2025-05-20
Accordo con l’Ue su pesca e Difesa. Giravolta di Londra e Brexit archiviata
Ampia intesa tra Starmer e i vertici di Bruxelles. Farage denuncia il tradimento del voto del 2016 e miete consensi.In Portogallo e Polonia i moderati escono vincitori, tallonati dai partiti anti establishment.Lo speciale contiene due articoli.L’unione di due debolezze non sempre fa la forza. Il premier britannico Keir Starmer, sprofondato nei sondaggi 13 punti sotto Nigel Farage, il papà della Brexit, prova a stringere una serie di accordi con Bruxelles, a sua volta sempre più tagliata fuori dalle grandi traiettorie della politica estera mondiale. Il primo risultato è che gli accordi tra Regno Unito e Unione europea calpestano in sostanza il voto popolare britannico di cinque anni fa. Alla faccia della sbandierata democrazia. Il grande «reset» delle relazioni tra Regno Unito e Ue è appena cominciato. I primi tre documenti firmati ieri da Starmer, Ursula von der Leyen e Antonio Costa (Consiglio europeo) parlano di partenariato in materia di difesa e sicurezza, indicano una serie di punti di vista comuni in molte materie e fissano un elenco di intese da raggiungere nei prossimi mesi. Londra potrà partecipare al programma Ue di difesa da 150 miliardi; ci sarà un allineamento degli standard sanitari e fitosanitari, le aree di pesca britanniche saranno aperte alla Ue per altri 12 anni; si prevede cooperazione sull’energia. Non solo, ma si discuterà della mobilità dei giovani cittadini Ue fra 18 e 30 anni per motivi di studio e di lavoro nel Regno Unito. Il tema degli studenti, nel Regno Unito, è caldissimo perché i conservatori e Reform Uk di Farage sono molto sensibili alla difesa dei confini. Ma al momento, in Inghilterra le maggiori proteste delle opposizioni sono concentrate sulle concessioni di Londra in tema di pesca. Farage ritiene che far entrare nelle acque nazionali per altri 12 anni i pescherecci europei «sarà la fine dell’industria britannica della pesca». E il leader conservatore Kemi Badenoch sottolinea che «12 anni è il triplo di quello che voleva il governo inglese». Insomma, la prima trattativa con Bruxelles sarebbe una mezza disfatta. Mentre la signora Badenoch tira le prime conclusioni: «Ancora una volta stiamo diventando un Paese che subisce regole da Bruxelles». L’ex premier tory Boris Johnson, tramite X, avverte che gli accordi annunciati ieri «finiscono chiaramente per spingere il Regno Unito ad accettare le leggi Ue in un vasto campo di temi, dagli standard del cibo fino al commercio di emissioni». Dal punto di vista pratico, gli accordi si dovrebbero tradurre presto anche in nuove regole per permettere agli studenti inglesi di partecipare all’Erasmus e ai viaggiatori britannici di godere di procedure di accesso facilitate negli aeroporti europei. Starmer ovviamente respinge le critiche e nega che «qualunque passo indietro rispetto alla Brexit», minimizzando quindi la portata pratica degli accordi con Bruxelles. Per il premier, l’intesa annunciata ieri sarebbe «equilibrata» e comporterebbe «enormi vantaggi» per il Regno Unito in almeno tre campi: riduzione delle bollette, creazione di più posti di lavoro e controllo delle frontiere. Gli fa eco la Von der Leyen, che definisce le intese «un accordo tra due partner amici, alleati e sovrani». In veste di pompiere anche la promessa di Antonio Costa: «Non si torna insieme». Tuttavia, lo stesso Starmer, oltre a parlare pubblicamente di accordo «win-win», ovvero dove tutti guadagnano, non riesce a trattenere la soddisfazione politica quando afferma che «la Gran Bretagna è tornata sulla scena internazionale». Usa espressioni decisamente enfatiche come «nuova era» e racconta di intesa con l’Ue che costituisce «una pietra miliare». Parole esaltanti che mal si conciliano con un qualcosa che a suo dire non sarebbe assolutamente una marcia indietro rispetto alla Brexit. Starmer gioca in difesa anche sul tema che oggi è più caldo sul fronte interno, ovvero la pesca. Per il leader laburista, visto che il 70% del pesce britannico finisce all’Unione europea, tanto vale non chiudere i mari ed evitare contrattazioni annuali sui tetti di pesca, «che renderebbero instabile il settore». Farage lo attacca e chiede polemicamente: «Se l’accordo fosse realtà, ucciderebbe la nostra pesca. Ma che cosa volete che gliene importi a uno come Starmer, un avvocato di Londra Nord?». Senza mezzi termini anche la reazione della Scottish Fishermen’s, l’organizzazione che rappresenta i pescatori: «Il nuovo accordo con Bruxelles per noi è solo uno show dell’orrore». Al di là dei singoli capitoli del dialogo ritrovato tra Londra e Bruxelles, mai come in queste settimane incapace di incidere sulla guerra ucraina, sui colloqui di pace e nella guerra dei dazi Usa, in questa vicenda pesano anche i drammatici sondaggi interni che finiscono ormai regolarmente sulla scrivania di Starmer. Quelli della scorsa settimana, davano il redivivo Farage e il suo Reform Uk in testa con il 33%, con tanti saluti ai partiti tradizionali. Il Labour sarebbe al 20% e i Conservatori sono in caduta libera al 16%. Gli osservatori inglesi sono convinti che ci sia un malcontento trasversale, con elettori delusi dai Tory e dal Labour, oltre che irritati dal fatto che alcune promesse post Brexit siano state disattese. E così c’è una corsa verso le insegne di Reform Uk, che ha sempre mostrato di voler combattere l’establishment, di Londra come di Bruxelles. E che oggi ha come temi centrali della propria battaglia l’immigrazione fuori controllo, il costo della vita e la grave crisi di molti servizi pubblici. Ora, con le marce indietro del «reset», Farage può aumentare ulteriormente i consensi, puntando sul fatto che la Brexit è stata decisa da referendum e voti parlamentari. Non da tre leader e un manipolo di lobbisti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/uk-accordo-ue-pesca-difesa-2672135068.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="portogallo-e-polonia-sinistre-a-pezzi-exploit-di-sovranisti-e-ultradestra" data-post-id="2672135068" data-published-at="1747691949" data-use-pagination="False"> Portogallo e Polonia, sinistre a pezzi. Exploit di sovranisti e ultradestra Spiazza il risultato delle elezioni in Polonia e in Portogallo: l’estrema destra avanza mentre i partiti di sinistra ne escono ammaccati. In Polonia, domenica, il candidato filo europeista del partito democratico e liberale Piattaforma civica, nonché sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, ha ottenuto il 31,4% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali, mentre il rivale nazionalista, Karol Nawrocki, ha raggiunto il 29,5%. Il primo, che è sostenuto dal premier Donal Tusk, era già dato per favorito con i sondaggi che però non prevedevano un divario così risicato con Nawrocki, appoggiato dal partito Diritto e giustizia (Pis) dell’ex primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Quindi è ancora tutto da decidere: i cittadini saranno chiamati nuovamente alle urne per il ballottaggio tra i due candidati il primo giugno. I primi commenti a caldo sono arrivati da Tusk, che sui social ha commentato: «Le prossime due settimane decideranno il futuro» della Polonia. E Trzaskowski ha aggiunto: «Non un passo indietro. Sono contento di aver vinto il primo turno delle elezioni ma c’è ancora molto lavoro da fare. È necessaria la massima determinazione». È consapevole però che sarà «una grande sfida» convincere i giovani «a votare» per lui. D’altro canto, Nawrocki, è intervenuto dicendo: «Non accetterò la firma di nuovi trattati dell’Ue e la perdita della sovranità della Polonia». Il candidato del Pis ha anche ribadito che non consentirà che «la sicurezza delle donne e degli uomini polacchi sia minacciata dai migranti illegali». Ma a sorprendere è stato anche chi ha occupato il terzo e il quarto posto negli exit poll: il libertario di destra del Confederation party, Slawomir Mentzen ha raggiunto il 15,4% dei voti, seguito dal candidato di estrema destra Grzegorz Braun con il 6,2%. Braun è ricordato per aver spento, nel 2023, un candelabro di Hanukkah nel Parlamento polacco con un estintore. E pare che sia stato soprattutto Mentzen ad attrarre i voti dei giovani elettori, che delusi dalla Piattaforma civica e dal Pis, hanno riposto una maggiore fiducia verso il suo programma improntato sull’euroscetticismo e sull’anti immigrazione. Spostandoci nel Paese iberico, nelle elezioni generali la coalizione di centrodestra Allenza democratica, già al potere in Portogallo, si conferma vincitrice con il 32,7% dei voti, tuttavia, non ha ottenuto la maggioranza assoluta. Si apre così uno scenario incerto visto che il primo ministro portoghese Luís Montenegro ha già reso noto che non intende governare con l’estrema destra. Ciò che ha destato maggiore stupore, infatti, con le elezioni di domenica, è stata l’avanzata dell’estrema destra Chega e la crisi dei socialisti. Chega ha ottenuto il 22,6%, avvicinandosi al partito socialista che ha raggiunto il 23,4%: entrambi quindi hanno 58 deputati. Inoltre, Chega, da terzo partito più votato potrebbe addirittura arrivare secondo visto che mancano ancora i collegi all’estero che eleggono quattro deputati. Quel che è certo è che il segretario socialista Pedro Nuno Santos si è dimesso dopo la sconfitta, riconoscendo che sono «tempi duri e difficili per la sinistra e per il Partito socialista». Nelle sue ultime dichiarazioni ha lanciato anche una stoccata contro Chega, affermando che «l’estrema destra è cresciuta ed è diventata più aggressiva e menzognera», dunque «bisognerà combatterla». E ha anche invitato i socialisti a non sostenere il nuovo governo di Montenegro, visto che il premier portoghese «non è idoneo a governare neanche dopo queste elezioni e ha presentato un programma che va contro i principi e i valori del Ps».
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