
Lara Comi, Carlo Calenda e Valeria Fedeli come l'ente dei datori. Le paghe sono così basse da essere inferiori al reddito? «Abbassiamo quest'ultimo».Se l'obiettivo della scomposta maggioranza di governo fosse quello di fare esplodere le contraddizioni dello status quo tutelato dai partiti «di sistema», l'esito andrebbe riconosciuto come trionfale. Mentre si prepara al varo la complessa scommessa del reddito di cittadinanza, la critica che sembra unire le opposizioni (Pd, Forza Italia, Confindustria) è più o meno la seguente: spesso il sussidio sarà più alto di molti salari netti. E l'ingenuo direbbe: bene, occorrerà alzare gli stipendi. No, dice il saggio: abbassare il reddito. Finché tale rilievo viene da un datore di lavoro, passi: il ragionamento ha, dal punto di vista imprenditoriale, un suo cinico perché. In linea teorica, infatti, un disoccupato senza sussidi potrebbe accettare (cosa che sta avvenendo da anni) qualunque stipendio. Se, per ipotesi, avesse un aiuto statale di 780 euro, si aspetterebbe un salario netto di 800, 900 euro che renda appetibile l'impiego: un'azienda, magari alle prese con margini compressissimi, può considerare «dannosa» la misura. E in effetti la posizione di Confindustria è chiara: due giorni fa l'associazione ha spiegato che non va bene un sussidio fino a 780 euro al mese per un single, «considerando che lo stipendio mediano dei giovani under 30 si attesta a 830 netti al mese».La cifra mette spavento, perché è vera. Logica vorrebbe che un politico tentasse di mediare tale attrito, creando le condizioni per un rialzo dei salari e una piena occupazione (incidentalmente, sarebbe in linea con il dettato costituzionale). Lunedì mattina, a L'Aria che tira, l'ex ministro dell'Istruzione (e storica sindacalista Cgil) Valeria Fedeli, dialogando sul tema del reddito di cittadinanza, a un certo punto ha detto: «Chi lavora otto ore al giorno prenderà molto meno di chi avrà il reddito. Questo è contro la cultura del lavoro!». Il senso della frase ricorda l'ubriaco in autostrada che inveisce contro l'esercito di pazzi che vanno contromano, ma la posizione della Fedeli (il sussidio non va bene perché più alto di un reddito da fame, con il secondo preso come dato e non come problema) non è isolata. Carlo Calenda, parecchio attivo sui social da quando ha lanciato il suo listone, ha avuto modo di spiegare la sua idea in merito: «Un sussidio non può superare il reddito da lavoro». Ipse dixit (sempre Calenda): «Berlinguer sarebbe inorridito davanti a un sussidio superiore a un reddito da lavoro». Principio condivisibile, ma ancora: se il reddito da lavoro è incompatibile con un'esistenza decente, tanto che un sussidio non faraonico lo eccede, il guaio sta nel sussidio o nello stipendio? L'ex ministro non ha dubbi: nel sussidio. Dice, rispondendo a un follower: «Alessandro, il Rdc va da 780 a 1.330. Spiega per cortesia a un'infermiera o a un operaio che è giusto ed equo che paghino questi importi a una persona che non lavora. Sono favorevole ad alzare il Rei (reddito di inclusione, ndr) a 400 e 600. Ma andare oltre è ingiusto nei confronti di chi lavora e fatica».Già un partito di sinistra che deglutisce paghe crollate fa inarcare il sopracciglio, ma del resto da membro di governo Ivan Scalfarotto (Pd) diffuse un opuscolo in cui invitava a investire in Italia perché il nostro Paese aveva la manodopera qualificata meno cara rispetto ai partner. Pure Forza Italia, però, si difende bene: ieri mattina l'europarlamentare azzurra Lara Comi spiegava che, sempre per colpa del reddito di cittadinanza troppo alto, un sacco di lavoratori sarebbero pronti a licenziarsi per incassarlo smettendo di lavorare. Tesi tutta da dimostrare, ma poggiata sulla realtà di un livello bassissimo dei salari. Considerando che anche i sindacati hanno sottolineato il rischio «spiazzamento» tra i nuovi «navigator» e i vecchi impiegati dei centri per l'impiego, si può registrare il fatto che una fetta di classe dirigente, «grazie» al varo del reddito grillino, ha preso atto che il nostro Paese ha stipendi minimali. Il prossimo passo sarebbe chiedersi motivi e rimedi: ci si potrebbe accorgere che la deflazione salariale non è colpa di «padroni» divenuti cattivi, ma un vincolo per restare competitivi dentro l'eurozona. E che tagliare le tasse è complicato sotto il pareggio di bilancio. Una cosa alla volta.
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
La capitale in versione insolita: in giro dal ghetto ebraico a Villa Borghese, tra tramonti, osterie e nuovi indirizzi.
John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.






