Alessandro Fedeli del team Gazprom-Rusvelo chiude secondo alle spalle del danese Jacob Hindsgaul Madsen (Uno X Pro Cycling Team). Matteo Malucelli protagonista della volata finale con il terzo posto dietro all'italo-polacco Jakub Mareczko (Alpecin-Fenix) e Arvid De Kleijn (Human Powered Health).
Alessandro Fedeli del team Gazprom-Rusvelo chiude secondo alle spalle del danese Jacob Hindsgaul Madsen (Uno X Pro Cycling Team). Matteo Malucelli protagonista della volata finale con il terzo posto dietro all'italo-polacco Jakub Mareczko (Alpecin-Fenix) e Arvid De Kleijn (Human Powered Health). Passerella doveva essere e passerella è stata per Jacob Hingsdaul Madsen. Il danese in sella all’Uno X Pro Cycling Team si è laureato campione del Tour d’Antalya chiudendo al primo posto la classifica generale grazie al punteggio di. Sul secondo gradino del podio della classifica generale è salito il nostro Alessandro Fedeli del team italorusso Gazprom-Rusvelo. Terzo il lussemburghese Luc Wirtgen del Bingoal Pauwels Sauces Wb. Di fatto è la replica del podio della terza e decisiva, possiamo dire a questo punto, tappa della corsa. Madsen, infatti, si è costruito un bel pezzetto di vittoria con la scalata di ieri a Termessos, vera tappa spartiacque del Tour e sliding doors per Fedeli. Il corridore italiano della Gazprom-Rusvelo ha chiuso al secondo posto nella classifica generale così come nella terza tappa, dove si è giocato tutto fino all’ultima curva nonostante un guasto al cambio della bici. Senza quell’imprevisto avrebbe potuto sicuramente ambire al gradino più alto de podio. Ed è lui stesso ad ammetterlo alla fine della gara: «C'è un po' di amaro in bocca perché la giornata di ieri è stata un po' sfortunata per la rottura del cambio e la chiusura un po' stretta dell'ultima curva. In una situazione normale avrei pensato di giocarmela molto meglio, ma è andata così e sono contento uguale». La quarta e ultima tappa, che si è sviluppata attorno alla città di Antalya attraverso un percorso lungo 162,1 chilometri, ha visto la fuga di tre corridori dopo i primi 10 chilometri: l'americano della Human Powered Health Kyle Peter Murphy, l'olandese della Abloc Ct Meindert Weulink e l'italiano del team Bardiani-Csf-Fainzanè Alessandro Tonelli. Dopo metà gara Weulink si è staccato e ha raggiunto il distacco massimo dal resto del gruppo, trainato dall'Uno X Pro Cycling Team, di 3'30''. L'olandese dell'Abloc Ct non è riuscito però a mantenere quel ritmo e così a 30 chilometri dal traguardo è stato riagguantato dal resto del gruppo. Da qui è subentrata un'altra azione: questa volta firmata dal corridore della Nazionale tedesca Pirmin Benz, dal belga della Saris Rouvy Sauerland Team Abram Stockman e dall'irlandese della Wiv Sungod Matthew Teggart. I tre hanno tentato una fuga portandosi a poco più di un minuto di vantaggio dal resto del gruppo, ma sono stati ripresi a 10 chilometri dalla fine. Entrati negli ultimi 3 chilometri De Kleijn ha tentato l'affondo finale ma a 200 metri dalla linea del traguardo si è visto sorpassare da Mareczko tra gli applausi e la festa della gente di Antalya. Nella classifica finale della quarta e ultima tappa, oltre a Malucelli terzo, da segnalare anche il quarto posto di Enrico Zanoncello, del team Bardiani-Csf-Fainzanè. Chiude con un bilancio più che positivo, anche se puntava legittimamente a qualcosa di più, Matteo Malucelli, compagno di squadra di Fedeli, che si è reso protagonista, dopo la vittoria della prima tappa, della volata finale ad Antalya con il terzo posto alle spalle dell'olandese del team Human Powered Health Arvid De Kleijn e del connazionale Jakub Mareczko, nato in Polonia a Jaroslav, ma cresciuto in Italia, a Raffa di Puegnago del Garda nel Bresciano. Anche per il corridore italiano dell'Alpecin-Fenix è stato un Tour d'Antalya tutto sommato positivo che lo ha visto salire due volte sul podio (secondo nella tappa d'esordio da Side ad Antalya e primo in quella finale) e conquistare la maglia Gialla finale che lo premia come miglior sprinter del Tour. Gli altri premi, oltre alla maglia Magenta conquistata ovviamente dal vincitore Madsen, sono andati al britannico della Wiv Sungod Jacob Scott, maglia Verde per la consapevolezza ai cambiamenti climatici, e al ceco del Team Felbermayr Simplon Wels Daniel Turek, maglia Orange in qualità di miglior scalatore. Dopo la cerimonia di premiazione, tenutasi in Piazza della Repubblica con la presenza delle autorità, il ministro della Gioventù e dello Sport, Mehmet Muharrem Kasapoğlu, il governatore di Antalya Ersin Yazıcı, il sindaco di Muratpaşa Ümit Uysal, il sindaco della municipalità metropolitana di Antalya Muhittin Insect, il presidente della Federazione ciclistica turca Emin Müftüoğlu, il presidente del consiglio di amministrazione di Corendon Airlines Yıldıray Karaer, il presidente di Touristica Burak Tombul e il direttore generale di Froport Tav Antalya Deniz Varol, Madsen ha raggiunto la conferenza stampa dove ha potuto finalmente esternare tutta la sua gioia per la vittoria: «È difficile da credere. Per me è stato il primo tour vinto, ma spero non sia l'ultimo» - ha confessato il danese della Uno X Pro Cycling Team - «La gara è iniziata con un buon inizio. Molte squadre hanno lavorato per ottenere la fuga, ma il mio team è riuscito a controllato molto bene i nostri avversari. Abbiamo fatto un ottimo lavoro. Nell'ultima parte era necessario stare vicini ai primi e ce l'abbiamo fatta. Sono molto felice». Il nome di Madsen va ad aggiungersi nell'albo del Tour d'Antalya a quelli del russo Artem Ovechkin, vincitore nel 2018, del polacco Szymon Rekita, campione nel 2019, e del britannico Max Stedman, primo nel 2020.
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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