2025-06-17
Dazi al 10%, Usa e Ue verso l’accordo. L’America corre grazie a The Donald
Donald Trump (Getty Images)
Secondo indiscrezioni, l’intesa sarebbe vicina: la tecnica del presidente di colpire per primo ha pagato. Wall Street ha ripreso a guadagnare e il disavanzo commerciale è crollato a 60 miliardi dai 140 di marzo. A quanto pare, Trump ha ottenuto ciò che voleva. Ieri, infatti, è circolata voce di un accordo tra Stati Uniti ed Europa sui dazi. La Ue avrebbe accettato un’aliquota omnicomprensiva del 10% sui prodotti esportati verso l’America. Dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico per settimane si erano minacciati sfracelli, con ritorsioni e rincari, ma alla fine, come avevamo immaginato, il presidente Usa ha ridimensionato molto le sue pretese, passando da una tariffa del 50 per cento a una diminuita di quattro quinti. Trump, dunque, ha rinculato con la coda tra le gambe, accontentandosi del 10 per cento? Per rispondere con precisione bisognerebbe essere nella testa dell’inquilino della Casa Bianca, cosa assai difficile da farsi. Tuttavia, conoscendo un po’ il personaggio e il suo modo di alzare la posta per spaventare l’avversario, ho la sensazione che in mente abbia sempre avuto una tariffa al 10 per cento, capace di riequilibrare gli scambi commerciali tra noi e gli Stati Uniti.Del resto, ricordate il Liberation day, ossia il giorno in cui il presidente americano annunciò che gli Usa avrebbero imposto i dazi su qualsiasi importazione? All’inizio l’aliquota minima era proprio il 10 per cento, da rivedere e aumentare a seconda del deficit commerciale e per l’Europa l’asticella era stata fissata al 20. Alle reazioni inferocite dei partner commerciali, Trump aveva reagito proprio rincarando la dose. Non più dieci ma venti, trenta, cinquanta. Con la Cina addirittura è arrivato al 145 per cento e se a Pechino a un certo punto non avessero smesso di ribattere incremento su incremento forse sarebbe arrivato al 200 per cento o - perché no? - al trecento. Con l’Europa alla fine si era assestato su 50 per cento, cioè un’imposta che minacciava di mettere in ginocchio le nostre esportazioni. E però, visto il modo di fare aggressivo dell’uomo d’affari, era chiaro che quello era il suo modo di spaventare l’avversario: un calcio negli stinchi (ma forse anche in qualcos’altro di più sensibile) per dimostrare di essere il più forte e di essere pronto a picchiare duro in caso di mancato accordo.Anche se grossolana e poco piacevole, a quanto pare la tecnica di colpire per primo, lasciando quasi sotto shock l’interlocutore, sta funzionando. Con la Gran Bretagna, gli Stati Uniti hanno già raggiunto un’intesa. Con Messico e Canada sono in corso le trattative. Con l’India l’intesa sarebbe in via di perfezionamento e con la Cina, dopo le ripetute minacce dall’una e dall’altra parte, i negoziati sembrano avviati. Mentre per la Ue, come detto, ci sarebbe un accordo per fermarsi a una tariffa del 10 per cento. In pratica, Trump avrebbe ottenuto quel che voleva. O per lo meno buona parte di ciò a cui puntava. La strategia di picchiare per primo avrebbe raggiunto lo scopo.Certo, per mesi sia i governi occidentali che l’economia mondiale sono stati sull’ottovolante, in balìa di un commander in chief che sembrava (ma forse lo sembra un po’ anche adesso) pazzo e in preda a un delirio di onnipotenza. Ma se non ci si fa influenzare dalle uscite bizzarre e si va al sodo, ovvero all’andamento delle Borse e del commercio con l’estero, si scoprono verità sorprendenti.Primo: i mercati azionari, che avevano reagito con nervosismo alle decisioni di Trump, bruciando centinaia di miliardi di capitalizzazione, in breve si sono ripresi recuperando tutto, al punto che ora gli indici sono tornati a viaggiare al massimo. Secondo: in aprile il deficit commerciale Usa, che aveva spinto il presidente americano a dire che gli Stati Uniti erano derubati dagli stessi alleati, è sceso appena sopra 60 miliardi, contro i 140 di marzo. È vero: gli importatori hanno fatto scorta in vista dell’entrata in vigore dei dazi, ma il risultato è che la bilancia americana è migliorata, con un maggior numero di esportazioni. Insomma: i metodi di Trump possono anche non piacere e gli europei non saranno contenti di avere a che fare con un tipo del genere, però è innegabile che «il matto con i capelli arancioni», come lo chiamano alcuni commentatori, i suoi interessi li sa fare. P.s. Ieri l’ex governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha detto che nel mondo esiste un solo grande debitore, ovvero gli Stati Uniti, e per questo serve un riallineamento. Più o meno è la tesi di Trump.
Silvia Salis (Imagoeconomica)
Il vicepresidente americano J.D. Vance durante la visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme (Getty Images)
Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)