2025-10-21
Il capolavoro che fa a pezzi la retorica woke
Una scena dal film «Eddington» di Ari Aster (I Wonder Pictures)
«Eddington» è il film più politicamente scorretto degli ultimi anni, capace di demolire con battute taglienti tutti i dogmi mainstream. Dal Covid a Black Lives Matter, Aster mostra quanto i fanatismi ci stiano lacerando, portando a distruggere anche le buone cause.«Ma che cosa ha fatto questo sindaco per ridurre le diseguaglianze razziali?». «È ispanico». Varrebbe la pena di vedere Eddington, il nuovo e splendido film di Ari Aster, solo per battute come questa, sottili e affilatissime, che sono sparse qua e là come piccoli diamanti. Con due frasi, il regista americano ha smontato l’intero edificio retorico sulle minoranze costruito dai progressisti negli ultimi dieci o quindici anni. Con un’altra scena di pochi secondi, Aster demolisce la colata ipocrita di politically correct conosciuta come cultura woke. Vediamo un gruppo di giovanissimi e esaltati manifestanti, per lo più bianchi, che sfilano con gli slogan di Black Lives Matter e demoliscono il negozio di un poveretto che vende cimeli dei nativi americani. L’uomo disperato si lamenta di essere stato derubato di migliaia di dollari di merce e una ragazzetta gli grida in faccia: «Nazista!». Niente meglio di questo potrebbe spiegare che cosa sia stato l’attivismo di ultra sinistra in questi anni. Momenti come questi rendono Eddington il film più politicamente scorretto di questo decennio, e forse anche di quelli precedenti. Una scorrettezza raffinata e intelligentissima, ma anche dolente, perché irride con la consapevolezza di stare commentando un disastro. Non solo. È anche il primo film - caso in effetti incredibile - che abbia avuto il fegato di raccontare il periodo del Covid e le sue ferocissime divisioni, e di farlo senza mettere in ridicolo (come il pensiero prevalente vorrebbe) le posizioni critiche delle restrizioni. Di nuovo, Aster rende tutto il dolore di quegli anni con una sola scena: mostra un signore anziano che entra in un supermercato senza mascherina. Vuole solo fare la spesa, dice di non riuscire a respirare con la benda sulla bocca. Ma niente da fare: gli inservienti lo spingono fuori, mentre alcuni clienti ben mascherati filmano e applaudono inveendo contro il vecchio. Le immagini scorrono e i sentimenti di quei giorni si rifanno vividi, e bruciano. Eddington parte da lì, dalle divisioni sul Covid. Lo sceriffo della cittadina del New Mexico (Joaquin Phoenix) è un uomo buono e provato dalla vita. Abita con la moglie che ha problemi psichici e con la suocera che è paranoica e complottista. Lui cerca di mantenersi in equilibrio, non segue le esagerazioni della suocera ma è fermamente contrario alle restrizioni, e non sopporta di vedere l’odio che i lockdown e le chiusure hanno provocato. Il sindaco (Pedro Pascal) è ispanico e progressista, fanatico del «ce lo dice la scienza». I due entrano inevitabilmente in conflitto e da quel momento inizia per lo spettatore un viaggio all’interno dei pregiudizi: quelli dell’Occidente e i propri. Il film - in modo inaspettato - spinge a empatizzare con lo sceriffo, fa comprendere il senso profondamente umano della sua opposizione ai divieti, lo fa apparire come un baluardo di gentilezza in una valle di rabbia. Allo stesso tempo, però, mette in ridicolo certi estremismi che tutti conosciamo e mostra il cinismo viscido di alcuni predicatori e falsi progetti del dissenso. Dopo tutto questo è il senso del film: mostrare come gli uomini riescano a distruggere le buone cause, come siano sempre pronti a perseguire il proprio interesse meschino a discapito degli altri e come i fanatismi ci stiano lacerando inesorabilmente. Eddington mette in crisi le certezze, è un gesto di ribellione al manicheismo dominante. Prendiamo la figura del sindaco: buono, progressista, aperto alla rivoluzione tecnologica. E poi arrivista, mezzo corrotto, cinico e falso. Eppure anche in lui vi sono tracce di umanità. Come a dire che bene e male convivono in ciascuno di noi, e che si può certo parteggiare per una causa ma nel momento in cui si dimentica l’umana pietà tutto frana irrimediabilmente nell’odio e nella devastazione. Dopo il Covid arriva il woke. Muore George Floyd e comincia il can can antirazzista. I due vice dello sceriffo, uno bianco e uno nero, perdono la bussola. Il bianco si fa scappare una grande verità: «Prima di questo non facevo nemmeno caso alla razza». Il risultato è che le manifestazioni e gli scontri producono una più radicale divisione: bianchi e neri si guardano con sospetto. E poi ci sono i ragazzini. C’è il figlio del sindaco, ovviamente ispanico, che si atteggia a vittima del razzismo sistemico ma è un arrogante privilegiato figlio di ricchi. E poi un ragazzo bianco che comincia a straparlare di privilegio e di bianchezza da decostruire solo per seguire una ragazzina che gli piace. Le scene in cui questi esagitati adolescenti bianchi chiedono giustizia sociale urlando in faccia a un agente di polizia nero sono quanto di più urticante il cinema ci abbia regalato da tempo. Nel film di Aster non ci sono buoni o cattivi. È una sorpresa continua, un cambio di prospettiva continuo, un ammonimento serissimo: se continueremo a demonizzare e a disprezzare chi la pensa diversamente finiremo malissimo. Nessuno si salva perché ciascuno pretende di salvarsi da solo e cerca di fare prevalere la sua verità con la forza. E in fondo, sembra dirci il regista suggerendo vari strati di trame occulte che non si possono svelare senza rovinare il finale, siamo tutti manipolabili e manipolati. Le divisioni rabbiose sono uno strumento del potere per non farci rendere conto dei veri problemi che ci affliggono. Mentre ci perdiamo in grottesche guerre culturali, i veri padroni del mondo si divertono alle nostre spalle. L’Occidente finisce a Eddington, dice Ari Aster, e ha ragione. Sta a noi decidere se vogliamo emanciparci o restare prigionieri della provincia velenosa in cui le nostre menti amano rinchiudersi.
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