2025-11-02
Roma rallenta ma sorpassa il trenino tedesco. Madrid e Parigi han poco da esultare
Italia e Germania soffrono la guerra commerciale globale, eppure la prima cresce come o più della seconda in 14 trimestri su 15. Il governo deve far salire la domanda.I dati dell’Istat pubblicati venerdì ci hanno consegnato la fotografia di un Paese la cui economia è sostanzialmente ferma da almeno sei trimestri. L’ultima variazione congiunturale degna di nota (+0,7%), risale al primo trimestre 2023. Da allora una sequenza di oscillazioni intorno allo zero. Sono dati grezzi la cui analisi deve cominciare dal confronto con i risultati conseguiti dalle altre tre principali economie dell’Eurozona (Germania, Francia e Spagna).E qui la lettura dei dati consente di fare valutazioni interessanti. Infatti negli ultimi 15 trimestri (dal primo del 2022, quando è si ulteriormente complicato lo scenario internazionale) l’Italia è cresciuta meno della media dell’Eurozona in ben nove trimestri, di cui sei sono proprio gli ultimi. Invece ha fatto registrare una crescita identica in tre trimestri e solo in tre trimestri ha fatto meglio.Rispetto alla Germania - che per evidenti motivi legati alla struttura e alle dimensioni del comparto manifatturiero costituisce la vera pietra di paragone - le cose però stanno diversamente. Infatti, in ben otto trimestri, l’Italia è cresciuta di più, in sei trimestri è cresciuta alla stessa velocità (si fa per dire…) e in un solo trimestre è cresciuta di meno.Questo è l’aspetto fondamentale che si deve osservare nel valutare l’andamento del nostro Paese. In sostanza, nella bufera, che ha piegato la sedicente locomotiva tedesca, l’Italia ha tenuto meglio.Il motivo per cui questo confronto è quasi l’unico che conta è la notevole somiglianza tra le due economie, in termini di propensione all’esportazione, dimensione del settore industriale e dimensioni dell’interscambio commerciale tra Roma e Berlino. In altre parole, se uno dei nostri principali clienti va in difficoltà è ragionevole attendersi un rallentamento del nostro Pil. L’Italia ha fatto meglio grazie a una maggiore diversificazione settoriale. Invece la Germania ha subito il rallentamento soprattutto di siderurgia, chimica e automotive, sotto i colpi congiunti dei costi dell’energia, dei dazi Usa e dell’incerto sviluppo dell’auto a motore elettrico.In definitiva, Italia e Germania, sia pure con alcune differenze, sono sulla prima linea del fuoco di una guerra commerciale di dimensioni planetarie, il cui asse principale congiunge Pechino e Washington, con Bruxelles nel ruolo di spettatore o, peggio, obiettivo delle mire espansionistiche di Cina e Usa.Si spiega così che nel terzo trimestre 2025, il Pil sia rimasto stabile rispetto al trimestre precedente, quando aveva fatto segnare una contrazione dello 0,1%. Su base annua, la crescita è stata dello 0,4% rispetto allo stesso trimestre 2024. Questa performance ha evitato per un soffio una recessione tecnica (due trimestri consecutivi negativi), ma ha deluso le attese degli economisti (che stimavano un +0,1%). La crescita nulla è il risultato di un calo della domanda interna compensato da un contributo positivo dal commercio estero netto. Sul lato dell’offerta, l’agricoltura è cresciuta, i servizi sono rimasti stazionari e l’industria è calata.L’Italia si è aggrappata ai soliti campioni della meccanica e della chimica e del minor costo dell’energia importata per trovare, nella componente estera, un contributo positivo alla crescita. È solo una magra consolazione che il settore dei servizi abbia tenuto, turismo in testa, a dispetto di tutta un’estate in cui certa stampa ha scelto di denigrare il nostro settore balneare.Invece, colpisce il calo della domanda interna, in entrambe le due sottovoci dei consumi e degli investimenti. E né si può mettere sul banco degli imputati una politica fiscale restrittiva. Poiché è vero che il deficit/Pil 2025 è stabilmente inferiore di alcuni decimali rispetto a quello del 2024, ma nei due anni il fabbisogno del settore statale cumulato gennaio-settembre è pressoché identico intorno ai 110 miliardi. E questa cifra è pesantemente influenzata dalle compensazioni dei crediti fiscali, tra cui primeggia il Superbonus, che sono soldi che comunque lo Stato sta immettendo nell’economia.I picchi nel tasso di crescita fatti registrare da Francia e Spagna, sono per diversi motivi, di scarso aiuto per spiegare la frenata italiana. Infatti il +0,6% di Madrid, dove il deficit/Pil nel 2025 dovrebbe attestarsi intorno al 2,8%, è l’effetto di una robusta crescita dei consumi privati e degli investimenti, con la componente estera stazionaria. Ma si tratta di consumi e investimenti finanziati da uno straordinario afflusso di capitali esteri, con la posizione netta sull’estero intorno a un preoccupante 44% del Pil (l’Italia è ampiamente positiva). Se quei capitali cambiassero direzione, la Spagna sarebbe in ginocchio.D’altro canto il +0,5% della Francia (anch’essa con una posizione sull’estero ampiamente negativa) è stato determinato da una forte crescita della componente estera, grazie a settori come farmaceutica, difesa e aereonautica, risparmiati dalla guerra commerciale internazionale. Per non parlare dell’effetto espansivo sulla domanda di un deficit/Pil 2025 stimato intorno al 5,4%.Tutto questo suggerisce al governo una strada per rilanciare il Paese: quella dello stimolo alla domanda interna, in cui il bilancio pubblico da un lato, e l’aumento dei salari reali dall’altro, sono le leve su cui agire.