- Dopo lo scandalo mazzette, Confimprenditori si ribella: «Piuttosto che finanziare ville e bagni d’oro, aiutiamo i nostri settori produttivi». Matteo Salvini ancora polemico: «Al Consiglio di Difesa le decisioni erano già prese. Per il futuro vogliamo più chiarezza».
- Il documento sulla guerra ibrida: «Per contrastarla ci servono 5.000 uomini».
Lo speciale contiene due articoli
L’Europa vuol dare all’Ucraina altri 70 miliardi. Addirittura, per le elargizioni all’alleato, ipotizza di riesumare la carcassa del Mes. Ma dopo tre anni e mezzo di manine bucate, qualcuno comincia a ribellarsi.
Ieri, a tuonare, è stata Confimprenditori, l’associazione delle piccole e medie imprese, delle partite Iva e degli autonomi. «L’Italia è sempre stata un Paese leale e responsabile nello scenario internazionale», ha sottolineato il presidente, Stefano Ruvolo, «ma altrettanto responsabile deve essere la gestione delle risorse dei contribuenti italiani. Ogni euro destinato a sostegni esteri deve necessariamente rispondere ai criteri di trasparenza, controllo e utilità per l’interesse nazionale». Non sembrano le parole di un putiniano, a meno che preoccuparsi di dove finiscono i nostri denari non sia un’operazione di guerra ibrida al servizio del Cremlino. «Condividiamo pienamente le parole del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini», ha aggiunto Ruvolo, «quando afferma che dopo lo scandalo che ha coinvolto uomini vicini al presidente Volodymyr Zelensky è necessaria una profonda riflessione sull’eventuale invio di nuovi aiuti militari ed economici a Kiev. Proprio per questo», ha suggerito il numero uno di Confimprenditori, «chiediamo al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di valutare concretamente la possibilità di destinare alle imprese italiane e alle nostre Pmi tutti quei fondi che fino a ieri finivano nei palazzi, nelle ville e perfino nei gabinetti d’oro dell’élite ucraina». Se proprio abbiamo tali disponibilità di cassa - secondo le stime, non ufficiali, Roma ha erogato 3 miliardi-3 miliardi e mezzo tra sostegni finanziari diretti e forniture belliche - tanto vale dare una mano al nostro settore produttivo. Ovvero, quello che crea davvero Pil e al quale, ha lamentato Ruvolo, «la legge di Bilancio 2026, purtroppo, non ha dato risposte sufficienti né adeguate». Questa, allora, «è l’occasione per correggere la rotta. Se ci sono risorse che oggi non possono più essere inviate all’estero senza la certezza della loro destinazione, è doveroso che quelle stesse risorse vengano messe a disposizione delle aziende italiane che producono valore, lavoro e futuro».
Nella maggioranza, intanto, restano frizioni sul dodicesimo pacchetto di forniture belliche, che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, illustrerà al Copasir il 2 dicembre. Ieri, il senatore Claudio Borghi è stato perentorio: «Non ho intenzione di votare» un’altra autorizzazione all’invio di armi all’Ucraina. Il decreto che ne permette la consegna, infatti, scadrà a fine anno e a gennaio sarà necessario interpellare di nuovo il Parlamento.
L’opposizione si è ovviamente tuffata sulla diatriba. Il capogruppo pd a Palazzo Madama, Francesco Boccia, ha ribadito che il suo partito «è favorevole al proseguimento degli aiuti militari all’Ucraina» e ha accusato Salvini di essersi trasformato in un «portavoce di Mosca». In realtà, anche la sinistra è spaccata. Non a caso, la contestazione che il Movimento 5 stelle rivolge ai leghisti è diametralmente opposta a quella di Boccia: secondo il capogruppo dei contiani in commissione Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti, i brontolii del Carroccio sono solo propaganda per «raccattare qualche voto anti guerra, ma alla fine» la Lega «si è sempre allineata». Lo ha fatto anche il M5s finché è stato in maggioranza, approvando il primo decreto per il sostegno militare a Kiev, ai tempi di Mario Draghi. Mentre il Pd, in Europa, non ha certo dato prova di compattezza. A luglio, il voto con cui l’Eurocamera chiedeva alla Germania di consegnare i Taurus a Zelensky aveva, sì, sparigliato le carte a destra, ma aveva sbriciolato in primis i dem: contrari in maggioranza, favorevoli in cinque, astenuto Nicola Zingaretti.
Gli alleati confidano che il Carroccio faccia rientrare la polemica, ma ieri Salvini ha voluto togliersi un sassolino dalla scarpa: «Noi», ha ricordato, «abbiamo votato sempre tutti gli aiuti possibili e immaginabili per l’Ucraina e quello che il Consiglio di Difesa ha deciso riguarda gli aiuti già decisi. Per il futuro la Lega chiede chiarezza». Al vertice di lunedì al Quirinale, insomma, il pacchetto era blindato. E il ministro dei Trasporti rivendica una voce in capitolo. Gli italiani, in fondo, danno segnali d’insofferenza. Roberto Vannacci non esagera, allorché osserva che «il consenso popolare al supporto all’Ucraina è drammaticamente scemato».
Proprio ieri, oltre a Confimprenditori, è intervenuto l’ad di Filiera Italia. A Coffee break, su La 7, Luigi Scordamaglia ha criticato il piano di Ursula von der Leyen per destinare «800 miliardi alle armi tagliando cibo e fondo di coesione sociale». Era solo l’antipasto: ora l’Ue invoca una «Schengen militare» per spostare agevolmente truppe e tank. Cala il sipario sui famosi «70 anni di pace» europea.
Alla vigilia della Grande guerra, il ministro degli Esteri inglese, sir Edward Grey, sospirò: «Si spengono le luci in tutta Europa. Nel corso della nostra vita non le vedremo più riaccese». Di nuovo, oggi è sempre più difficile scacciare il buio pesto. Non solo per il caro bollette.
Crosetto: «In sei mesi, 1.500 attacchi hacker. Dobbiamo creare un’Arma cyber»
Il ministero della Difesa ha pubblicato sul proprio sito il non-paper sul contrasto alla guerra ibrida, lo stesso documento che Guido Crosetto ha illustrato l’altro ieri al Quirinale durante il Consiglio supremo di Difesa. È un testo interno, non classificato ma di lavoro - un non-paper, appunto - con cui il ministro espone la sua analisi sulla minaccia ibrida e le proposte per rafforzare la difesa del Paese. L’obiettivo, in altri termini, è sondare il terreno e stimolare la discussione su un campo di intervento militare che sarà decisivo nei prossimi decenni. Un campo, ammonisce Crosetto, in cui l’Italia è rimasta colpevolmente indietro.
Il documento, non a caso, si apre con un avvertimento: «La minaccia ibrida», si legge, «erode in modo silente la sicurezza delle nostre società». È una minaccia continua, fatta di attacchi informatici, disinformazione, pressioni economiche e cosiddette «operazioni sotto soglia», ossia azioni ostili che non arrivano al livello di un atto di guerra, ma riescono comunque a danneggiare e destabilizzare un Paese. Il «dominio cibernetico» viene dunque descritto come «il moltiplicatore che tiene insieme tutto», perché permette di colpire infrastrutture critiche e interferire nei processi democratici. L’obiettivo degli attori ostili, scrive il ministro, è anche «instillare dubbio e insicurezza», sfruttando la difficoltà di attribuire le responsabilità di questi attacchi.
Dopo aver definito il quadro generale, il documento individua quattro principali attori ostili: Russia, Cina, Iran e Corea del Nord. Mosca sarebbe impegnata in «sabotaggi, cyberattacchi e campagne di disinformazione», mentre Pechino adotterebbe una «strategia multi-vettoriale» basata su leva economica, penetrazione tecnologica e influenza informativa. In questo senso, l’Italia è ancora vulnerabile in alcuni settori strategici: energia, trasporti, comunicazioni, sanità e finanza. Nel primo semestre 2025, infatti, la Difesa ha registrato «1.549 eventi cyber e 346 incidenti con impatto confermato», con una crescita marcata rispetto all’anno precedente. Il settore sanitario è «tra i più colpiti», mentre le Pmi restano bersagli frequenti per la mancanza di difese adeguate.
Passando al piano operativo, Crosetto sostiene che la difesa passiva non basti più e che occorra assumere una «postura predittiva e adattiva», capace di prevenire e, se necessario, neutralizzare le attività ostili. Di qui l’idea di definire uno «spazio cyber di interesse nazionale» entro cui la Difesa possa operare con continuità e con regole chiare, applicando al dominio digitale la stessa logica che vale per i confini fisici.
Il ministro propone poi un nuovo Comando congiunto per le operazioni cyber, elettromagnetiche e cognitive, per evitare la frammentazione attuale e ricondurre tutto sotto un’unica regia. Il nodo centrale, però, rimane la creazione di un’«Arma cyber civile-militare»: una forza iniziale di «1.200-1.500 unità», con una componente operativa pari al 75%, attiva 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno. In prospettiva però, secondo Crosetto, una struttura davvero adeguata dovrebbe arrivare ad almeno «5.000 unità». L’obiettivo dichiarato è quindi sviluppare non solo difesa delle reti, ma anche capacità proattive (disturbare, bloccare o anticipare gli attacchi) sempre entro il quadro delle norme internazionali e in raccordo con la Nato.
Nel documento si cita anche la possibilità di impiegare personale civile specializzato, creare una riserva cyber e rafforzare l’integrazione con l’intelligence. Accanto all’Arma cyber, infatti, Crosetto propone di creare un «Centro per il contrasto alla guerra ibrida» incaricato di coordinare le risposte, analizzare campagne di disinformazione e collaborare con università e imprese, per dotare l’Italia di «anticorpi» sociali contro propaganda e manipolazione. Insomma, «siamo sotto attacco e le bombe hybrid continuano a cadere». La minaccia, spiega Crosetto, non è episodica ma strutturale. E «il tempo per agire è subito».





