2023-11-09
L’Ucraina in Europa ci costerà 186 miliardi
Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky (Ansa)
Bruxelles ha avviato la pratica per l’ingresso di Kiev tra i 27: un rapporto interno dell’Ue, però, fornisce stime da salasso. A cui vanno aggiunte le enormi somme già spese in aiuti militari e in sussidi stanziati per tamponare la crisi energetica.Magari non è ancora la «conclusione storica» che ha annunciato Volodymyr Zelensky. Ma la strada è tracciata. Ieri, la Commissione europea ha pubblicato il report con il quale invita il Consiglio ad aprire i negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Dei sette interventi di riforma, chiesti per l’ammissione al club di Bruxelles, Kiev ne ha completati quattro.I tre che restano non sono quisquilie: lotta alla corruzione, legge anti oligarchi, tutela delle minoranze, a cominciare da quelle linguistiche. Tra cui, ironia della sorte, figurano i russofoni. La palla, adesso, passa ai leader dei 27 Stati, che si pronunceranno a dicembre. Il punto, però, è che dietro la retorica su libertà e democrazia che avanzano e sulla Russia che - ha sentenziato Ursula von der Leyen - manca i propri «obiettivi strategici», si staglia l’ombra di un conto salatissimo per il Vecchio continente.Avete idea di quanto ci costerà spalancare le porte agli alleati? Circa 186 miliardi di euro in sette anni. L’ha rivelato, un mese fa, Politico, citando una nota interna al Consiglio europeo. Considerando che l’Italia contribuisce più o meno al 12% delle finanze comunitarie, l’integrazione dell’Ucraina si tradurrebbe in un salasso di 22 miliardi, o giù di lì. E questo per il futuro. Ma di soldi ne abbiamo già sborsati tanti.Dall’inizio del conflitto, l’Unione ha speso 83 miliardi e 257 milioni in aiuti finanziari, militari, umanitari. E non è riuscita nemmeno a mantenere tutti gli impegni. Ad esempio, nonostante la rincorsa per destinare 500 milioni alle industrie della Difesa, così da garantire un milione di munizioni calibro 155 l’anno alla resistenza, le consegne sono al palo. Le aziende non stanno dietro alla domanda. Anche il progressivo distacco dalle forniture energetiche di Mosca ha avuto un impatto. Per schermare parzialmente aziende e famiglie dalla crisi del gas, gli Stati Ue hanno erogato 681 miliardi di euro in sussidi. Oltre agli aumenti dei prezzi di metano, specie se liquefatto, e carburanti. Solo così, arriviamo praticamente a 1.000 miliardi di salasso. Poi c’è un giro d’affari che si è eroso. Nel 2022, l’export dall’Europa alla Russia è crollato del 38%. In Italia, nel 2022, il calo era stato del 23,8%; nel primo semestre di quest’anno, del 18%. Per capire cosa significhi concretamente, basta farsi un giro in qualche distretto manifatturiero, dalle Marche al Veneto, o tra gli imprenditori che spedivano «oltrecortina» cibo e bevande. In compenso, Charles Michel, presidente dell’assemblea dei 27, si preoccupa degli agricoltori ucraini. E propone di comprare da loro il grano da spedire in Medio Oriente.D’accordo, abbiamo difeso «i nostri valori». Ma siamo certi che sia stato un trionfo?Agli Stati Uniti, la guerra per procura è servita senz’altro. Hanno inviato un messaggio indiretto alla Cina: un’invasione di Taiwan scatenerebbe la reazione occidentale e, dunque, Pechino dovrebbe soppesare bene i pro e i contro della campagna bellica che minaccia di attuare. Gli Usa hanno allargato la Nato a Est. Hanno sganciato la Germania dalla Russia, un loro vecchio pallino geopolitico. E ci hanno venduto un bel po’ di gas liquido. Anche gli americani hanno stanziato somme gigantesche, ma non hanno posato un singolo stivale sul terreno. Le scorie del conflitto le raccoglierà l’Europa.Vladimir Putin ha davvero fatto cilecca, come racconta la Von der Leyen? Di sicuro non è riuscito a rovesciare Zelensky. Di sicuro si è impantanato nelle trincee del Donbass. Ma l’immagine del leader isolato che ci vendono i media è imprecisa. Il Cremlino ha rafforzato la partnership con il Dragone, in posizione subordinata e tuttavia sufficiente ad assorbire l’interruzione dei rapporti commerciali col Vecchio continente. Ha consolidato il suo potere interno, neutralizzando l’insidia della Wagner. Ha accresciuto la sua influenza in Africa. Pare aver blindato il controllo del Mar Nero. Ora punta a uno sbocco nel Mediterraneo, grazie all’intesa con la Libia. E mentre noi dovremo sobbarcarci la ricostruzione della nazione che le sue bombe hanno distrutto, i russi, nelle zone occupate, dalle quali sarà difficile cacciarli, potrebbero sfruttare le miniere di materiali fondamentali per la nostra transizione ecologica, che già ci espone ai ricatti cinesi. In termini di sicurezza, invece? Cosa abbiamo guadagnato? Il contributo di Svezia e Finlandia all’Alleanza atlantica è dubbio, se il fine è limitare le turbolenze. Nel frattempo, Putin ha sbloccato i test nucleari. Inoltre, sia la Russia sia la Nato hanno sospeso il Trattato che regolamentava il dispiegamento di armi convenzionali in Europa. Il continente rischia di ridiventare il terreno dello stallo alla messicana tra contendenti che si tengono sotto tiro. È palese che, almeno nel breve periodo, l’Ucraina non potrà entrare nella Nato. Ma come contropartita per fare concessioni allo zar, bisognerà offrirle un ombrello difensivo, che in ogni caso scatterebbe all’entrata nell’Ue: lo prevede la clausola di mutua assistenza del Trattato di Lisbona. Un onere appesantito dal via libera, dato dalla Commissione, ai colloqui per includere nell’Unione Moldavia e Georgia, due fronti caldi del confronto con Mosca.Ecco. È questo il bilancio della guerra per procura di Washington, che non possiamo manco dichiarare vinta. Quasi due anni e centinaia di migliaia di vittime dopo, siamo solo più poveri. E meno sicuri.
Le rinnovabili mandano ancora in tilt la rete spagnola. I coltivatori di soia americani in crisi, la Cina non compra più. Terre rare, Pechino stringe ancora sull’export. Auto cinesi per rame iraniano, il baratto.
Federico Vecchioni (Imagoeconomica)