Sarà il 12 giugno l’appuntamento con le urne per il referendum sulla giustizia, che prevede principalmente la separazione delle carriere dei magistrati (tra giudice e pubblico ministero) e la scelta per sorteggio dei membri dell’Associazione nazionale magistrati. Mentre il confronto tra maggioranza e opposizione è sempre acceso, i Comitati del «Sì» e del «No» sono pronti a informare i cittadini.
Ma se la maggioranza è «unita» nella comunicazione, nell’opposizione non c’è compattezza sia sulle ragioni del «No», sia sul modo di affrontare la campagna referendaria. «Come avevamo annunciato da tempo, oggi (ieri, ndr) presentiamo il Comitato “Sì separa” della Fondazione Einaudi, attraverso il quale sosterremo con grande convinzione la riforma della giustizia, appena approvata dal Parlamento, in vista del referendum che si terrà il prossimo anno». Così ieri il presidente della Fondazione Einaudi, Giuseppe Benedetto, durante la presentazione alla Camera. «Un Comitato fatto di donne e uomini autorevoli, uniti dalla comune convinzione che quella sulla separazione delle carriere dei magistrati sia una battaglia di civiltà. La sfida che ci accompagnerà fino alla primavera del 2026 sarà quella di informare in modo corretto i cittadini sul merito della riforma, ricercando un linguaggio semplice ma mai facili slogan. Proveremo, attraverso il confronto, a spiegare loro come cambia la magistratura se vince il sì e a convincerli che questa è una riforma necessaria». Il Comitato ha già raccolto quasi 1.500 persone e l’obiettivo è aprire sedi locali in tutto il Paese. «Molti cittadini ci chiedono in che modo possono essere coinvolti per dare una mano e ci propongono di organizzare iniziative, segno che quello della giustizia è un tema molto più sentito di quanto si voglia far credere» ha concluso Benedetto.
Dalla parte del «Si» si posiziona la maggior parte degli avvocati, stanno acquisendo molta visibilità quelli legati direttamente e indirettamente all’Unione delle Camere penali italiane. Nel Comitato «Sì separa» anche l’ex presidente dell’Unione, Gian Domenico Caiazza, già legale di Enzo Tortora, Marco Pannella ed Emma Bonino (nel 2024 ha corso per le europee con Matteo Renzi, mancando però l’elezione), Andrea Cangini, segretario della Fondazione e già senatore di FI, l’ex pm di Mani pulite, Antonio Di Pietro, il giornalista Pierluigi Battista, l’ex giudice costituzionale Nicolò Zanon e il presidente di +Europa, Matteo Hallissey. In campo anche l’attuale presidente dell’Unione delle Camere penali, Francesco Petrelli, con il Comitato «Vota Sì, è giusto!». Al Comitato hanno già aderito numerose organizzazioni, tra cui l’Organismo unitario dell’avvocatura, l’Unione nazionale delle Camere civili, Nessuno tocchi Caino, la Fondazione Enzo Tortora, i Radicali italiani, Extrema ratio, Italiastatodidiritto, Rete forense, Europa radicale e altre associazioni. Infine, fra i promotori del «Comitato Giuliano Vassalli per il Sì» ci sono gli ex ministri Claudio Signorile, Salvo Andò e il socialista Fabrizio Cicchitto.
Sul fronte opposto a guidare il Comitato per il «No» alla riforma Nordio, presentato due giorni fa, c’è un avvocato torinese, il costituzionalista Enrico Grosso, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Torino, figlio del celebre giurista Carlo Federico Grosso. La clausola, inserita nello statuto del Comitato, che ne vieta l’iscrizione a «persone che abbiano o abbiano avuto incarichi in partiti politici o in associazioni con esplicite finalità elettorali» tiene fuori nomi di peso, come lo scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio, già eurodeputato del Pd. Le motivazioni del «No» riguardano sostanzialmente l’inconsistenza della riforma a fronte dei tanti problemi della giustizia, dalla lunghezza dei processi al sovraffollamento carcerario, nonché il tentativo di indebolire l’indipendenza della magistratura perché sia più assoggettata al potere di chi governa.







