Dublino brucia da tre giorni. Ma è un incendio scomodo da gestire, da tante redazioni italiane non si vedono i bagliori. E quando si vedono vengono scambiati per estemporanei fenomeni temporaleschi; meglio procedere con l’ennesima intervista a Maurizio Landini. Nel frattempo «Violente proteste attorno a un centro che ospita richiedenti asilo», «Scontri tra polizia e dimostranti», «Sei persone arrestate, cresce il sentimento anti-immigrazione» sono i titoli di alcune agenzie; si strizza l’occhio all’intolleranza e niente di più. Così sembra che 2000 pacifici irlandesi istigati da malvagi estremisti di destra abbiano deciso di circondare il Citywest hotel nel quartiere periferico di Saggart per pura isteria razzista.
Poi leggi il Guardian e capisci. Nei dintorni di quello stabile trasformato in centro d’accoglienza si è consumata una violenza sessuale nei confronti di una bambina di dieci anni. Un richiedente asilo di 26 anni proveniente da lì è stato accusato di stupro per aver aggredito la vittima. L’identikit è sfumato, si tratterebbe di un uomo che al commissariato ha chiesto un interprete di romeno; nel marzo scorso aveva ricevuto un decreto di espulsione mai portato a termine, come spesso capita in Italia. Quindi libero di continuare a vivere nel sottobosco della criminalità e di adescare la bambina sotto tutela dello Stato, che si sarebbe allontanata da un altro centro di accoglienza.
La vicenda ha scatenato l’indignazione popolare, moltiplicata dall’effetto social. Il balbettio dei media e l’ignavia delle istituzioni hanno fatto il resto. Dapprima un centinaio di persone ha protestato pacificamente davanti al centro Citywest, ma quando la polizia lo ha circondato a protezione schierando gli agenti in equipaggiamento antisommossa che hanno caricato i cittadini per disperderli, l’indignazione si è trasformata in violenza. Con un crescendo da rivolta civile: sassaiola, petardi contro la Garda (il corpo di polizia irlandese), un’auto dei gendarmi data alle fiamme. I video rimbalzati sulla rete sono eloquenti: gente inferocita, capannelli con striscioni contro gli immigrati, qualche fanatico con il volto coperto da maschere con i colori nazionali in arrivo su cavalli da tiro. Perfino un sulky da ippodromo del trotto. Una ribellione popolare liquidata dai progressisti con una parola considerata un insulto: «Patriots».
Sei manifestanti sono stati arrestati mentre sullo stupratore è sceso il consueto peloso silenzio. Sulla rete è diventata virale la foto con una bambina che tiene al guinzaglio due cani con i canini affilati, con il commento: «È così che ciascuno di noi dovrebbe sentirsi nel proteggere i bambini». È la terza volta in meno di due anni che tutto ciò accade nell’isola, dove la diffidenza nei confronti dell’immigrazione clandestina si è trasformata in ostilità. E ogni volta ad appiccare l’incendio sociale è un fatto di cronaca nera che coinvolge minori aggrediti. Nel 2023 a Dublino si scatenò una guerriglia urbana con saccheggi nei negozi e incendi dolosi (34 arresti) dopo l’accoltellamento di tre bambini e una maestra all’esterno di una scuola materna; allora le forze dell’ordine avevano identificato il sospettato come Riad Bouchaker, di origine algerina. La scorsa primavera l’incendio si era trasferito nell’Irlanda del Nord, a Ballymena, Larne e a Nord di Belfast, in conseguenza di violenza sessuale su una ragazza.
Alla base dell’ipersensibilità c’è un combinato disposto di nazionalismo e paura determinata dalla crisi abitativa, dall’impoverimento generale e dalla percezione di insicurezza. Il comune denominatore dei disordini è l’ostilità nei confronti degli immigrati, il rigetto dell’accoglienza diffusa, il senso di protezione della terra dei padri violata. Come nelle precedenti occasioni, l’episodio è stato rapidamente trasformato in simbolo di un presunto fallimento delle politiche migratorie del governo, peraltro molto più prudenti che in quasi tutti i paesi dell’Unione europea.
Mentre in Italia l’intero «Dublin riot» sembra scivolare via nel disinteresse più assoluto, in Irlanda tiene banco con accenti drammatici. Il ministro della Giustizia, Jim O’Callaghan, ha condannato i disordini: «La protesta pacifica è una pietra miliare della nostra democrazia, la violenza no. La manifestazione del primo giorno era legittima, ma l’assalto alla polizia è inaccettabile e le persone coinvolte dovranno fare i conti con la giustizia». La risposta dei cittadini in rivolta è lapidaria: sarebbe stata la Garda a caricare per prima dei manifestanti inermi. Con una singolare dicotomia: se il Black Lives Matter fu considerato perfino nobile dalle anime belle della rivoluzione permanente, le proteste del White Lives Matter vengono dipinte come il male assoluto.
Il primo ministro irlandese, Michael Martin (leader di centrodestra in carica da inizio anno), sta tenendo una posizione più dialettica. Difende la polizia ma ha colto il senso più profondo di un malessere sociale che cova sotto la cenere, pronto a esplodere. «Il disordine violento non ha senso, i poliziotti fanno solo il loro dovere e meritano il nostro sostegno». Non ha però dimenticato di sottolineare la sconfitta dello Stato nel proteggere i cittadini. E prendendo la parola in parlamento ha quasi chiesto scusa: «Riconosco la rabbia e la preoccupazione di molte persone per l’aggressione. Chiaramente, c’è stato un fallimento delle istituzioni nel proteggere questa bambina».



