere attuato ha bisogno di un’ecodittatura». La Von der Leyen l’ha preso alla lettera, ma è bene che si ricordi che fine fanno in Europa i dittatori.
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