2021-09-19
«Ue e Nato scontano primavere arabe e ritiro da Kabul deciso da Obama»
Il presidente del comitato militare europeo Claudio Graziano: «Il riassetto globale parte nel 2011 con le scelte su Maghreb e Afghanistan. Ora margini per una nostra forza d'intervento. La Difesa comune inizi con cyber e spazio».Claudio Graziano, generale a quattro stelle, già capo di Stato maggiore in Italia, riveste il ruolo di presidente del comitato militare Ue nel momento in cui Bruxelles e a quanto sembra tutti i partner europei hanno deciso un forte cambio di passo. Integrare la Difesa in parallelo all'unione fiscale e forse ancor prima dell'unione bancaria. La cronaca di questi giorni - dal veloce ritiro da Kabul, fino alle tensioni diplomatiche tra Francia, Australia e Usa, passando per le grandi fragilità della Nato fino al discorso per lo Stato dell'Unione appena pronunciato dalla presidente Ursula Von der Leyen - sembra destinata a diventare un capitolo dei libri di storia. Al momento gli interrogativi sono numerosi. D'altronde ne va della sovranità dei singoli StatiGenerale, perché questa svolta improvvisa?«Né sul fronte della Nato né su quello della Difesa Ue direi non c'è nulla di improvviso. I segnali luminosi si sono accesi già nel 2011. Pensiamo al teatro di guerra dell'Afghanistan e a quello della Libia. L'attuale addio da Kabul non può certo definirsi una sconfitta militare. È il frutto di una scelta di ripiegamento voluta da Barack Obama. All'epoca, al di là del numero delle vittime, la componente militare Usa e Nato era ai massimi. Aver annunciato allora la fine della guerra non poteva che portare a quanto sta accadendo ora. Ci è voluto tempo, ma alla fine i talebani sono saliti al governo. D'altronde la fine di una guerra non si annuncia. Il conflitto termina solo quando deve terminare. A migliaia di chilometri, in un altro continente, nello stesso anno si è celebrato l'abbaglio delle Primavere arabe. In quel contesto, l'esperienza in Libia è stata l'ultimo intervento della Nato. Basti pensare che è dal 2011 che non si assiste a risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con l'ok di Russia e Cina. È un po' come se il multilateralismo che ha contraddistinto l'era Clinton fosse finito allora ma per vederne gli effetti abbiamo dovuto attendere la mossa concreta del cavallo (a Kabul) che ha spostato tutte le pedine. Adesso, si aprono spazi nuovi dentro i quali l'Unione europea necessiterà di muovere la propria forza di intervento».La crisi diplomatica per il mancato acquisto dei sommergibili francesi da parte dell'Australia nell'ambito dell'alleanza Indopacifica con Uk e Usa parte dunque da lontano…«Al di là del fatto industriale, quel tipo di asse geopolitico non ci deve certo stupire. Con la Brexit e dunque la maggiore proiezione della Gran Bretagna in quella parte del mondo e le relazioni strette con gli Stati Uniti si sta delineando una sfera d'influenza. L'asse europeo, rispetto al baricentro di questo scacchiere, diventa meno importante ma al tempo stesso l'Ue può accrescere il suo peso e interesse per altre parti di globo. Apprendiamo, come è accaduto a Ferragosto per il ritiro da Kabul, che anche per le scelte industriali attorno ad Aukus (l'accordo per la sicurezza nell'Indopacifico, ndr) l'Unione europea non sia stata consultata. Con ciò non bisogna certo fare valutazioni affrettate sul futuro della Nato. Ricordiamo che esiste sempre l'articolo 5 ai fini della sicurezza e che resta il pilastro dell'Alleanza. Per il resto è un consesso che discute in modo dinamico e continuerà a farlo».Quando la Von der Leyen dice che serve una Difesa Ue di fatto è consapevole di andare oltre gli attuali trattati. Ma è una reazione a questi spazi vuoti o buchi che nasce la Difesa comune a tutti i Paesi Ue o è una visione di respiro più ampio? Avete avuto modo di confrontarvi?«L'Ue certamente deve colmare degli spazi, necessita di una autonomia già nell'immediato. Ma non confonda le prospettive temporali. L'obiettivo a medio e lungo termine è quello di diventare una entità sovranazionale in grado di affrontare le sfide dirette e indirette. Il nostro Continente osserva da vicino quello che può essere definito il triangolo dell'instabilità. Terrorismo, Stati falliti e immigrazione come arma asimmetrica. Dobbiamo intervenire alla fonte per controllare e gestire le leve che armano i flussi. Nel Sahara e dove sarà necessario. Sono sfide concrete da affrontare al di fuori dei nostri confini e per farlo servono profondità diverse di Difesa. In qualità del presidente del Comitato militare Ue è mio compito confrontarmi con i vertici delle istituzioni Ue e quindi anche Von der Leyen. Siamo consapevoli che l'unione militare sia a livello iniziale e necessiti di integrazione industriale, nuova gestione dell'Iva sul comparto, condivisione di informazioni e progressiva compartecipazione».Quando si entra in un teatro bellico per missioni di pace o per stabilizzare l'area la cosa più importante è sapere chi decide e quale fazione appoggiare in loco. L'Europa non ha una politica estera unica. Non ha interessi condivisi, anzi spesso, ad esempio in Africa, discordanti. Come potremo avere un esercito unico senza queste premesse? «Sono interrogativi che dobbiamo porci e a cui dobbiamo dare necessariamente una risposta di coesione. Le sfide globali non possono essere ignorate. Esistono delle esigenze immediate. Ma la complessità del momento sta nel fatto che tutte le scelte vanno sviscerate ora sebbene serviranno a gestire sfide e rischi che andranno a maturazione domani, il prossimo anno o fra 30 anni».Quali sono le esigenze immediate?«Il primo passo è quello di creare una Difesa Ue nei campi della cybersecurity, dello spazio e dell'intelligenza artificiale. Sono teatri di guerra nei quali servono importanti investimenti. Serve una sovranità tecnologica europea per non restare schiacciati nella competizione Usa e Cina. Abbiamo importanti eccellenze italiane nel comparto che ora vanno sostenute per poter essere leader anche in scala europea. Non si può aspettare e tanto meno possiamo immaginare di muoverci singolarmente. Però ciò non basta. In parallelo è importante, come ha detto Von der Leyen, lavorare a una Early entry forces (un pacchetto di forze operative in grado di operare in tutti i domini e in tutti i teatri) che possa essere dislocato in brevissimo tempo e rispondere a necessità militari in senso stretto. Per abilitare questo pacchetto operativo è necessario adottare in tempi brevi la logica del common funding, ossia il finanziamento comune delle iniziative in materia di Difesa sicurezza Ue». Il premier Draghi e il ministro Guerini sono intervenuti in queste ore sul tema. Hanno parlato di costruzione di basi tecnologiche condivise. È la fase successiva?«La condivisione serve a non creare duplicazione e al tempo stesso a far convergere gli interessi geopolitici. Lavorare a una sovranità tecnologica significa pensare già al 2050. L'idea della maggioranza qualificata, emersa durante l'ultima riunione dei ministri della Difesa in Slovenia, è un pivot necessario a quel fine e anche per far crescere nel breve termine i progetti Pesco e le altre iniziative che consentono all'Ue di dislocare personale in Africa e in altre realtà instabili, che rientrano nel triangolo di cui abbiamo parlato prima». In Africa i cinesi sono molto radicati… «Guardi, le nostre uniformi sono già presenti per fare training, ora servirà accompagnare la Forze Armate dei Paesi che chiedono il nostro intervento fino a consentire una stabilità istituzionale delle nazioni interessate. Ci sono sempre interessi contrastanti, per questo serve fare il passo in avanti».