2024-05-26
La «tecnonatalità» non riempirà le culle vuote
Il problema demografico arriva sull’«Economist»: il settimanale liberal boccia i bonus economici, ma spinge sull’«invenzione di nuove tecnologie». Una soluzione gradita al primo azionista Exor, che sta investendo in sanità. Ma la via d’uscita è culturale.In Occidente l’inverno demografico è arrivato da un pezzo. Un problema enorme, anzi epocale, che però è stato trattato con sufficienza e persino con fastidio dai politici e dagli intellettuali mainstream. Fino a fare dell’infertilità un vero e proprio tabù (basti pensare a tutti gli insulti piovuti addosso a Elon Musk, che ha più volte sollevato la questione). Adesso, però, le proiezioni sono diventate catastrofiche e anche i più distratti stanno iniziando a capire: la denatalità priva i popoli del loro futuro e porta con sé un declino che è al tempo stesso sociale, economico e militare. Nel 2023, ad esempio, la Francia è scesa per la prima volta sotto le 700.000 nascite, ossia il livello più basso dal dopoguerra a oggi. E così Emmanuel Macron, che culla sogni di gloria e rinnovata grandeur, lo scorso gennaio ha parlato della necessità di un «riarmo demografico» (ultimamente il linguaggio bellico è molto di moda dalle parti dell’Eliseo). Poi, certo, il presidente transalpino, in preda a una singolare schizofrenia, ha anche spinto per inserire il «diritto all’aborto» in Costituzione. Ma l’urgenza del momento Macron sembra averla capita: l’inverno demografico mal si concilia con ambizioni geopolitiche e proiezione di potenza. L’emergenza, ovviamente, non riguarda solo la Francia, ma tutti i Paesi ricchi. Tant’è che l’Economist, infrangendo il tabù, ha dedicato il suo nuovo numero proprio al problema delle nascite. I numeri forniti dal celebre settimanale britannico, una bibbia per i liberal, sono agghiaccianti: il tasso di natalità medio in Occidente viaggia da anni intorno a 1,6 figli per donna, laddove il «tasso di sostituzione» (quello che serve per tamponare i decessi) è invece di 2,1. In questa triste classifica, la Corea del Sud si aggiudica la palma di nazione più sterile tra i Paesi sviluppati, con un tasso dello 0,7. Di questo passo, si legge nell’editoriale dell’Economist, avremo popolazioni sempre più vecchie e sempre meno numerose. Il che, naturalmente, implica sconquassi di proporzioni quasi apocalittiche: molto presto le decimate schiere dei lavoratori non riusciranno più a sostenere le pensioni di legioni di anziani. Che fare, quindi? Gli immigrati, fa notare l’Economist in maniera sorprendente, non sono una soluzione credibile: «L’immigrazione altamente qualificata può colmare le lacune fiscali, ma non indefinitamente, dato che la fertilità è destinata a calare a livello globale». Il settimanale britannico, inoltre, valuta che le politiche pronataliste messe finora in campo dai Paesi più avanzati non hanno funzionato (la disastrata Corea del Sud è arrivata a stanziare la bellezza di 70.000 dollari per ogni nuovo nato). I sussidi e gli incentivi economici, sostiene l’Economist, possono tutt’al più agevolare le fasce più povere della popolazione, ma non sarebbero in grado di risolvere il problema alla radice. Questo perché «tali politiche si fondano su una diagnosi errata di cosa ha finora provocato il declino demografico». Secondo il settimanale, infatti, la carriera professionale non è la causa principale che spinge le donne a fare meno figli (o a farli in età più avanzata). Anzi, spiega l’Economist, le ricerche condotte finora non hanno fornito prove convincenti a sostegno di questa tesi. In sostanza, anche se non viene detto esplicitamente, è chiaro che la denatalità ha radici soprattutto culturali, non solo economiche: l’individualismo liberal, il femminismo esasperato e l’ambientalismo misantropico, promossi con indefessa tenacia dall’intellighenzia globalista, adesso presentano il conto. Un conto quantomai salato.Così, tuttavia, la domanda rimane: che fare? In primo luogo, l’Economist suggerisce di ripensare l’intera architettura dello Stato sociale: l’età della pensione deve essere alzata drasticamente. In pratica, ci toccherà lavorare dalla culla alla tomba, senza soluzione di continuità. In secondo luogo, «bisogna incoraggiare l’invenzione e l’adozione di nuove tecnologie». Sebbene non venga detto chiaramente quali sarebbero queste «nuove tecnologie», è ipotizzabile che il settimanale britannico si riferisca a pratiche controverse - per usare un eufemismo - come la fecondazione assistita e l’utero in affitto. L’Economist, del resto, è di proprietà degli Agnelli-Elkann e proprio di recente John Elkann ha annunciato di aver investito 4 miliardi di euro nel settore sanitario. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Non è un caso che, concludendo l’editoriale, il settimanale britannico promuova con tanta energia lo sviluppo di tali tecnologie, sentenziando al contempo che le politiche pronataliste sarebbero «un errore sociale ed economico di stampo retrogrado».Le agevolazioni economiche possono senz’altro aiutare - ed è bene che vengano implementate - ma non esauriscono minimamente un problema di natura epocale. Se i figli continuano a essere percepiti come un costo o un peso, non c’è baby bonus che tenga. Ecco perché qui occorre condurre una battaglia culturale d’ampio respiro. È la via più difficile, certo, ma anche l’unica che ci è rimasta. L’alternativa, d’altronde, si chiama estinzione.