2025-11-05
Neppure il baratro frena Bruxelles. Nuovi obiettivi green entro il 2040
Gilberto Pichetto Fratin (Ansa)
I ministri dell’Ambiente dei 27 si sono riuniti ieri per cercare un accordo sulla modifica alla legge sul clima Si parte dalla proposta di ridurre del 90% le emissioni nei prossimi 15 anni. Sì condizionato della Meloni.Ieri a Bruxelles si sono riuniti al Consiglio ambiente i ministri degli Stati membri dell’Ue per cercare un accordo sulla modifica della legge europea sul clima (Climate law). La modifica, sotto la forma di un emendamento, intende stabilire un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di CO2 per il 2040, rispetto all’obiettivo finale di zero emissioni al 2050. La discussione partiva dalla proposta presentata dalla Commissione europea di un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Tale obiettivo intermedio non era previsto nella Climate law, ma è stato voluto dalla Commissione e dal Consiglio per rafforzare l’obiettivo di zero emissioni al 2050.Il tempo però stringe. Si arriva in extremis a decidere su un tema scottante dopo che a settembre i leader in Consiglio non erano riusciti a concordare una linea comune per l’opposizione di alcuni Paesi, tra cui la Francia e la Polonia. Ma ora la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha bisogno di sapere che cosa dire agli altri leader mondiali alla Cop30 di Belém, in Brasile, in programma questo novembre. Alcuni governi nella riunione di ieri hanno espresso il loro no a un obiettivo vincolante del 90% al 2040, come Slovacchia e Ungheria. Altri come la Polonia sono contrari, a meno di ampie flessibilità e una clausola di revisione dell’obiettivo. Si tratta di Paesi che contano ancora molto sui combustibili fossili. Olanda, Svezia e Spagna invece spingono sull’acceleratore.Il ministro spagnolo per la Transizione ecologica, Sara Aagesen Muñoz, ha detto che, come Europa, «dobbiamo far vedere che manteniamo la leadership climatica e che teniamo alta la competitività». Il che suona piuttosto come un ossimoro. La Germania è d’accordo sull’obiettivo di riduzione del 90% al 2040, ma con una clausola di revisione e con la possibilità di compensare il 3% della riduzione con crediti internazionali. La Francia ha chiesto di introdurre una clausola che tenga conto dell’assorbimento naturale della CO2 attraverso le foreste. Monique Barbut, il ministro francese per l’energia, ha detto che ridurre le emissioni europee non cambia di una virgola la situazione climatica: «Le catastrofi in Europa non sono collegate alle emissioni europee. Vanno ridotte le emissioni del resto del mondo, altrimenti non succederà nulla al cambiamento climatico». Affermazione fatta allo scopo di ottenere che almeno il 5% degli obiettivi Ue di riduzione della CO2 al 2040 arrivi da crediti internazionali, conseguiti grazie a progetti nei Paesi in via di sviluppo. Questi progetti potrebbero essere a cura di aziende di tutto il mondo che poi avrebbero la possibilità di vendere alle aziende europee i crediti guadagnati dalla riduzione della CO2. Qualche governo rileva, non a torto, che sarebbe meglio investire nel sostegno alle industrie europee piuttosto che nell’acquisto di crediti di CO2 esteri.L’Italia, come ha già detto Giorgia Meloni in parlamento giorni fa, è per un sì condizionato, cioè con la possibilità di compensare almeno il 5% dell’obiettivo con i crediti internazionali di carbonio e considerando nei calcoli gli assorbimenti naturali. Inoltre Meloni, come la Francia, vuole una clausola di revisione che lasci agli Stati la possibilità di non restare appesi a obiettivi irraggiungibili e costosi. Posizione ripetuta ieri dal ministro Gilberto Pichetto Fratin.Il testo che ne uscirà sarà probabilmente un compromesso, con il sì al 5% di crediti internazionali e la revisione ogni due anni. La decisione del Consiglio ambiente è a maggioranza qualificata e al momento in cui questo articolo viene chiuso la riunione è ancora in corso. Anche perché, in vista della conferenza Cop30 in Brasile dal 10 al 21 novembre, i ministri devono pure approvare il contributo determinato a livello nazionale (Ndc) dell’Ue per il periodo successivo al 2030, secondo gli Accordi di Parigi. Questo definisce gli sforzi compiuti da ciascun Paese per ridurre le emissioni nazionali e l’Ue presenta un unico Ndc a nome dei suoi Stati membri. Le discussioni sono tesissime perché riguardano quale fardello di riduzione delle emissioni toccherà a ciascuno stato dopo il 2030. Il discorso si interseca con la decisione del -90% al 2040, perché questi Ndc riportano un obiettivo di riduzione al 2035 tra il -66,25% e il -72,5%, alterando notevolmente la curva per raggiungere il -90% al 2040.Insomma, l’Ue continua a dibattersi nelle sue fisime: anziché sostenere l’industria in crisi nera, Bruxelles si affanna a danneggiarla un po’ meno di quanto stava facendo fino a ieri. Non una grande prospettiva, si tratta sempre di assestare martellate al sistema industriale europeo.Intanto, da Bruxelles versante parlamento europeo è emerso ieri che i coordinatori della Commissione ambiente hanno deciso che la settimana prossima si voterà su un testo di modifica della Climate law, con un emendamento di compromesso identico al testo del Consiglio Ue. L’accordo tra governi diventa dunque il testo su cui anche il Parlamento voterà, facilitando l’esito del trilogo successivo (visto che la maggioranza di Ppe, Renew e sinistre lo voterà). Si conferma quindi che sui grandi temi il Partito popolare al Parlamento europeo preferisce accordi timidi e di facciata con S&D e le sinistre, piuttosto che avere un atteggiamento più coraggioso alleandosi con la destra.
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