
Il procuratore generale di Messina sgancia una bomba atomica su Csm e Anm. Il «sistema» di controllo della giustizia italiana evocato da Luca Palamara a propria difesa, sta uscendo definitivamente dalla penombra in cui, per anni, ha manovrato indisturbato, promuovendo e stroncando carriere sulla base di conventicole e appartenenze correntizie. La Procura di Perugia da quasi tre anni indaga sul conto dell'ex pm romano, espulso a ottobre dalla magistratura, e ha cambiato più volte in corsa il capo di imputazione, dando l'impressione di procedere a tentoni, con il solo obiettivo di punirne uno per educarne cento. Gli inquirenti, a febbraio si sono persino affidati alle ennesime dichiarazioni di due pregiudicati come gli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara, testimoni dimostratisi spesso inattendibili, ma sempre pronti a soccorrere questo o quel pm in ambasce. Nei loro verbali viene citato come fonte di Palamara il procuratore generale di Messina Vincenzo Barbaro, il quale ha però subito smentito di aver rivelato notizie riservate all'imputato. Sentito dai magistrati l'11 marzo scorso ha sganciato una piccola bomba atomica, depositando le proprie chat con diversi magistrati. A leggere quei messaggi si vive una sorta di déjà vu e si ha l'impressione di trovarsi di fronte alle notissime chat di Palamara, quelle che hanno portato alla sua defenestrazione. Ma quegli sms non sono inviati a Palamara, bensì ad altri autorevoli ex colleghi e si ha l'impressione che nella notte infinita della magistratura nostrana tutti i gatti siano grigi. Anzi si ha quasi la certezza che se la Procura di Perugia avesse sequestrato i cellulari di tutte le toghe che hanno ricoperto o ricoprono incarichi all'Associazione nazionale magistrati o al Consiglio superiore della magistratura avrebbe registrato più o meno un identico desolante copione: migliaia di trattative private all'interno di un gigantesco suk delle nomine. I nostri lettori ricordano il pizzino inviato dal giudice Francesco Cananzi, ex consigliere del Csm in quota Unicost, a Palamara con i nomi di alcune toghe da promuovere nei tribunali di Santa Maria Capua Vetere e Napoli. Ebbene Barbaro, tra marzo e luglio 2017, tempesta lo stesso Cananzi di messaggini per la sua nomina a procuratore generale di Messina. È preoccupato per il fatto che il relatore della sua candidatura a Pg tardi a depositare le motivazioni della sua scelta, bloccando la nomina. Cananzi prova a tranquillizzarlo: «Ciao Vincenzo non c'è nessuna questione particolare […] Purtroppo Forteleoni deposita con ritardo tutto». Barbaro: «Ok grazie, però, ha depositato tutte le motivazioni del 23 marzo e anche le successive. A quanto è dato evincere il ritardo (spero casualmente, ma non ne sono convinto) riguarda solo me». Cananzi replica che a suo giudizio sia tutto fortuito. Ma Barbaro sente puzza di bruciato e qualche giorno dopo scrive: «Leggo sul Giornale di Sicilia che domani l'odg del plenum potrebbe essere integrato con la nomina di De Lucia a Messina. Sono certo che comprenderai che la cosa sul piano dell'immagine potrebbe essere non tanto auspicabile e fonte di illazioni nei miei confronti». Cananzi lo rassicura di nuovo: «Il ministro (Andrea Orlando, ndr) ha firmato (il concerto sulle nomine, ndr). Ci riusciamo». A luglio il consigliere del Csm dà al collega la buona notizia: «Complimenti procuratore generale. 13 a 4 con due astenuti». Come avete letto Barbaro era preoccupato del sorpasso di De Lucia, che in effetti venne nominato procuratore prima di lui. Bisogna precisare che De Lucia è un magistrato di grande esperienza con un passato importante alla Procura di Palermo negli anni dell'ascesa dei Corleonesi di Totò Riina, e poi alla Direzione nazionale antimafia, tanto che a salutare il suo insediamento si presentarono, tra gli altri, il capo della Dna, Franco Roberti, il capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, e il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Ma si sa che all'interno della magistratura non tutti la pensano allo stesso modo. Basta leggere la chat che il gip di Roma Gaspare Sturzo ha inviato a Palamara in vista di una complicata promozione: «Io ho la settima valutazione altri non mi pare. […] ti voglio solo dire che De Lucia che era con me a Palermo nei procedimenti citati (ma le carte le facevo io) è procuratore della Repubblica di Messina. (Mio stesso concorso)». Come dire: lo avete promosso, ma è più scarso di me. Insomma in magistratura è un tutti contro tutti e molte toghe lamentano che certi colleghi abbiano davanti a loro corsie preferenziali spalancate. Una denuncia che, più va avanti l'inchiesta su Palamara, più appare credibile. Ma anche sulle fughe di notizie collegate all'inchiesta sull'imprenditore Fabrizio Centofanti, contestate solo a Palamara, qualcosa non torna. Nel suo interrogatorio Barbaro ha riferito che in occasione di una riunione di coordinamento del 15 marzo 2017 tra le Procure di Messina, Roma e Milano, il procuratore aggiunto della Capitale, Paolo Ielo, durante un tragitto in macchina, avrebbe consigliato allo stesso Barbaro di non parlare più con Palamara data l'esistenza di una frequentazione tra il pm espulso e l'indagato Centofanti e avrebbe affermato che Pignatone era amareggiato perché a sua volta era stato a cena con Centofanti per colpa di Palamara. Barbaro sostiene di avere fatto proprio il consiglio, mentre altri magistrati romani, compreso Pignatone, continuarono nella frequentazione dell'ex presidente dell'Anm sino a maggio 2019. Adesso il collegio difensivo di Palamara (composto dagli avvocati Roberto Rampioni, Mariano e Benedetto Buratti) vuole chiamare Ielo a testimoniare. Barbaro ha anche depositato le sue chat con l'aggiunto. L'ultimo messaggio è datato 21 febbraio 2021 e seguiva le notizie di stampa che rivelavano le nuove dichiarazioni di Amara, secondo il quale Barbaro sarebbe stato una fonte di Palamara sul cosiddetto «sistema Siracusa», inchiesta che nel 2018 disarcionò il procuratore Francesco Paolo Giordano e il pm Giancarlo Longo. Barbaro non l'ha presa bene e un mese fa ha scritto a Ielo: «Ciao. Hai visto? Sono allibito». Adesso i difensori del pm sotto inchiesta vogliono capire perché.
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