2024-12-29
Trump chiede di congelare la legge sul bando di Tiktok negli Stati Uniti
Donald Trump (Getty Images)
Appello alla Corte suprema: il tycoon vuole usare il social per negoziare con Pechino.Donald Trump prova a mediare su Tiktok. Il presidente americano in pectore ha chiesto alla Corte suprema di posticipare l’entrata in vigore della legge che, approvata dal Congresso in aprile, impone il divieto del social cinese sul territorio americano, a meno che l’azienda che lo possiede, Bytedance, non ne ceda il controllo. La norma in questione dovrebbe scattare il 19 gennaio, vale a dire il giorno prima dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Il tycoon ha quindi chiesto più tempo, dicendo di voler «perseguire una risoluzione negoziata che potrebbe impedire la chiusura di Tiktok a livello nazionale, preservando così i diritti del primo emendamento di decine di milioni di americani, affrontando al contempo le preoccupazioni del governo in materia di sicurezza nazionale». Del resto, che il tycoon si fosse parzialmente ammorbidito nei confronti di Tiktok era diventato chiaro già la settimana scorsa, quando ne aveva ricevuto l’ad, Shou Chew, a Mar-a-Lago.E così, mentre si attendono i dibattimenti davanti alla Corte suprema previsti per il prossimo 10 gennaio, l’amministrazione Biden si è schierata contro la mossa di Trump, sostenendo che il social cinese rappresenta un grave rischio per la sicurezza nazionale americana. Il che fa emergere una sorta di capovolgimento a livello politico. Nell’agosto 2020, Trump aveva firmato degli ordini esecutivi per obbligare Bytedance a disinvestire da Tiktok, citando rischi per la sicurezza nazionale. Ne sorse un contenzioso legale, fin quando Joe Biden, insediatosi alla Casa Bianca, non revocò i decreti del predecessore nel gennaio 2021. A dicembre dell’anno successivo, il presidente uscente sembrò tuttavia convertirsi alla linea dura, firmando una legge che vietava l’uso dell’app di Tiktok sui device del governo federale. Inoltre, lo scorso aprile, ha siglato la legge per il potenziale divieto attualmente finita davanti alla Corte suprema. Eppure, a febbraio di quest’anno, Biden, all’epoca in campagna elettorale, decise di aprire un profilo su Tiktok. Trump lo imitò nel giugno successivo e Kamala Harris fece altrettanto a fine luglio, poco dopo essere scesa in campo per sostituire lo stesso Biden. Insomma, sulla questione si registrano comportamenti ondivaghi da entrambe le parti.A questo proposito, c’è da chiedersi quali siano le motivazioni che stanno muovendo attualmente il presidente americano in pectore. Innanzitutto, il tycoon deve mediare tra due correnti interne alla sua stessa coalizione elettorale: tra i fautori, cioè, della libertà di espressione e coloro che vedono in Tiktok uno strumento ostile nelle mani di Pechino. Non a caso, Trump ha detto di voler trovare un bilanciamento tra le due esigenze. D’altronde, lui stesso ha efficacemente usato Tiktok in campagna elettorale. E sa inoltre bene che la componente libertarian del suo elettorato considererebbe una forma di censura il divieto dell’app. Dall’altra parte, è altrettanto consapevole del fatto che gran parte del Partito repubblicano è storicamente ostile a questo social: si pensi solo al senatore Marco Rubio, che Trump ha nominato segretario di Stato. Infine, la mossa su Tiktok potrebbe rientrare in una più ampia strategia nei confronti di Pechino, per alternare bastone e carota. Trump ha nominato numerosi falchi anticinesi in vari posti chiave della sua amministrazione. E anche le sue dichiarazioni sul Canale di Panama vanno lette principalmente come una stoccata al Dragone. Non si può quindi escludere che voglia usare la «questione Tiktok» come strumento di parziale distensione. Senza comunque trascurare che l’obiettivo di Trump è un accordo, non l’abrogazione della legge di aprile sic et simpliciter.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)