2024-08-30
Borrell fa il falco: sberle da Roma e Budapest
Josep Borrell e Dmitro Kuleba (Getty Images)
L’Alto rappresentante Ue riceve Kuleba, convinto di poter sconfiggere Mosca, e chiede di «rimuovere le restrizioni a Kiev sulle armi». Tajani: «Non siamo in conflitto con la Russia». Durissima l’Ungheria: «Furia pericolosa, dev’essere fermato».Zelensky, sguarnito sul fronte Sud, rischia di vedere soccombere i suoi nel Donbass.Lo speciale contiene due articoli.«Inutile» dare le armi all’Ucraina, se poi Kiev non può usarle liberamente in Russia e contro la Russia. Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per la politica estera, anche ieri ha approfittato di un incontro con il ministro degli esteri ucraino per lanciarsi in un ragionamento così semplificato e semplicista da fermarsi giusto a un passo dalla dichiarazione di guerra totale. Perché dopo l’eventuale rimozione delle restrizioni all’uso delle armi occidentali in Russia, resterebbe solo il coinvolgimento diretto nel conflitto tra Mosca e Kiev. Ovvero, schierare i soldati dei Paesi Ue. Le parole di Borrell hanno però registrato la puntuale smentita di Antonio Tajani, che a nome del governo italiano ha ribadito: «Noi e la Nato non siamo in guerra con la Russia». La nuova puntata della deriva guerrafondaia di un pezzo importante di Bruxelles è andata in scena nell’ambito di uno sgarbo alla presidenza di turno ungherese. Borrell ha sfilato a Budapest l’organizzazione della tradizionale due giorni informale esteri-difesa di fine agosto, che si tiene sempre nella nazione che ospita la presidenza di turno, sostenendo che «alcune posizioni del governo ungherese vanno direttamente contro la politica estera comune dell’Unione e quindi ho deciso io così». E a Bruxelles, ieri l’Alto rappresentante ha incontrato il ministro degli esteri ucraino, Dmitro Kuleba, a caccia di nuovi finanziamenti e di nuove armi. «Possiamo sconfiggere la Russia, lo abbiamo dimostrato», ha detto Kuleba, «ma dobbiamo poter colpire gli obiettivi militari legittimi dentro la Russia, gli aeroporti da dove partono gli attacchi per l’Ucraina». Il capo della diplomazia di Kiev ha anche chiesto pubblicamente che tutti i Paesi che si sono impegnati a consegnare i sistemi Patriots facciano l’ultimo passo formale e spediscano in Ucraina i missili terra-aria. Per tutta risposta, Borrell si è messo in mimetica. «Le restrizioni all’uso delle armi date all’Ucraina devono essere revocate e ci deve poter essere pieno utilizzo per colpire obiettivi militari in Russia in linea con le regole internazionali», ha affermato il politico spagnolo, che oltre a essere un pezzo grosso del partito socialista è anche un ingegnere aeronautico. Lo scorso 8 agosto la Commissione Ue aveva aperto alla possibilità che ieri Borrell ha cavalcato, ma la decisione spetta ancora ai singoli Stati. Il segnale comunque non è buono, almeno per chi spera che prima o poi si trovi un accordo di pace tra Ucraina e Russia, ovviamente sulla base di reciproche rinunce. Al posto di Borrell arriverà, con la nuova Commissione, l’ex premier estone, Kaja Kallas, che è ancora più falco di lui. In primavera, proprio la sua posizione di grande avversario della Russia e del regime di Vladimir Putin le era costata la nomina alla guida della Nato, alla quale poi è andato l’olandese Mark Rutte. Kallas aveva poi smontato il caso parlando della sua candidatura alla guida dell’organizzazione militare come di un «pesce d’aprile», ma aveva confermato che sarebbe comunque stata «un messaggio importante alla Russia e a Putin». Il messaggio da Bruxelles che darà al posto di Borrell farà rima con escalation? Purtroppo, dal punto di vista di un qualsiasi governo nazionale dopo il consenso all’uso delle armi in Russia c’è soltanto mandare i propri soldati a usarle. Contro una deriva simile, ieri, si è di nuovo speso pubblicamente il capo della Farnesina. Tajani è andato dritto contro Borrell, ricordando che «ogni Paese è libero di decidere come è giusto utilizzare le armi inviate all’Ucraina. Noi abbiamo inviato soprattutto armi difensive: adesso stiamo per inviare la nuova batteria Samp-T, che è difensiva e non può essere utilizzata in territorio russo». Il vicepremier in quota Forza Italia ha anche tenuto a sottolineare che «noi non siamo in guerra con la Russia, la Nato non è in guerra con la Russia e quindi per l’Italia rimane la posizione di utilizzare le nostre armi all’interno del territorio ucraino». Sono cose che Borrell e gli altri falchi alla Emmanuel Macron sanno perfettamente, ma le loro continue fughe in avanti sono ben studiate e servono a creare un consenso politico che oggi non c’è, abituando l’orecchio dell’opinione pubblica europea all’idea di una guerra diretta con la Russia. Non poteva ovviamente tacere l’Ungheria, al di là dell’ultimo sgarbo dell’Alto rappresentante. Il ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, ha definito quelle di Borrell «proposte sconsiderate da Bruxelles sia sull’Ucraina che sul Medio Oriente. La pericolosa furia dell’Alto rappresentante deve essere fermata. Non vogliamo altre armi in Ucraina, non vogliamo altri morti, non vogliamo un’escalation della guerra, non vogliamo un’escalation della crisi in Medio Oriente». Per la cronaca, Borrell ieri ha anche accusato l’Ue di poco coraggio nei confronti di Israele, sostenendo che «non dovremmo avere tabù» quando si parla dell’attuale governo di Tel Aviv. Intanto, sul fronte militare, la Russia continua a spostare le sue truppe migliori in territorio ucraino, per massimizzare le conquiste nel Donbass (ieri due nuovi villaggi conquistati), più che per difendere Belgorod e Kursk. Assai probabile che una strategia simile poggi sulla convinzione che alla fine si andrà verso un gigantesco baratto di territori con Kiev. Non a caso, due giorni fa l’analista Wolfgang Munchau scriveva sul Corriere della Sera che prima o poi «ci sarà qualcosa di molto simile allo scambio di prigionieri avvenuto di recente tra la Russia e l’Occidente». Sempre che qualche zelante non dichiari prima la terza guerra mondiale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ucraina-armi-borrell-2669100066.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zelensky-teme-di-perdere-pokrovsk-il-suo-generale-lotta-durissima" data-post-id="2669100066" data-published-at="1724964322" data-use-pagination="False"> Zelensky teme di perdere Pokrovsk. Il suo generale: «Lotta durissima» Volodymir Zelensky vuole altri missili e sempre più potenti perché dal fronte Sud-orientale arrivano pessime notizie. Se è vero che gli ucraini sono riusciti a colpire a Kursk alcuni palazzi - nel capoluogo russo si vota per i governatori mentre per la presidenza Zelensky, scaduta il 20 maggio, non c’è traccia di consultazione - e hanno attaccato uno snodo ferroviario, sono comunque ancora a oltre 50 chilometri dall’enclave putiniana. L’Agenzia per l’energia nucleare ha espresso fortissime preoccupazioni per gli attacchi ucraini alla centrale di Kursk dove, sostengono i russi, è stata disinnescata una bomba a grappolo. I russi invece avanzano ogni ora di più verso Pokrovsk; sarebbero a non più di 8 chilometri. Il comandante supremo dell’Ucraina, Oleksandr Syrskyi, ha confidato che «i combattimenti sono estremamente duri, per contrastare questa offensiva stiamo utilizzando anche metodi non ortodossi». Che cosa significhi Syrskyi non l’ha spiegato, ma resta ancora più difficile da spiegare perché l’Ucraina abbia deciso di lanciarsi in un’offensiva nella zona di Kursk per portare la guerra in territorio russo sguarnendo del tutto la difesa del Donbass. Pokrowsk è una sorta di porta d’ingresso a Kiev. Lì sono acquartierati alcuni dei reparti ucraini più forti - la brigata 59 - con unità specializzate nell’attacco con i droni, ma adesso temono di finire prigionieri. L’attacco russo si è concentrato lì perché se cade Pokrowsk si apre la strada alla conquista della mezzaluna del Donbass: Kostantynivka, Chasiv Yar e Kramatorsk. Da lì si arriva a Pavlograd, il centro minerario più importante di tutta la nazione. La tattica dei russi sembra cambiata nelle ultime ore; stanno cercando di fiaccare la resistenza «economica» dell’Ucraina. Hanno messo al buio diverse regioni attaccando centrali ed elettrodotti e puntano decisamente a conquistare linea ferroviaria di Novohrodivka verso Pokrovsk per tagliare la via di fuga degli ucraini (anche dei civili) dal Donetsk. I russi si sono attestati a Novohrodivka. Se cade, il Cremlino avrà la strada spianata sul fronte orientale dove i russi rivendicano di aver conquistato Stelmakhivka nel Luhansk e Mykolaivka, nella regione di Donetsk, 10 chilometri a Est di Pokrovsk. Che quello sia ora l’ombelico del conflitto è confermato dallo stesso Zelensky, che pure vantando di controllare oltre 1.200 chilometri di territorio russo, ma secondo il Financial Times in quell’operazione l’Ucraina ha mobilitato oltre 10.000 uomini sguarnendo del tutto il fronte orientale, sostiene che la situazione è molto difficile e ha elevato Pokrovsk al rango di Bakhmun, la città simbolo della resistenza. Anche l’offensiva su Belgorod, in territorio russo, che aveva come scopo quello di creare un diversivo, sembra non aver colto l’obiettivo, anche se ieri ci sono stati un morto, due feriti ed edifici danneggiati dai droni ucraini poi abbattuti. Mosca vuole avanzare evitando di prendere la città, ma chiudendo in una sacca i militari di Kiev. Il presidente ucraino ha ammesso che adesso la situazione nel Donbass si è complicata. Nella notte Mosca ha lanciato una nuova offensiva con missili e droni che hanno colpito anche a Kiev e Karkhiv. Il Wall Street Journal, riprendendo Der Spiegel, sostiene anche che i tedeschi si sono fatti scappare Wolodymyr Zhuravlov, uno dei sabotatori del gasdotto Nord Stream. Sul fronte del gas l’Ucraina ha deciso di non rinnovare i contratti di passaggio dalla Russia all’Europa il che non è un gran favore agli alleati.