2023-07-02
L’Eliseo vuole sfruttare gli scontri per eliminare le voci sgradite online
Nel riquadro, il giornalista Toby Young (Getty Images)
Il modello di censura si sta imponendo nell’Ue. Il giornalista Toby Young: «È come col Covid».In Occidente sta per scattare un’azione di censura e controllo dell’informazione di tale portata da mettere in ombra tutto quanto sperimentato finora. Le pressioni cui abbiamo assistito in materia di Covid, vaccini e guerra russoucraina, ma anche le «punizioni» inflitte tramite sia oscuramenti online sia silenziamenti da parte di giornali e tv dei contenuti giudicati non politically correct, erano solo un assaggio: la mordacchia alle opinioni non allineate verrà ulteriormente stretta per non intralciare lo storytelling del pensiero unico che, per riuscire, non deve avere sbavature.Sulla libertà di espressione e sul diritto all’informazione non incombe solo il nuovo European media freedom act, il progetto di legge Ue di cui ha dato conto «La Verità in questi giorni, che attraverso una norma - voluta dalla Francia - bypassa le garanzie a tutela dei giornalisti consentendo ai governi di spiarli per fini di «sicurezza nazionale»: più realisti del re, i singoli Stati stanno preparano norme ancora più severe. Emmanuel Macron è arrivato persino a mettere in relazione con la rete le violenze a sfondo razziale che stanno infiammando il Paese: «Piattaforme e social network giocano un ruolo considerevole nei movimenti degli ultimi giorni», ha detto, annunciando «diversi passi nelle prossime ore» per organizzare «il ritiro dei contenuti più sensibili».È una strada già aperta dai Paesi anglosassoni: misure draconiane si stanno mettendo a punto in Irlanda, dove secondo il Criminal justice bill appena passato alla Camera e in discussione al Senato, diventerà reato punibile con fino a cinque anni di carcere incitare all’odio contro una persona o un gruppo di persone in base alle loro caratteristiche «protette», come razza, colore, nazionalità, religione, disabilità, orientamento sessuale e genere. Laddove però il concetto di «odio» non è definito e rischia quindi di essere usato dai censori woke per silenziare ogni opinione sgradita. Il disegno di legge considera reato pure il mero possesso di materiale suscettibile di incitare all’odio, anche se non lo si è condiviso con nessuno. Basterà dimostrare che c’era l’intenzione di condividerlo e l’onere di provare l’opposto spetterà all’imputato. In Inghilterra, la legge sulla sicurezza online (Online safety bill) conferirà agli enti di regolamentazione delle trasmissioni radiotelevisive il potere di disciplinare i social media, e una sorveglianza analoga si sta predisponendo in Nuova Zelanda, mentre in Australia un progetto di legge punta a fare dell’Autorità per le comunicazioni e i media l’arbitro della verità, in grado di rimuovere dai social tutto ciò che viene ritenuto «disinformazione».È evidente che siamo davanti a un’operazione a tenaglia di repressione che non ha precedenti. «Un’evoluzione preoccupante e sinistra, la più grande minaccia alla libertà di parola che dobbiamo fronteggiare oggi a livello mondiale», sostiene Toby Young, editorialista britannico che ha fondato tre anni fa la Free speech union, organismo di pubblico interesse che si prefigge di difendere la libertà di pensiero e supportare dal punto di vista legale, strategico e comunicativo le vittime della nuova censura trasversale. «Un movimento globale e ben coordinato usa il pretesto della lotta a disinformazione, misinformazione e linguaggio d’odio per eliminare il dissenso e qualsiasi contenuto che sfidi l’ortodossia ufficiale», dice Young, per il quale questo attacco alla libertà di parola, inedito dai tempi della seconda guerra mondiale, è cominciato una ventina di anni fa. «Il network informatico creato nella prima decade degli anni Duemila con il dichiarato intento di tutelare la popolazione dai nemici esterni, dalle minacce terroristiche straniere e dalle interferenze elettorali estere, è progressivamente passato dall’occuparsi di sicurezza nazionale a spiare e monitorare i contenuti postati dai cittadini sui social».Un cambio di rotta che Young attribuisce principalmente a due fatti accaduti nel 2016: la Brexit e l’elezione di Donald Trump. «Questi eventi hanno provocato il panico nelle élite: hanno visto che la gente non votava come loro volevano e hanno incolpato la disinformazione praticata non solo da bot russi o cinesi ma anche da attori interni. Di qui la decisione di stringere il controllo per ridurre il rischio che le elezioni successive andassero nella stessa direzione». La reazione terrorizzata di fronte al populismo, sostiene Young, ha portato a rottamare quella capacità - la «dottrina del contro discorso» - che consiste nel controbattere a contenuti reputati falsi argomentando, e non sopprimendoli. «Lungi dal mettere in causa le proprie fallimentari politiche globaliste e neoliberiste e dal riconoscere il conflitto valoriale nella società, la sola spiegazione che le élites sono riuscite a trovare è che le persone avessero votato per Trump o per la Brexit perché traviate da cattiva informazione».Fatta l’analisi resta da capire la cosa forse più importante: come è possibile che le persone non si accorgano di quello che sta accadendo e credano al racconto che giustifica misure antidemocratiche in nome di una presunta «protezione»? Per Young il segreto sta nella combinazione tra l’ideologia woke e l’appeal esercitato da concetti e linguaggi che rimandano alla compassione e alla sicurezza: «Si fa credere alle persone che debbano essere protette dai cattivi che le ingannano a colpi di disinformazione e dai gruppi di estrema destra che spargono odio e fomentano divisione, razzismo, omofobia e transfobia. Si dice: se noi non filtriamo i contenuti, i più vulnerabili soffriranno e noi abbiamo il dovere morale di proteggerli». Nel mentre ci si guarda bene dal menzionare la censura e, anzi, «davanti a questa obiezione si ostenta di essere favorevoli alla libertà di espressione, assicurando che mai essa sarà messa a rischio, salvo aggiungere che però deve esserci un limite, affinché le persone non vengano ingannate e manipolate dai cattivoni».È lo stesso principio che ha sostenuto i lockdown: «Chi avrebbe detto che popoli che si sono opposti al nazismo e poi al comunismo in nome della libertà sarebbero stati così pronti a sacrificarla per proteggersi da un virus che ora sappiamo essere stato poco più pericoloso di una brutta influenza? Ci siamo confinati in casa, abbiamo chiuso scuole e aziende causando enormi danni ai giovani, compromesso i servizi sanitari, distrutto le nostre economie e creato un’inflazione galoppante che sta gettando il mondo nella recessione anche perché chi ha promosso tutte queste misure lo ha fatto in nome della protezione dei fragili». Di questo inganno, fa notare Young, hanno fatto le spese proprio le categorie che si diceva di voler proteggere: «I più danneggiati sono stati gli anziani e i bambini, come sempre accade quando si attuano politiche divisive». Un motivo in più per «scardinare questa impostazione e mostrare alle persone che tutto ciò non viene fatto nel loro interesse ma nell’interesse di una élite globale ricca e potente. Protezione e sicurezza sono la cortina fumogena dietro la quale ci stanno sottraendo le nostre libertà».