2023-07-25
Se la polizia spara per salvare vite l’unico atto dovuto è l’archiviazione
L’ultimo caso è il militare di Padova: ha neutralizzato un criminale sul punto di uccidere il collega di pattuglia ed è indagato per omicidio colposo. I media dicono sia prassi, invece il codice prevede soluzioni più celeri.Ancora una volta, per l’ennesima volta, con riferimento al caso del carabiniere messo sotto procedimento penale (secondo quanto riportato sulla Verità del 20 luglio), per aver difeso un collega uccidendo colui che, dopo averlo deliberatamente investito con la propria autovettura, procurandogli gravissime lesioni, si apprestava a colpirlo con un coltello, è stato evocato il principio secondo cui, in questo come in una infinità di altri casi analoghi, l’apertura del procedimento penale a carico dell’autore del fatto costituirebbe un «atto dovuto». In particolare, costituirebbe «atto dovuto» l’emissione della cosiddetta «informazione di garanzia» con nomina di un difensore d’ufficio e invito a nominare, eventualmente, un difensore di fiducia; adempimento, questo, che la legge prevede essenzialmente allo scopo di mettere l’interessato in grado di provvedere tempestivamente alla propria difesa, nel presupposto che questa sia comunque necessaria. Ma, in realtà, le cose non stanno esattamente in questi termini. In linea di principio, infatti, quando, fin dal primo momento, sia inequivocabilmente riscontrabile la presenza di una causa di giustificazione, tra quelle espressamente previste dalla legge (quali, ad esempio, la legittima difesa, propria o altrui, lo stato di necessità, l’adempimento di un dovere, l’uso legittimo delle armi), il soggetto in favore del quale sia operante la suddetta causa non avrebbe nulla da cui doversi difendere perché di nulla potrebbe essere accusato. In una tale situazione il pubblico ministero dovrebbe, puramente e semplicemente, avanzare senza indugio motivata richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari, salva restando soltanto la facoltà, per quest’ultimo, di respingerla, adottando i provvedimenti previsti dalla legge, qualora ritenga che la causa di giustificazione ravvisata dal pubblico ministero sia, in effetti, insussistente o quanto meno dubbia. La causa di giustificazione, infatti, per sua natura, esclude in radice la rilevanza penale del fatto e rende quindi priva di giustificazione anche la sola apertura del procedimento penale a carico del soggetto in favore del quale essa sia, già in partenza, pienamente configurabile. Ciò non impedisce, naturalmente, che (a parte la già accennata eventualità di un dissenso da parte del giudice per le indagini preliminari), qualsiasi controinteressato possa sporgere denuncia contro l’autore del fatto, indicando le ragioni per le quali egli non potrebbe beneficiare della causa di giustificazione. In questo caso, però, l’ «atto dovuto» sarebbe soltanto quello costituito dalla doverosa presa in considerazione, da parte del pubblico ministero, secondo le regole generali, di una tale denuncia, da valutare alla stregua degli specifici elementi in essa indicati, traendone le relative conseguenze. Va da sé che, tra queste ultime, potrebbe anche esservi quella di una rinnovata richiesta di archiviazione, qualora gli elementi posti a sostegno della denuncia si rivelassero privi di consistenza. Va poi precisato, a questo punto, che, quando (come avviene il più delle volte) il fatto venga portato a conoscenza del pubblico ministero mediante un’informativa redatta dall’organo di polizia che vi abbia partecipato, è solo sulla base del suo contenuto che va valutata la presenza o meno di una causa di giustificazione in favore degli appartenenti a quell’organo e vanno quindi adottate le conseguenti determinazioni, salva l’ipotesi della riscontrata esistenza, fin dall’inizio, di risultanze di senso contrario. Ciò sulla base del principio che l’informativa di polizia è un atto pubblico facente fede, fino a querela di falso, della veridicità del suo contenuto, della quale, quindi, non è lecito dubitare se non in presenza di specifiche ragioni che debbono essere, di volta in volta, individuate ed illustrate. Non per nulla, infatti, qualora nell’informativa di polizia sia riferito qualcosa di rilevante che poi risulti non rispondente al vero, l’autore dell’informativa viene chiamato a rispondere del grave reato di falso in atto pubblico. D’altra parte, quand’anche il pubblico ministero, pur a fronte di una informativa di polizia attestante inequivocabilmente la configurabilità di una causa di giustificazione, ritenesse opportuno l’espletamento di indagini per meglio verificare la sua effettiva sussistenza, ciò non comporterebbe affatto, di per sé solo, la necessità dell’informazione di garanzia all’interessato. Tale adempimento è, infatti, prescritto dalla legge solo per il caso che nel corso delle indagini si debba compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere. Il problema si pone, quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, solo con riguardo all’autopsia che si debba effettuare sul cadavere del soggetto che sia rimasto vittima dell’azione posta in essere dall’appartenente alla forza pubblica, trattandosi appunto di un atto al quale, per espressa disposizione di legge, il difensore ha diritto di assistere. Si potrebbe, pertanto, ritenere, che, almeno in questo caso, l’informazione di garanzia all’autore del fatto costituisca adempimento sempre e comunque ineludibile. Ma, a ben vedere, non è così. Se, infatti, nell’informativa di polizia, il fatto risulta riferito in termini tali da rendere inequivocabilmente configurabile la causa di giustificazione, i casi sono due: o l’autopsia conferma in pieno la presenza di detta causa, oppure non la conferma, facendo emergere elementi che la escludano o valgano, quanto meno, a metterla in dubbio. Nel primo caso l’autore del fatto non avrà, ovviamente, ragione alcuna di dolersi della mancata possibilità di far assistere un proprio difensore. Ma lo stesso vale anche nel secondo caso, per la diversa ragione che i risultati dell’autopsia avranno dimostrato la falsità o, quanto meno, l’incompletezza di quanto riferito nell’informativa di polizia di cui egli stesso è stato autore, avendo cosi creato le condizioni per le quali, fino a quel momento, sarebbe stata da ritenere esclusa ogni sua penale responsabilità e, quindi, ogni diritto a fruire di garanzie difensive. Perché, dunque, stando così le cose, in tutti i casi del genere di quello accennato all’inizio, si continua a ripetere la storiella dell’«atto dovuto» e a mantenere, conseguentemente, una prassi che, in realtà, non avrebbe ragione di essere ? Le risposte possono essere le più varie, ma una appare la più plausibile: quella, cioè, che, non di rado, negli uffici del pubblico ministero, giochi il comprensibile timore di subire, altrimenti, i temibili attacchi della folta e potente schiera dei «garantisti» a senso unico, per i quali, alla fin fine, se c’è qualcuno da dover piangere, è sempre meglio (salvo eccezioni) che sia un poliziotto piuttosto che un delinquente.Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione
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