È stata effettuata lo scorso venerdì l'ispezione del server di Rcs spa, l'azienda che ha fatto le intercettazioni con il trojan (virus informatico) sul cellulare dell'ex magistrato Luca Palamara. Dunque dopo la sospensione dell'attività di captazione per presunte irregolarità, imposta dal procuratore di Napoli Giovanni Melillo, negli uffici partenopei della società milanese si sono presentati gli agenti della polizia postale. La circostanza è emersa perché il decreto di attività ispettiva, disposto dalle Procure di Napoli e Firenze, è stato depositato nel corso dell'ultima udienza preliminare del procedimento perugino a carico di Palamara. L'esito degli accertamenti, che sarà completato nei prossimi giorni, potrebbe essere il passaggio fondamentale sull'utilizzabilità delle intercettazioni. Non bisogna dimenticare che sull'operato di Rcs stanno indagando le toghe di Firenze e Napoli. Nel capoluogo toscano sono stati iscritti nel registro degli indagati Fabio Cameirana e Duilio Bianchi: ai quali i pm fiorentini, coordinati dal procuratore aggiunto Luca Turco, contestano a vario titolo la frode nelle pubbliche forniture, falso ideologico in atto pubblico per induzione e falsa testimonianza innanzi al Csm. In particolare Bianchi è accusato perché non aveva mai detto, prima di essere scoperto dalla difesa dell'onorevole Cosimo Ferri (incolpato al Csm per i fatti dell'hotel Champagne), che per ottenere i dati provenienti dal cellulare di Palamara, la sua divisione usava all'insaputa di tutti due server collocati presso la Procura di Napoli anziché negli uffici giudiziari di Roma, come era stato dichiarato e autorizzato dagli inquirenti perugini. Nel fascicolo d'indagine napoletano, oltre a Bianchi e Cameirana, sono finiti Alberto Chiappino (presidente di Rcs) e Michele Tomba, a cui i pm contestano a vario titolo l'accesso abusivo al sistema informatico e frode in pubbliche forniture. Inciso: tutti gli indagati sono soci o vantano partecipazioni societarie in aziende riconducibili a Rcs. Dal decreto di ispezione si legge che gli agenti della polizia postale controlleranno «i server principali costituenti l'architettura di Rcs “centralizzata", adottata in via esclusiva sino al 2019 (server CSS, server HDM, server IVS) […]; all'interno di ciascuno di tali server, l'ispezione potrebbe proseguire nella visualizzazione, attraverso il lancio di appositi comandi, del contenuto delle directory ove dovrebbero giungere e transitare i dati relativi all'intercettazione dal server CSS (ed eventualmente dall'HDM) destinati al server IVS, ove vengono registrati e visualizzati». E ancora: «In sede ispettiva, si potrebbe procedere altresì alla visualizzazione delle funzioni di gestione del sistema nel suo complesso e alla visualizzazione dei file di log (tracciano accessi di ogni operatore al server, ndr), di sistema ed applicativi, con particolare riferimento a quelli relativi alle modalità e ai tempi delle funzioni di raccolta, trasferimento e successiva cancellazione dei dati dell'intercettazione». Ieri al termine dell'udienza preliminare di fronte al gup di Perugia, Piercarlo Frabotta, i difensori di Palamara (Roberto Rampioni, Benedetto e Mariano Buratti) hanno dichiarato: «Nel decreto di ispezione si afferma chiaramente che Rcs abbia contravvenuto alle regole dettate dalla Procura di Napoli ignara del server centralizzato di proprietà privata per la gestione delle intercettazioni di tutte le procure italiane». Prossima udienza il 27 maggio, quando verranno sentiti gli agenti della polizia postale che hanno fatto l'ispezione nella sede di Rcs.
I presunti «server occulti» del caso Palamara diventano ben più di una suggestione difensiva. Il gup del Tribunale di Firenze, Piercarlo Frabotta, ha deciso infatti di sentire, nel corso della prossima udienza del 17 maggio, gli agenti della polizia postale che, per conto delle Procure di Firenze e di Napoli, stanno indagando sul traffico dati proveniente dal trojan inoculato nel cellulare dell'ex pm. Come rivelato dalla Verità nelle scorse settimane, anche l'ufficio giudiziario del capoluogo campano ha deciso infatti di approfondire alcuni aspetti della denuncia presentata dal deputato Cosimo Ferri sulle modalità di gestione dei flussi digitali. Denuncia che poi ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati del manager Rcs, Duilio Bianchi, a Firenze per frode in forniture. Bianchi è stato sentito come indagato in procedimento connesso proprio ieri in Umbria nel corso dell'udienza preliminare a carico di Luca Palamara, Fabrizio Centofanti e Adele Attisani. Tema del contendere tra accusa e difesa sono le regole d'ingaggio per ritenere legittime le intercettazioni tramite virus informatico. A cominciare dal luogo fisico in cui esse passano o si fermano. «Bianchi ha confermato che il server era a Napoli presso il loro ufficio e che poi sarebbe stato trasferito alla procura partenopea e già questo per noi mette una pietra tombale sulle intercettazioni», ha detto uno dei difensori di Palamara, l'avvocato Benedetto Buratti. Secondo la società Rcs, invece, la tappa napoletana dei flussi di traffico del trojan avrebbe rappresentato solo un «attraversamento» intermedio verso la centrale di ascolto e stoccaggio delle informazioni allestita presso la Procura di Roma.
«Questo secondo noi è in palese violazione della norma sulle intercettazioni mediante captatore informatico e lo sarebbe anche per quanto riguarda anche quelle tradizionali», ha aggiunto Buratti. «Bianchi ha concluso definendo dal punto di vista tecnico il server di Napoli “di transito", per noi non lo è e lo spiegheranno i nostri consulenti». Nelle prossime settimane, emerge dalle attività d'inchiesta dei pm napoletani e fiorentini, i server di Rcs saranno comunque ispezionati dagli esperti del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche. Tra le chiacchierate catturate dal trojan, c'è anche quella ormai famosa dell'hotel Champagne a cui parteciparono cinque ex consiglieri del Csm oltre ai deputati Ferri e Luca Lotti. Uno dei capisaldi del Palamara-gate sulle presunte manovre per scegliere il nuovo procuratore di Roma.
Il processo avviato dalla Procura di Perugia contro Luca Palamara & C. è finito sull'orlo di un buco nero. La canna della presunta pistola fumante degli inquirenti, le intercettazioni effettuate con il celeberrimo trojan, come nei cartoni animati, si è rivolta contro lo sparatore. Infatti per inoculare quel virus digitale nell'iphone di Palamara avrebbero dovuto essere rispettate alcune elementari regole d'ingaggio e sembra, come è stato rivelato nell'udienza preliminare di ieri, che non sia stato fatto.
Per esempio non sarebbe stato indicato correttamente il luogo fisico da cui sono transitati i dati trasmessi dalla microspia inserita nel telefonino. Sino a ieri era per tutti pacifico che quel luogo fosse una stanza appositamente attrezzata dentro alla Procura di Roma da una società informatica privata milanese, la Rcs Spa, che aveva fornito il captatore. Invece, le registrazioni delle famose serate di Palamara con i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri e altri consiglieri del Csm sono transitate su un server che si trovava a pochi metri dalla stazione di Napoli Centrale e precisamente dentro la Procura partenopea, al tredicesimo piano dell'isola E/5 (nello stesso Centro direzionale, in un edificio adiacente, la Rcs ha anche una sede di rappresentanza). Per questo, adesso, è stato aperto un fascicolo d'inchiesta per frode nelle pubbliche forniture e altri reati e le difese sostengono che quel materiale sia diventato tutto inutilizzabile. Il cinquantenne ingegnere Duilio Bianchi, direttore della cosiddetta divisione Ip della Rcs (che dà assistenza tecnica sulle intercettazioni telematiche), oggi indagato, aveva provato a negare in una sede istituzionale come il Csm, durante il procedimento disciplinare contro Palamara (poi espulso). L'avvocato generale Piero Gaeta, il 30 settembre 2020, gli aveva chiesto: «Quindi ci conferma che non c'era assolutamente alcun server intermedio tra l'apparecchio intercettato e il server della Procura?». E Bianchi aveva risposto: «No, va direttamente sul server della Procura». Che, come aveva già precisato, era quella della Capitale.
Lo schemino delle captazioni che aveva consegnato agli inquirenti era chiarissimo: dal cellulare, attraverso la nuvoletta di Internet, i dati venivano trasferiti direttamente nei server della «Procura di Roma». Ma nella vicenda c'era anche un'altra questione non troppo trasparente, ovvero la paternità della app Carrier inoculata dentro al cellulare di Palamara.
I vertici dell'azienda hanno sempre detto di aver prodotto in proprio il software, il cui certificato, però, risulta intestato alla Tykelab di Roma, Srl schermata da una fiduciaria. Solo ora è stato chiarito che dietro alla fiduciaria ci sarebbero i vertici della Rcs. Tutto questo si è venuto a sapere grazie alla testardaggine della difesa del parlamentare di Italia viva Ferri, rappresentata dall'avvocato Luigi Panella e dal consulente tecnico Paolo Reale. Quest'ultimo si è accorto che l'indirizzo Ip del server su cui venivano deviati i dati registrati dal trojan si trovava in Campania anziché nel Lazio e ha anche scoperto la proprietà dell'app. Con queste informazioni in mano, Ferri ha presentato alla Procura di Napoli un esposto, ipotizzando i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e di associazione per delinquere. Le sue richieste sono state girate dagli inquirenti campani alla Procura di Perugia e da questa a quella di Firenze che da tempo indaga sulle presunte anomalie dell'indagine umbra anche sulla base di un'analoga denuncia di Palamara. Risultato: adesso Bianchi, in Toscana, è indagato per frode nelle pubbliche forniture, falso ideologico in atto pubblico per induzione (avrebbe tratto in errore i magistrati di Perugia) e falsa testimonianza innanzi al Csm.
Le dichiarazioni dell'ingegnere hanno aperto una voragine in cui rischia di essere risucchiata l'intera inchiesta, visto che l'utilizzo dei computer napoletani non è mai stato approvato dall'autorità giudiziaria. Sul punto Panella aveva dato battaglia a inizio marzo davanti al Csm: «Qui stiamo parlando eventualmente di un server che non risulta autorizzato da nessuna parte, cioè di un server, per usare un'espressione cara a questo procedimento, occulto, di cui non vi era traccia fino a che l'ingegnere Reale non è riuscito a risalire». E per farlo ha dovuto utilizzare informazioni trovate quasi per caso su un cellulare «infettato» nello stesso periodo dalla Rcs nell'ambito di un procedimento della Procura di Roma, poiché i dati di connessione del captatore introdotto nel cellulare di Palamara non erano stati copiati dalla Guardia di finanza. Ma si sa la fortuna aiuta gli audaci.
La Procura di Perugia ha convocato Bianchi per l'udienza del 3 maggio e l'ingegnere sarà sentito non più come testimone, ma come indagato.
Nell'interrogatorio di Firenze, effettuato due giorni fa davanti al procuratore aggiunto Luca Turco, Bianchi, difeso dagli avvocati Leopoldo Facciotti e Roberto Paciucci, ha fatto un'ammissione abbastanza stupefacente: «La Rcs Spa ha iniziato a lavorare con i captatori informatici intorno all'anno 2016. Tali captatori per poter funzionare si basavano sulla seguente architettura: presso i locali server della Procura di Napoli avevamo installato un server denominato Css con indirizzo Ip pubblico di Fastweb […] che serviva da transito per tutte le Procure inquirenti del territorio nazionale». Panella commenta: «Sembra si stia parlando di un centro di raccolta per tutta Italia e, questo, a me pare il dato più sconcertante di tutti, giacché non riesco a immaginare con quali accordi ciò sia potuto avvenire; non certo con l'autorizzazione dei magistrati di Perugia che avevano espressamente autorizzato solo la trasmissione al server di Roma, come del resto prospettata da Rcs. Come ho già detto davanti al Csm, potrebbero configurarsi dei pericoli per la democrazia in questo Paese». Il verbale di Bianchi contiene altre informazioni preziose: i dati «rimanevano sui server Css e Hdm (entrambi collocati a Napoli, ndr) per il tempo strettamente necessario alla ricostruzione e trasferimento verso il server Ivs di Roma, e venivano cancellati automaticamente dall'applicativo di gestione dopo la trasmissione. In tale fase, ai dati, che non erano criptati, potevano avere eventualmente accesso in remoto, solo gli amministratori di sistema di Rcs Spa dalla sede di Milano». Insomma dati sensibili non protetti potevano essere monitorati da un ufficio esterno alle Procure interessate. Oggi il «grande orecchio» napoletano sarebbe attivo solo «per un captatore puntato su Reggio Calabria».
Ma non è finita. Continua Bianchi: «Ho ascoltato la registrazione su Radio Radicale dell'intervento della difesa (di Ferri, ndr) che esponeva di aver individuato un Ip di Napoli come destinatario della trasmissione di dati […]. Mi sono allora reso conto dell'errore che avevo fatto nella descrizione dell'architettura indicata nella nota del 28 luglio 2020 indirizzata alla Procura della Repubblica di Perugia ed esposta in sede di audizione al Csm». Dunque Bianchi si sarebbe accorto di aver nascosto ai magistrati informazioni fondamentali ascoltando gli avvocati degli indagati. C'è infine il passaggio sulla Tykelab, il cui nome deriva dal greco, dal momento che Tyke era la dea della fortuna e del destino. Dice Bianchi: «Tykelab è di proprietà per il 10% della signora Alessandra Tancredi, mentre il 90% è detenuto da una fiduciaria denominata Servizio ltalia del gruppo Bnp Paribas su incarico di Michele Tomba, Alberto Chiappino, Fabio Cameirana, rispettivamente consigliere delegato, amministratore delegato e presidente del Consiglio di amministrazione di Rcs Spa». Ora gli indagati sanno da chi dipenda il loro «destino».
L'ultima mossa di Donatella Ferranti, consigliera della Corte di cassazione ed ex presidente della commissione Giustizia della Camera in quota dem, rischia di mandare in cortocircuito l'Associazione nazionale magistrati. Proprio come aveva fatto Cosimo Ferri, deputato renziano e magistrato in aspettativa di Magistratura indipendente, anche Ferranti si è dimessa dall'Associazione nazionale magistrati. Lasciando l'Anm eviterà il giudizio dei probiviri del sindacato delle toghe, chiamati a valutare le sue chat con Luca Palamara (espulso per la contestata violazione del codice deontologico).
Ma la mossa che sembra aver preso di sorpresa l'Anm è stata la richiesta della distruzione delle sue chat «per violazione della privacy». Tant'è che Ferranti ha scritto alla Procura di Perugia, dove è partita l'inchiesta su Palamara, per comunicare che aveva lasciato il sindacato. I pm perugini di recente hanno inviato al gip un parere favorevole rispetto alla richiesta dell'Anm di estrarre copia delle chat dal fascicolo, ma le dimissioni di Ferranti non erano ancora intervenute. L'interesse del sindacato delle toghe a ottenere quella documentazione, venendo meno l'iscrizione di Ferranti, è quindi caduto. E con molta probabilità il gip non consegnerà le chat della collega ai probiviri dell'Anm.
Come si muoverà l'Associazione nazionale magistrati? «La scelta di Ferranti non è ancora stata comunicata alla giunta», spiega a La Verità il presidente dell'Anm, Giuseppe Santalucia. Che aggiunge: «Per ora se ne occupano i probiviri». Ma c'è una questione che resta aperta: ora che, con le dimissioni di Ferranti, è venuto meno l'interesse dell'Anm a ottenere le chat, verranno distrutte? «Questa», spiega Santalucia, «è una decisione che spetta all'autorità giudiziaria, oltretutto non so neanche se la documentazione, dopo l'autorizzazione a estrarre copia, sia già arrivata. Siamo in una fase molto preliminare». E conclude: «Anche noi della giunta esecutiva attendiamo comunicazioni».
Infatti, saranno i probiviri a comunicare le dimissioni dell'iscritta e le eventuali decisioni collaterali. In Tribunale a Perugia si parla di un'udienza «stralcio», durante la quale si andrà a definire se le chat in cui Ferranti pressa lo stratega delle nomine per sponsorizzare la nomina di almeno tre magistrati saranno davvero da distruggere. Il pressing è di questo tenore: il 4 marzo 2018, uno degli ultimi giorni da parlamentare della Ferranti, la deputata segnala Eugenio Turco: «Ha uno specifico interesse per presidente sezione Viterbo (…)». Qualche ora dopo aggiorna Palamara: «Ti manderà sms direttamente perché ha sciolto sue perplessità… preferiva Roma, ma se a Roma non c'è possibilità meglio puntare su Viterbo (…)». L'ex presidente dell'Anm la rassicura: «Ho visto Eugenio l'altro giorno e considerami al suo fianco».
Il 20 luglio Palamara chiede alla Ferranti il numero di telefono di David Ermini, deputato Pd appena eletto al Csm, e la deputata perora la sua causa: «Luca cerca di chiudere tu le cose prima di andartene. Cerca poi di parlare con Cascini (Giuseppe, capogruppo di Area, ndr). Non facciamo i soliti». Le richieste aumentano: «Mi raccomando per tutto, anche Viterbo oltre Francesco (Salzano, ndr). Poi David è persona perbene conoscitore problemi giustizia, buon carattere». Il 25 luglio l'ex parlamentare torna alla carica per Salzano: «Quando decidete quella questione di Francesco? Comincia a diventare una storia infinita». Il giorno dopo la donna ci riprova: «Ma è vero che state cercando di fregare Francesco anche questa volta… Fanfani (Giuseppe, laico del Pd, ndr) lo vota… non capisco perché tu ti tiri indietro in base a quale logiche? Spiegamelo… incomprensibile».
Il 27 luglio Palamara le dà una buona notizia: «Avv. generale rinviato a settembre». Ferranti: «Bene! Così riflettiamo meglio». Il 13 settembre la Ferranti richiama all'ordine il pm: «Non fare scherzi oggi per avvocato generale. Avevi parlato tu con Francesco, non puoi abbandonarlo». Palamara: «Infatti io non lo abbandono (…)». Ferranti: «Mi sto battendo per nostro amico con molta esposizione… manteniamo le parole per favore ingiustizie non tollerabili… porta a casa anche Eugenio». Palamara: «Eugenio già fatto: 5 a 1». L'assalto finale dell'ex deputata arriva il 20 novembre: «Si stanno facendo i posti di avvocato generale (…) Ora spunta Fimiani oltre Gaeta! Spero che tu faccia ragionare tutti dato che sai le cose come stanno veramente… questa Cassazione è veramente un problema serio!».
Il 6 febbraio 2019 entrambi i nomi citati da Ferranti nelle chat che ora vorrebbe fossero distrutte entrano nel canestro: il plenum del Csm nomina avvocati generali proprio Salzano e Gaeta, il magistrato che, ironia della sorte, ha sostenuto l'accusa contro Palamara al disciplinare del Csm chiedendo e ottenendo per lui l'espulsione dalla magistratura.
Il governo giallorosso ha agito in continuità con le scelte da ministro di Matteo Salvini. Non solo: i ministri del primo governo Conte erano informati delle indicazioni del ministro dell'Interno. I due testimoni chiave del caso Gregoretti, Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, scagionano Salvini, mentre all'orizzonte si profila la possibilità di sentire in aula a Catania, come richiesto dalle parti civili, anche lo stratega delle nomine Luca Palamara. «Deciderà il giudice» se ascoltarlo, ha commentato l'avvocato Giulia Bongiorno, che difende Salvini. «A me interessa capire se per caso gli input di questo procedimento nascano dall'idea che un politico di destra debba essere fatto fuori dal punto di vista giudiziario». Il «bisogna attaccarlo», riferito a Salvini nelle chat di Palamara è ancora tutto da chiarire. Nel corso dell'udienza di ieri, invece, si è definito il punto cruciale del procedimento che vede Salvini accusato di sequestro di persona per non aver permesso subito lo sbarco dei 131 passeggeri della nave militare nel luglio 2019. Lamorgese, per due ore, carte alla mano, ha spiegato che durante la sua gestione il tempo medio di permanenza in mare delle persone soccorse da navi umanitarie è stato di due giorni e mezzo dal momento della richiesta del porto sicuro. Per i primi tre casi successivi al suo insediamento, il 5 settembre 2019 (riguardanti le navi Ocean Viking, Alan Kurdi e Aita Mari), la procedura seguita è stata quella del governo precedente (riconosciuta da Conte come propria, tanto che le relazioni con l'Ue venivano curate da Palazzo Chigi, con l'autorizzazione allo sbarco dopo la disponibilità di accoglienza manifestata dei Paesi Ue) e la media non è stata rispettata. Ma Lamorgese ha anche fornito un secondo dettaglio interessante, spiegando che ogni evento fa storia a sé, perché ha le sue peculiarità. Nel caso dell'Ocean Viking, per esempio, la nave rimase in mare per 11 giorni e lo sbarco fu permesso solo dopo la chiusura delle urne in Umbria. A processo però c'è finito solo Salvini. Ed è anche per questo motivo, forse, che prende peso la possibile audizione di Palamara. «La deposizione del ministro Lamorgese è stata tecnica, buona», ha commentato il giudice Nunzio Sarpietro prima di lasciare l'aula bunker del carcere di Catania. Ma anche la deposizione di Di Maio è un punto a favore dell'ex ministro dell'Interno. Anche se l'avvocato di Di Maio, dopo l'udienza, è stato costretto a una precisazione perché le dichiarazioni del ministro degli Esteri erano già state mistificate: «Il ministro non ha affatto detto che la notizia degli sbarchi si apprendeva dai tweet di Salvini, ma che da quei tweet si aveva notizia del blocco della nave in mare. E, dunque, non dello sbarco, il che è sostanzialmente diverso. A rigor di logica, peraltro, affermare che si apprendeva di uno sbarco da un tweet è del tutto privo di senso». Di Maio ha anche ricordato che «quando era al governo con Salvini cercava sempre di sollecitare lo sbarco di una imbarcazione con i migranti a bordo». Il che conferma che Salvini interloquiva con i colleghi e che nel governo sul tema c'era dibattito. D'altra parte il leader del Carroccio ha sempre dichiarato di aver agito collegialmente. Per questo motivo che il giudice Sarpietro ha voluto ascoltare il 29 gennaio Conte quando era ancora premier (la toga è stata beccata dalle Iene a mangiare in un ristorante della capitale subito dopo aver sentito l'ex premier. Peccato che quel giorno Roma fosse in zona arancione e i ristoranti chiusi al pubblico). La difesa di Salvini punta sulle sette email scambiate proprio tra Palazzo Chigi e il ministero degli Esteri nei giorni in cui la Gregoretti era ancorata ad Augusta. «Credo che la testimonianza di Lamorgese», ha spiegato l'avvocato Bongiorno, «sia stata decisiva perché è emerso che tra il Conte 1 e il Conte 2 vi era una continuità nella linea di azione». Bongiorno ha sottolineato che è anche emersa la vera natura delle navi che ospitavano gli immigrati: «Lamorgese ha fatto presente che quelle navi possono effettivamente contenere passeggeri per vari giorni». E questa è la circostanza che smonta l'accusa di sequestro di persona (la Procura aveva infatti già chiesto l'archiviazione del procedimento). «Abbiamo fatto quello che la legge permetteva e che gli italiani ci chiedevano», ha detto Salvini, sostenendo di aver «salvato vite, in sintonia con la linea di Draghi, ma soprattutto abbiamo svegliato l'Europa». Il ruolo dell'Ue entrerà nel procedimento alla prossima udienza del 5 marzo: il testimone è l'ambasciatore italiano all'Ue Maurizio Massari.







