2018-06-12
Trump ha suonato i tromboni faziosi
Il dramma dei presunti esperti che da due anni rischiano l'esaurimento nervoso a causa di The Donald. Da Hillary Clinton vincente, all'economia, alla politica internazionale degli Stati Uniti: non ne hanno azzeccata una. Nell'incontro con Jens Stoltenberg fugati i timori di uno strappo «La cooperazione con l'Ue va rafforzata nel Mediterraneo». Lo speciale contiene due articoli Donald Trump meriterebbe il Nobel: ma non solo quello per la pace, se andasse a buon fine il suo colloquio di oggi con il dittatore nordoreano. Anche un altro Nobel, a prescindere, solo per aver fatto impazzire gli «esperti», i parrucconi, i vecchi tromboni, le vedove di Barack Obama e di «, le Botteri di quasi tutti i canali tv, e naturalmente il Corrispondente unico, quello che firma con cognomi diversi sui giornaloni ma scrive sempre lo stesso articolo. Sono tutti in analisi o sotto psicofarmaci. Se li incontrate, siate gentili: da due anni, vivono dentro un incubo. Sono traumatizzati. Non hanno capito niente ma vorrebbero continuare a spiegare tutto. Stanno sempre in tv (e chi li schioda…), ma, sotto il velo di trucco e parrucco, potete intuire un'insicurezza, la fragilità di chi ha visto evaporare tutte le certezze, di chi ha visto saltare come birilli tutti gli schemini che (secondo loro) funzionavano da decenni. Come si dice in questi casi, ricapitoliamo in pochi punti essenziali. Primo: «Hillary ha già vinto». Ne erano straconvinti alla vigilia delle presidenziali del 2016. Prendetevi una mezz'ora di divertimento. Andatevi a recuperare i tweet di direttori e inviati nelle notti dei tre dibattiti televisivi tra la Clinton e Trump. Per loro non c'era partita: Hillary aveva stracciato Trump. Basta, partita chiusa. Oppure tornate alla notte di novembre dell'elezione di Trump: ancora c'era chi non si dava per vinto, direttori che pateticamente esibivano copertine già pronte su «come sarà il mondo con Hillary». Secondo: «L'economia americana collasserà». Con le ricette di Trump - gli «esperti» ne erano sicuri - sarà il disastro. Risultato? Una crescita che non si vedeva dai tempi di Ronald Reagan, e andamento dell'occupazione sensazionale: disoccupazione al 4%, e, nell'ultimo periodo, più posti di lavoro offerti di quanti lavoratori siano effettivamente disponibili per essere assunti. Terzo: «L'impeachment è sicuro». È rimasta l'ultima speranza del Corrispondente unico: che gli apparati, l'Fbi, il «deep state», il procuratore Robert Mueller possano «risolvere il problema». Ma ogni settimana Trump sembra più forte anche di inchieste che, su di lui, non hanno trovato niente. Quarto: « Trump è un fottuto isolazionista». I nostri «esperti» non avevano capito che «America first» non vuol dire «America alone». E dunque, una volta di più, sono stati spiazzati dal protagonismo di Trump in tutti i teatri mondiali. Tanto Obama aveva scelto un arretramento militare e morale pressoché ovunque, tanto Trump sta dimostrando che l'America c'è e intende essere protagonista. Quinto: «Il protezionismo di Trump ci rovinerà». Qui i nostri «esperti» giocavano sul sicuro (pensavano). Effettivamente la mossa trumpiana sui dazi era molto eterodossa rispetto alle abitudini liberoscambiste dei repubblicani. Ma non avevano calcolato lo spariglio al G7, dove Trump, per vedere il bluff di Angela Merkel e compari, ha proposto lui di abbattere tutti i dazi e tutte le tariffe tra alleati. Parliamoci chiaro: perché le auto Usa devono pagare il 15% per arrivare in Europa, e quelle tedesche solo il 2,5 per arrivare in America? Sesto: «Fallirà con l'Arabia Saudita». E invece no: Trump ha stabilito un filo diretto con il principe Mohammad Bin Salman, e ha favorito una storica apertura di quest'ultimo verso Israele. Una rivoluzione in Medio Oriente. Settimo: «Fallirà con l'Iran». Al contrario: tanto Obama si era fatto prendere in giro da Hassan Rouhani, tanto Trump ha messo all'angolo Teheran. Iran deal stracciato, regime isolato, impossibilità per l'Iran di continuare a usare la Siria come piattaforma logistica per attaccare Israele. Ottavo: «Fallirà con la Corea del Nord». Lo vedremo in queste ore, tutto è possibile, per carità. Certo, per il momento Trump è il primo leader occidentale che sia riuscito a stanare il regime comunista di Pyongyang, che da anni procedeva indisturbato con il suo programma nucleare. Nono: «Fallirà con la Cina». Questo lo dirà la storia. Il mix di militarismo cinese, autoritarismo e crescita economica impetuosa (favorita da tecniche commerciali predatorie e furto di proprietà intellettuale su larga scala) è inquietante. Ma se l'Occidente ha una speranza di ritardare l'ascesa cinese, questa speranza si chiama Trump. Il decimo punto lo scriviamo nei prossimi giorni: la materia non mancherà, c'è da esserne certi. E i motivi di panico e disperazione per i nostri «esperti» nemmeno. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-ha-suonato-i-tromboni-faziosi-2577227995.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-litalia-nella-nato-garantisce-conte-ma-su-russia-e-sud-e-ora-di-cambiare" data-post-id="2577227995" data-published-at="1757979277" data-use-pagination="False"> Per l’Italia nella Nato garantisce Conte: «Ma su Russia e Sud è ora di cambiare» Quello che si è svolto ieri a Palazzo Chigi era il primo incontro del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Un faccia a faccia dai toni cordiali, sul quale però pesavano le posizioni filorusse del governo italiano e i tweet infuocati del presidente americano Donald Trump, che a margine del turbolento G7 di Charlevoix, è tornato ad accusare i Paesi europei di non spendere abbastanza per la difesa comune. Conte ha confermato che l'Italia «crede fermamente nell'Alleanza Atlantica», la quale rimane «il pilastro della sicurezza europea e internazionale». Il premier si è detto d'accordo anche con «l'approccio a doppio binario» adottato dalla Nato con Mosca, cioè la fermezza sui principi accompagnata dalla disponibilità al dialogo. Il premier ha quindi confermato che il nostro Paese osserverà tutti gli obblighi previsti dal Patto atlantico: «L'Italia è riconosciuta come un Paese fornitore di sicurezza sul piano globale», ha spiegato Conte. «Non intendiamo sottrarci a questa responsabilità e ai nostri impegni di solidarietà e lealtà atlantica». Dunque, fugati i timori di uno strappo netto, che lo stesso Stoltenberg aveva maturato dopo le dichiarazioni del nostro primo ministro sull'opportunità di riammettere la Russia nel G8. Accolto, come da prassi, dal picchetto d'onore, il Segretario della Nato ha pertanto giudicato «molto buono» il suo incontro con Conte, ribadendo che «l'Italia è un membro stimato» dell'Alleanza atlantica e che il suo è un «ruolo essenziale per la nostra sicurezza comune». Il presidente del Consiglio ha comunque colto l'occasione per sollevare la questione della protezione delle frontiere esterne dell'Unione europea alla luce dei flussi migratori. «Non si può prescindere da una più intensa cooperazione tra Nato e Ue nel Mediterraneo e altrove», ha commentato Conte. «Il rafforzamento della dimensione europea sulla sicurezza, che consideriamo una priorità, perderebbe di senso ed efficacia al di fuori di un quadro di piena sinergia e complementarietà con le forze di cui è dotata» la Nato. La strategia del premier, in sostanza, è improntata alla moderazione, che tuttavia non vuole trasformarsi in arrendevolezza. In tal senso, un asse con Trump potrebbe spingere gli alleati a prendere in più seria considerazione l'ipotesi di una distensione con la Russia, costringendoli al contempo a non ignorare le loro responsabilità sul fronte mediterraneo, che per i mesi estivi si annuncia caldissimo. Cercare sponde a Washington, dove Conte ha in programma di recarsi a breve, potrebbe comunque implicare un costo. Quello dei contributi alla sicurezza comune è uno dei capitoli sui quali Trump sta insistendo maggiormente, nell'ambito della sua partita con l'Europa sui dazi. In uno degli ultimi tweet, l'inquilino della Casa Bianca ha criticato aspramente i concorrenti tedeschi, rei di spendere solo l'1% del Pil per la Nato, contro il 4% degli Stati Uniti. Un paio di giorni prima, Stoltenberg sembrava aver voluto stemperare sul nascere eventuali polemiche, osservando che la spesa di Canada e Paesi Ue per l'Alleanza Atlantica, nel 2017, è cresciuta «per il quarto anno consecutivo», trend che si confermerebbe anche nel 2018, con un +3.8% complessivo. Se l'Italia volesse fare leva sui pruriti di The Donald, allora, non si può escludere che debba poi accontentare gli Usa sull'incremento delle risorse destinate alla Nato, un punto chiave della retorica neo-isolazionista del tycoon. Roma, certo, non si sta limitando a osservare passivamente gli eventi. Domenica, Soltenberg aveva incontrato il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che ha incassato i ringraziamenti per il contributo del nostro Paese nelle missioni internazionali in Afghanistan e Kosovo, ma ha pure ottenuto «un accordo sull'importanza dell'approccio dualistico con la Russia», ovvero del dialogo quale alternativa all'escalation militare. Secondo Conte, «che la Russia abbia un ruolo essenziale in molti dei teatri di crisi internazionali è un dato di fatto. Senza un suo coinvolgimento», ha concluso il presidente del Consiglio, «riteniamo che sia molto difficile, se non impossibile, giungere a quelle soluzioni politiche che di tali crisi rappresentano l'unica via d'uscita realistica e durevole». Non bisogna dimenticare, d'altronde, che Conte e Stoltenberg hanno discusso altresì del vertice dell'Alleanza in programma per l'11 e 12 luglio prossimi, che all'ordine del giorno prevede «il rafforzamento degli sforzi della Nato per proiettare la stabilità e combattere il terrorismo attraverso il lancio di una nuova missione di addestramento in Iraq e un maggiore sostegno a Giordania e Tunisia». Il Patto atlantico, perciò, sembra tutt'altro che disposto al disimpegno. È tuttavia evidente che la presidenza Trump sta mettendo in discussione i fondamenti dell'ordine internazionale che l'Occidente aveva dato per assodato, ma che, dai summit dei Paesi industrializzati alle alleanze militari ereditate dalla guerra fredda, oggi appare scricchiolante. In fondo, quella stessa «collocazione internazionale» che l'ex premier Paolo Gentiloni ha esortato il suo successore a conservare, ha prodotto le sanzioni alla Russia, dannosissime per il nostro export, e la crisi libica. Sicuro che per noi lo status quo sia un grande affare? Alessandro Rico
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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