Decreti e veleni. Ma anche veline, passate ai giornali amici. Potremmo riassumere così la giornata di ieri. La Procura di Genova ha ordinato numerose perquisizioni e, in mattinata, hanno ricevuto la visita di finanzieri e uomini della Squadra mobile l’ex assessore alla Sicurezza e ai trasporti del capoluogo ligure, Antonino Sergio Gambino, il capo della polizia locale Gianluca Giurato e diversi agenti della municipale. A 15 «operatori del reparto Sicurezza urbana della polizia locale di Genova» sono contestati la «falsità ideologica in verbali e atti destinati all’autorità giudiziaria» e «lesioni aggravate», reati che i pm ritengono «siano stati commessi durante l’accompagnamento presso gli uffici di polizia locale di persone controllate o arrestate.
Gli agenti indagati sono accusati anche di «peculato di somme di denaro e di modiche quantità di droga leggera, che si ritiene siano state sottratte durante perquisizioni e controlli».
La neo sindaca Silvia Salis, prendendo la palla al balzo, ha subito annunciato una ridefinizione delle «competenze» dentro la polizia municipale e ha dettato la nuova linea: «Un approccio diverso da quello repressivo». Considerato quello che succede tutte le sere nei caruggi genovesi, auguri.
Per ora la prima cittadina non avrebbe preso provvedimenti né contro Giurato (anche se il comando è temporaneamente passato al vice Fabio Manzo), né contro i vigili finiti sotto inchiesta.
Il secondo filone, precisa la Procura, riguarda «episodi di asservimento delle funzioni pubbliche da parte» di Gambino «in favore di quattro imprenditori». Le pratiche al centro delle indagini riguarderebbero: «pubblici spettacoli; viabilità e trasporto pubblico; affidamenti di contratti pubblici per assistenza residenziale e accoglienza di soggetti vulnerabili (in particolare migranti e minori stranieri non accompagnati)». I favori sarebbero stati fatti «in cambio di denaro; altre utilità; sostegno elettorale».
Dopo le due notizie principali, dal comunicato della Procura, si apprende che il secondo filone ha al centro pure «presunte indebite rivelazioni di segreti d’ufficio, attribuite all’ex assessore e al comandante della polizia municipale, riguardanti la diffusione pre elettorale di informazioni riservate su un procedimento penale per un sinistro stradale che ha coinvolto una candidata a sindaco». Una storia raccontata in prima pagina dalla Verità il 16 maggio scorso. Ma anche se i pm, nel loro comunicato, fanno prudentemente riferimento a «presunte» soffiate, i cronisti del Fatto quotidiano, giornale vicino al Movimento 5 stelle, ieri mattina, hanno deciso che l’unica notizia degna di rilievo fosse quest’ultima, anche perché, nonostante il comunicato della Procura non li menzionasse, erano già in possesso di ghiotti retroscena: «Secondo i pm, il meloniano Sergio Gambino fece passare alla Verità un verbale segreto su un incidente stradale (in cui era stata coinvolta la sindaca di Genova, ndr)», si leggeva in un articolo pubblicato online e intitolato «L’ex assessore di Fdi ordinò al capo dei vigili un dossier per screditare Salis». In conclusione, per i colleghi, nel nostro scoop del 16 maggio «si nascondeva, secondo la Procura di Genova, una sorta di dossieraggio con mandanti politici». Tutte informazioni passate in tempo reale dal Palazzo di giustizia sul sito del Fatto quotidiano.
i grillini
E così, dopo il martirologio, è partita la beatificazione: «Dossieraggio contro Salis? Fdi non può stare in silenzio» ha subito gridato il senatore (ex) grillino Luca Pirondini. «Fatto gravissimo» gli ha fatto subito eco il parlamentare di Avs Angelo Bonelli. Il quale ha aggiunto, tutto serio: «Esprimiamo la nostra piena solidarietà a Silvia Salis, vittima di un’operazione di dossieraggio grave e inaccettabile». E, infine, ha chiesto alla premier Giorgia Meloni di «prendere le distanze pubblicamente da quanto accaduto», definendo il suo silenzio «inaccettabile». Mentre il mondo brucia, il primo ministro doveva intervenire su una questione giudiziaria dai contorni ancora tutti da definire. Ma così funziona il teatrino politico-mediatico.
La Salis ha aggiunto il carico, desiderosa com’è di prendersi una ribalta nazionale: «Su di me un dossieraggio ridicolo con attacchi personali, sono stata seguita, sono stati intervistati i negozianti del quartiere in cui vivo, i condomini del palazzo in cui ho un box (la cui destinazione d’uso sarebbe però quella di locale ad uso commerciale, ndr), e pensare che questa fosse una bomba mediatica la dice lunga sulla qualità della classe politica del centrodestra» ha detto. Quindi ha aggiunto: «Quando è uscita la notizia ho visto mia nonna e mia madre in lacrime, non se ne facevano una ragione, questa è stata l'unica cosa che mi è dispiaciuta perché ho capito subito che la mossa sarebbe stata totalmente inefficace». Infine, ha invitato i dipendenti comunali a «denunciare tempestivamente se dovesse succedere qualcosa come quello accaduto in questa vicenda»: «Il Comune di Genova non accetta atteggiamenti di prepotenza e prevaricazione e che i dirigenti vengano messi nelle condizioni di compiere atti contrari alla legge».
Ma torniamo all’articolo firmato da Marco Grasso, la pietra dello scandalo. Se il cronista non si fosse limitato a propalare le grida dei pm avrebbe comodamente potuto accertare che la notizia dell’incidente in cui era stata coinvolta la sindaca era stata raccontata dalla Verità attraverso la voce della vittima e del suo avvocato e non grazie a un fantomatico dossier di Gambino.
la vittima
A onor del vero, la signora investita aveva riferito al nostro giornale una notizia imprecisa, ovvero che la sindaca era transitata con il rosso e non con il verde con limitazione (la Salis aveva l’obbligo di dare la precedenza ai pedoni). Per questo titolammo: «Genova, passa col rosso e travolge una donna: indagata la Salis, candidata sindaco del Pd». La prima parte della notizia (quella di competenza di Gambino e della polizia municipale) era, dunque parzialmente inesatta, mentre la parte sull’inchiesta giudiziaria era stata confermata dai diretti interessati: la donna investita e il suo legale. Non si trattava quindi di notizie riservate dal momento che il procedimento era già arrivato davanti al giudice di pace e, comunque, l’iscrizione della Salis per lesioni partiva da una denuncia di parte che i diretti interessati potevano liberamente diffondere.
il verbale
La mattina in cui noi abbiamo pubblicato la notizia, il 16 maggio, i cronisti genovesi hanno ricevuto, intorno alle 9, sulle loro chat il «verbale di accertamento e contestazione di violazione» del 23 maggio 2024 inviato alla Salis dalla polizia municipale. In esso si leggeva che era stato contestato l’articolo del codice della strada che punisce il «conducente che transita in area di intersezione semaforica con luce verde» e «omette di dare la precedenza a pedoni e/o ciclisti il cui segnale semaforico dà contemporaneamente il consenso per l’attraversamento». La carta inizia a circolare come se fosse una smentita di quanto avevamo scritto sulla Verità. Chi ha diffuso il verbale? La stessa Salis? La polizia municipale? Gambino?
Quella mattina le agenzie riferirono che «lo staff di Salis smentisce categoricamente i fatti riportati», ricordando che «il verbale contestato alla candidata sindaca esplicita chiaramente che Salis sarebbe passata con il verde». Dunque, i primi a raccontare nel dettaglio le presunte carte segrete erano stati gli uomini della Salis.
A questo punto, dopo che abbiamo scoperto come nelle redazioni girasse la smentita riguardante il passaggio con il rosso, abbiamo cercato pure noi di recuperare la documentazione relativa all’incidente. Restano nei tabulati le telefonate del collega Fabio Amendolara, autore dello scoop, ai centralini della polizia municipale. Alla fine il nostro cronista venne dirottato verso l’ufficio stampa del Comune.
Nelle stesse ore Gambino diramò un comunicato stampa sbagliato, basato sul nostro articolo, e, subito dopo, diffuse una «rettifica» intitolata «Salis non passò con rosso. Mancata precedenza». Insomma, secondo il Fatto, l’assessore aveva preparato un dossier esplosivo («Doveva essere la bomba da sganciare in campagna elettorale per demolire la credibilità di Silvia Salis», scrive Grasso), ma non ne conosceva nemmeno il contenuto. Che cosa abbia scritto o detto mentre veniva intercettato non ci interessa. Ha provato a prendersi meriti che non aveva? Non lo sappiamo. Di certo la notizia dell’incidente non ce l’ha data lui e il contenuto del nostro primo articolo sta lì a dimostrarlo. Se l’assessore alla Sicurezza con delega alla polizia municipale e il capo dei vigili ci avessero voluto regalare un dossier, lo avrebbero infarcito di imprecisioni? Ma soprattutto perché Gambino avrebbe dovuto diramare un comunicato sbagliato?
la patente
Noi, nelle ore successive, siamo riusciti a scoprire che alla sindaca erano stati tolti 2 punti dalla patente e che le era stata sospesa la licenza di guida per 2 mesi. Notizie che non abbiamo avuto né da Gambino, né dal capo dei vigili.
Il nostro scoop è stato dunque un work in progress e non è stato realizzato grazie ad alcun dossier preconfezionato (ma poi perché le informazioni che riguardano la sinistra sono dossier e quella sulla destra sono, invece, notizie?). La nostra è stata un’attività d’inchiesta anche faticosa. A cui ha dato un contributo pure l’avvocato della vittima, che dopo un’iniziale ritrosia, ci ha concesso, il 16 maggio, un colloquio di oltre mezz’ora.
Al termine di questo articolato lavoro di ricerca siamo venuti in possesso della relazione della polizia locale sull’incidente. Non riveleremo qui le nostre fonti (la deontologia ci obbliga a proteggerle e il segreto professionale ci permette di farlo), ma di certo abbiamo messo le mani sulle carte relative al sinistro dopo i colleghi dei giornali locali, i quali, come detto, erano in possesso del verbale dei vigili già la mattina del 16 maggio.
Questi sono i fatti. Ovviamente Grasso (convinto che «a passare materialmente ai cronisti il verbale secretato sarebbe stato Gianluca Giurato, comandante della polizia municipale») li ha riportati solo parzialmente, troppo preso a sparare sui colleghi.
P.s. Nei mesi scorsi il cronista del Fatto quotidiano aveva inviato a chi scrive un messaggio per lamentarsi di non essere stato citato in un nostro articolo. Ma prima delle proteste aveva precisato: «Seguo con grande attenzione il vostro lavoro inchiestistico, tra i migliori d’Italia». E aveva chiuso assicurando «immutata stima». Quindi, caro Marco, anziché straparlare di dossieraggio per «un lavoro inchiestistico» che conosci bene e che hai dimostrato di apprezzare, avresti potuto farci uno squillo e chiedere la nostra versione.
P.p.s Come vedi questa volta ti abbiamo citato.
La litania della sinistra nelle ultime ore di campagna elettorale (si vota oggi sino alle 15 in quattro capoluoghi, Genova, Ravenna, Taranto e Matera) è stata quella degli attacchi personali rivolti alla loro candidata, l’ex campionessa del lancio del martello Silvia Salis. Hanno usato questo trito argomento un po’ tutti i leader politici che si sono avvicendati a Genova negli ultimi giorni di campagna elettorale, da Elly Schlein ad Angelo Bonelli.
In realtà nella parte finale della campagna sono emerse, anche grazie a questo giornale, diverse notizie che hanno permesso di sollevare dei dubbi sulla coerenza della candidata. Lei che parlava di sicurezza stradale un anno fa ha travolto sulle strisce un pedone che stava attraversando con il semaforo verde. Per questo la prefettura le ha sospeso la patente e tolto punti. In più l’assicurazione ha pagato oltre 30.000 euro di risarcimento e la vittima, costretta a 40 giorni di prognosi, si è lamentata perché la Salis non si sarebbe più fatta viva dal giorno dell’incidente. La candidata ha anche battuto il tasto dell’importanza del cosiddetto «commercio di prossimità», ma poi ha acquistato un negozio e lo ha trasformato in box per l’auto, causando le proteste dei condomini.
Ma lei che si lamenta dei colpi bassi è stata protetta da quasi tutti i giornali che, invece, di farle domande su tali questioni (immaginate se il protagonista di queste due vicende fosse stato il candidato del centro-destra), si sono premurati di non dare la notizia (dopo lunghe discussioni nelle chat di redazione) o di contrabbandarle come fake news. La Salis a un direttore di giornale ha dichiarato: «Quando si passa agli attacchi personali, alle foto in costume e alla vita privata, si vede che nel merito si hanno ben pochi argomenti». E il direttore a questo punto, invece di chiedere delucidazioni sui presunti attacchi, ha liquidato le notizie da noi pubblicate come falsità. Peccato che i lettori del suo quotidiano fossero all’oscuro degli argomenti citati e bollati come fake news dallo zelante giornalista: «L’hanno accusata per un semaforo rosso che invece era verde e per un parcheggio abusivo che invece era regolare» ha sostenuto il direttore, più interessato a blandire che ad approfondire. E di fronte a un simile assist, la Salis, che in pubblico tali argomenti aveva preferito non affrontarli (al pari della questione della sua laurea alla Link campus university) ha potuto marcare un bel punto: «Eh, sì appunto: non hanno argomenti e quindi devono inventarli».
Il soccorso dei media ha permesso alla candidata di non trovarsi in difficoltà in dibattiti e interviste e chi faceva domande vere come questo giornale ha trovato il muro del portavoce della Salis, Lorenzo Cecioni. Portavoce a disposizione solo dei giornali amici. E per evitare imbarazzi l’ex atleta ha pure evitato i confronti con «domande libere» richiesti con insistenza dal candidato del centro-destra Pietro Piciocchi, sindaco facente funzioni, avvocato di grande esperienza e, per 14 anni, docente della Bocconi.
Se lo schieramento conservatore avesse voluto tirare davvero dei colpi bassi, avrebbe avuto il modo. Ma non l’ha fatto.
Nel 2019 l’allora ministro della Lega Giulia Bongiorno ha incontrato alcune delle attrici, per lo più esordienti, che avevano raccontato, davanti alle telecamere delle Iene (in totale furono 15), una trama ricorrente: provini-farsa, avances spinte, contatti non voluti. Il nome che torna nei loro racconti è uno solo: Fausto Brizzi, il regista di commedie romantiche che nel 2020 ha sposato la Salis e che, in questa campagna elettorale, ha fatto il prezzemolino, infilandosi in interviste e foto e preoccupandosi della comunicazione visiva.
La Bongiorno, intervistata dalle Iene, si era offerta di rappresentare le presunte vittime. Dopo aver visto i video con le interviste alle ragazze, commentò: «Io consiglio di denunciare, dobbiamo avere fiducia che l'autorità giudiziaria accerti questi fatti, se sono racconti lineari, logici e credibili diventano una prova». Quindi aveva aggiunto: «È chiaro che se le dichiarazioni sono varie e coincidenti, l'unione di queste, se non c'è dietro un complotto, una sorta di invenzione, l'unione produce una prova straordinaria». E aveva lanciato un appello: «Denunciate, non abbiate paura. Altrimenti rimane il dubbio che non sia vero, basta con le cose mediatiche, andiamo in Tribunale». Infine aveva denunciato un presunto clima sfavorevole alle denunce: «Mentre in America le donne che sono uscite allo scoperto sono state celebrate in Italia se c'è una violenza posta in essere da un vip o un potente, la reazione è che “è colpa della ragazza”. La donna è molto sola quando subisce una violenza. Se il manager dice di non fare nulla, è chiaro che non verrà mai fuori niente».
La Bongiorno mise a disposizione la sua onlus, Doppia difesa, per raccogliere le storie di queste donne. Alla fine, però, solo in tre, seguite da un altro avvocato, hanno messo nero su bianco le accuse. Ma la Procura di Roma, nel giugno del 2019, ha chiesto il proscioglimento di Brizzi. Nelle cinque pagine del provvedimento di archiviazione, il gip definisce le accuse «evanescenti» e «impalpabili» e spiega che la denuncia presentata da una trentenne, alla quale era stato affidato il ruolo di comparsa in un film di Brizzi per 200 euro complessivi, è stata considerata «vaga e generica», anche alla luce dell'ambiguità del comportamento dalla stessa, che dopo aver testimoniato davanti all'autorità giudiziaria, «non si era astenuta dal ritornare presso lo studio professionale» di Brizzi. Le altre due querele, invece, sono state valutate come «tardive (presentate oltre quattro anni dopo i fatti, ndr)». E comunque, secondo il giudice, non c’erano «gli estremi per il delitto di violenza sessuale». Matteo Renzi prese le difese del regista: «Per mesi lo hanno mediaticamente massacrato con accuse di molestia infondate. Adesso tutto è stato archiviato. Qualcuno da stasera deve chiedere scusa a Brizzi».
Le Iene, invece, sfidarono il regista a querelarle.
In questa campagna elettorale nessun candidato del centro-destra ha rivangato quella triste storia, anche se non sarebbe stato difficile trovare una ragazza disposta a rispolverare le accuse contro Brizzi. Nessun riferimento neppure a un’altra vicenda spinosa. La Bongiorno, prima di occuparsi delle presunte molestie del regista, era stata l’avvocato proprio della Salis. Il 21 marzo 2016 il Tribunale nazionale antidoping ha assolto la campionessa, cancellando con un tratto di penna l’incubo cominciato tre anni prima (il 2 dicembre 2013). Quel giorno la Procura antidoping l'aveva inserita in un elenco di 26 atleti accusati di aver eluso sistematicamente i controlli, con violazioni del regolamento «whereabouts». Accuse che, se fossero state provate, avrebbero prodotto la squalifica per due anni e, probabilmente, la fine della carriera da dirigente sportivo della donna, una carriera che stava iniziando proprio in quel periodo, dopo la fine di quella agonistica. Nel 2012 era arrivata trentaseiesima alle Olimpiadi di Londra, nel 2013 aveva vinto il bronzo ai giochi del Mediterraneo, mentre nel 2015 era stata incoronata per l’ultima volta campionessa italiana. Nel 2016 entra nel Consiglio federale dell’atletica leggera con delega al marketing e alla comunicazione e nel 2017 fa il suo ingresso nel Consiglio federale del Coni. Ovviamente senza l’assoluzione del marzo del 2016, con al fianco la Bongiorno, tutto questo, a partire dalla carriera politica, non sarebbe stato possibile.