Il grande Lev Tolstoj ha scritto nell’incipit di Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». E siamo certi che sia così anche per la storia che vede coinvolti i giornalisti Nello Trocchia (Domani) e Sara Giudice (Piazzapulita), accusati di violenza sessuale di gruppo aggravata ai danni di una collega giornalista. E, davanti a famiglie che soffrono - tutte: quelle degli indagati e quella della vittima - servono delicatezza e rispetto nel racconto delle risultanze investigative della Procura di Roma che saranno sottoposte al vaglio del gip il prossimo 10 dicembre.
I ricordi, le convinzioni, le autorappresentazioni sono però un’altra cosa: legittimi, per carità, ma portatori solo di caos. È utile dunque analizzare l’intervista pubblicata dal Fatto Quotidiano alla Giudice rispetto a quel che finora sappiamo della vicenda da come emerge dagli atti giudiziari disponibili.
La Giudice premette: «Tutti eravamo euforici, ma lucidi». Scrive, invece, il pm Barbara Trotta nella richiesta d’archiviazione che «[...] i tre erano […] ubriachi» e che la vittima non era «in grado di determinarsi». Il tassista che li accompagna a casa è ancor più netto: «La ragazza (denunciante, ndr) era “ubriachella” come tutti e tre del resto, e un po’ scossa perché tremava. [...] Ho percepito che erano brilli […]; non vedevo l’ora che scendessero dal taxi perché erano su di giri». In particolare, aggiunge l’autista Patrizio F., la parte offesa «biascicava» e stava per pagare due volte la corsa perché «si era dimenticata di averla già pagata». Difficile definire lucida una persona in queste condizioni.
La Giudice attribuisce all’amica le avances e la proposta di passare la notte insieme. Sara prima dice al giornale: «Lei scende (dal taxi, ndr). Mi stupisco. Nello paga [...]. Ci appoggiamo alla saracinesca sotto casa e continuiamo a baciarci». Poi cambia versione: «Il taxi sarà rimasto neppure un minuto tra Nello che pagava e l’incertezza sul da farsi». Le due si sono baciate o c’è stata «incertezza sul da farsi»? A verbale il conducente ricorda: «Tutti sono scesi, io ho aspettato un secondo in più perché ho creduto fosse una situazione un po’ strana e poi ho riportato la ragazza a casa perché è risalita dopo trenta secondi sul taxi». Dunque, la vittima è tornata a bordo subito e il testimone non parla di effusioni tra le due. Perché la Giudice fa riferimento a un bacio che non ci sarebbe stato?
L’inviata di Piazzapulita prosegue: «Avevo la bambina a casa, il giorno dopo dovevo partire, dico a Nello: omissis (nell’articolo è stato inserito il nome della vittima che noi non ripeteremo, ndr) va via. Risale in taxi e se ne va». Davvero c’era la loro figlioletta nell’appartamento? La difesa della giovane sostiene che in un messaggio audio di 9 secondi, risalente a poche ore prima della festa di compleanno di Sara, quest’ultima faccia chiaramente intendere all’amica di esseri liberi per quell’occasione: «Abbiamo appena lasciato (il nome della piccola, ndr)», dice Sara. Il messaggio è agli atti.
La Giudice si dice convinta che lei e il compagno Trocchia siano stati «puniti» dal nostro giornale per motivi politici (si evocano addirittura un «mandante» e una «trama, qualcosa più grande di noi») e, addirittura, come rappresaglia al suo lavoro nella trasmissione di Corrado Formigli e alle inchieste del marito. «La violenza di quelle parole (il riferimento all’accusa di violenza sessuale di gruppo aggravata riportata dal nostro titolo, ndr) verrà ripulita dalla verità», sentenzia lei. Dimenticando di aggiungere che quello è il capo di incolpazione formulato dal pm, non la nostra interpretazione giuridica. Quanto alla strumentalizzazione politica, abbiamo solo dato conto dei contenuti dei documenti sottolineando sempre il principio di presunzione d’innocenza per gli indagati e chiarendo, fin da subito, che era pendente una richiesta d’archiviazione. Allo stesso modo non avremmo potuto nascondere l’opposizione presentata dall’avvocato della giovane, il penalista Alessandro Gentiloni Silveri, che illumina alcune zone d’ombra dell’inchiesta suggerendo letture alternative dei fatti. A quale punto della filiera sarebbe intervenuto il mandante politico? Chissà. Non è un mistero che gli indagati siano due riconoscibili giornalisti di sinistra, ma questo non ha impedito anche a testate notoriamente progressiste di raccontare nel dettaglio l’inchiesta perché, appunto, si tratta di una notizia (seppur dolorosa). O dobbiamo presumere si tratti di un mandante politico bipartisan?
L’intervista alla reporter televisiva (parrebbe in procinto di sbarcare in Rai) è chiaramente una versione di una parte e, come tale, dev'essere valutata. Pur tuttavia risultando di difficile comprensione quando la professionista prova a spiegare i motivi che avrebbero portato la vittima a tagliare i ponti con lei dopo quella serata: «Ho pensato fosse un momento di imbarazzo, di crisi di coscienza perché era fidanzata. […] ho un approccio liberale alla vita, mi sembrava assurda questa crisi di conformismo»; o quando ammette: «Paghiamo l’eccesso di vita forse». Quale sarebbe il «conformismo»? E che cosa significa «eccesso di vita»?
Serve una precisazione: il nostro resoconto non ha mai lambito i confini della morale o del pudore ma si è mosso entro il perimetro disegnato dal procedimento penale per fattispecie di reato previste dal codice. E il procedimento penale è e resta l’unico ancoraggio rispetto a versioni (legittimamente) discordanti di accusa e difesa.
La Giudice insiste su un punto: lei e il compagno si sono scambiati un bacio consensuale con la ragazza in taxi. Null’altro. E giura: «Ma se Nello mi avesse dato l’impressione di fare un gesto di troppo nei confronti di una donna l’avrei fermato, anzi l’avrei pestato». La Procura disegna, invece, un altro scenario: «Gli elementi di segno contrario […] consentono di nutrire un ragionevole dubbio non tanto sulla materialità del fatto (appare assodato che gli indagati abbiano baciato la parte offesa sul taxi e che il Trocchia l’abbia anche palpeggiata, posto che gli indagati lo ammettono in sede di interrogatorio) ma sul suo concreto dispiegarsi con violenza o minaccia e nella piena consapevolezza da parte degli indagati dell’assenza di consenso». Qual è quindi il concetto di «gesto di troppo» per la Giudice nei confronti di un’altra donna?
Peraltro, la denuncia della vittima del 2 febbraio 2023 tratteggia proprio tutt’altra atmosfera: «Appena si sono chiuse le portiere me li sono ritrovati addosso, prima una poi l’altro, ricordo che mentre mi baciava, Sara diceva “quanto sei bella”», si legge nell’esposto. «[...] non riuscivo a reagire, a muovermi... Lui dava ordini, diceva “tu stasera non puoi tornare a casa, devi venire su da noi”. […] mi baciava e poi ha preso la mia mano, l’ha messa sulle sue parti intime e ho sentito l’erezione. Sono rimasta spiazzata».
Sull’inchiesta si è voluto esibire pure Giandomenico Caiazza, presidente delle Camere penali italiane e già candidato (non eletto) alle ultime europee con la lista Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi, di cui è avvocato difensore. Pur non conoscendo le carte, il legale ha già concluso le sue personalissime indagini commettendo lo stesso errore che egli imputa a chi sui giornali, in tv o sui social sputa sentenze. Per Caiazza si tratta di «un bacio chiesto ed ottenuto». Insomma, una storiella di «tre amici» sorpresi a «cazzeggiare in modo un po’ trasgressivo». Però il penalista scivola su una insinuazione: «Se gli indagati sono avversari politici [...], il garantismo si dissolve e […] si mette su la forca». Avvocato, di chi sarebbero avversari politici Trocchia e la Giudice?
Su una cosa siamo d’accordo con gli avvocati Grazia Volo e Virginia Ripa di Meana: l’indagine per stupro di gruppo aggravato ai danni di una giornalista, che vede coinvolti i cronisti Nello Trocchia (Domani) e Sara Giudice (ex militante del Pdl e di Fli, oggi a Piazzapulita) è una «dolorosa vicenda», seppur non «privata» visto che si tratta di due personaggi noti al grande pubblico. E come tale necessita non solo di trasparenza e correttezza nel racconto ma, soprattutto, di verità. Almeno quella che è possibile ricavare dagli atti giudiziari disponibili.
Dunque, parola alla difesa: «La procura della Repubblica di Roma, dopo approfondite indagini durate diversi mesi, ha deciso di non esercitare l’azione penale e per questo ha chiesto l’archiviazione nei confronti di Trocchia e Giudice», spiegano i legali in una nota. Giusto: infatti, lo abbiamo ripetutamente sottolineato nell’articolo di ieri e lo abbiamo riportato anche nei titoli interni e di prima pagina.
Andiamo avanti: «La ricostruzione odiosa e falsa dei fatti compiuta da La Verità e ripresa da altri media nazionali contrasta totalmente con le risultanze investigative che dimostrano la totale infondatezza della denuncia e della versione della denunciante». Nota: trattandosi di una richiesta di archiviazione che sarà valutata nel prossimo dicembre dal gip, ci troviamo di fronte ad approdi investigativi provvisori e non definitivi, come pretenderebbero invece le due legali. Non siamo noi a dirlo, ma il codice di procedura penale. Tant’è che la parte offesa ha potuto opporsi alle valutazioni della Procura presentando una articolata memoria.
Ancora i difensori: «Gli articoli sono stati scritti nel disprezzo delle regole deontologiche che impongono la verifica delle notizie. Per conseguenza gli articoli contengono informazioni volutamente false». Le due professioniste ignorano forse che chi scrive ha provato a contattare per un commento alle 20.34 di mercoledì 28 agosto il collega Trocchia; il quale ha visualizzato, con doppia spunta blu, il messaggio su WhatsApp ma ha ritenuto (legittimamente) di non rispondere. Quanto alle «informazioni volutamente false» è un giudizio ingeneroso che ribalteremo documenti alla mano.
«Per queste ragioni», torniamo al comunicato dei legali, «tuteleremo la reputazione dei nostri assistiti in ogni opportuna sede giudiziaria sia nei confronti della stampa che della denunciante, nei confronti della quale si profila il reato di calunnia». Curioso: perché sventolare la calunnia solo adesso che la notizia è esplosa sui media, malgrado l’esposto della vittima risalga al 2 febbraio 2023, ovvero a 82 settimane fa?
La droga dello stupro
Appare opportuno specificare un aspetto: l’accusa di supposto stupro riguarda quanto accaduto nel taxi che ha portato Trocchia, la Giudice e la vittima verso casa dei primi due. E non, invece, quanto successo nel pub dove i tre avevano festeggiato il compleanno dell’inviata de La7. Una precisazione importante perché alcuni media hanno parlato di testimoni che avrebbero smentito il racconto della denunciante. Non esistono altri testimoni oculari all’infuori del tassista su cui torneremo, comunque, più avanti.
Il locale di Trastevere è però rilevante perché è il luogo in cui, secondo l’esposto, la giovane sarebbe stata drogata. Qualcuno, che lei non ha identificato perché seduta di spalle, le ha allungato un bicchiere di whisky o di rum di cui la giovane ha bevuto un sorso andando, quasi subito, in confusione. Da quel momento, infatti, la parte offesa non ha più ricordi nitidi. La Procura (pm Barbara Trotta, aggiunto Michele Prestipino oggi alla Dna) ha ritenuto tuttavia di non rintracciare chi avesse offerto quel drink. Un lavoro, invece, che avrebbe potuto chiarire il «mistero» della droga dello stupro.
È un fatto che il primo test delle urine della vittima, effettuato 18 ore dopo il party, sia risultato positivo alla presenza di Ghb (l’acido gamma-idrossibutirrico). Il successivo esame, da parte del consulente della Procura, ha dato invece esito negativo sollevando però, da parte della difesa della denunciante, rappresentata dall’avvocato Alessandro Gentiloni Silveri, dubbi su metodologia e conduzione del test. La difesa ha pertanto chiesto nuove analisi anche in considerazione di due ulteriori aspetti: la volatilità del Ghb che scompare dopo 3-10 ore dall’assunzione; e il rifiuto opposto dalla pm all’analisi del capello che avrebbe potuto fare luce su eventuali presenze tossiche.
Il racconto del tassista
L’unico testimone di quel che è accaduto nel tragitto verso casa di Nello Trocchia e Sara Giudice è Patrizio F., non altri. Il suo racconto è agli atti del procedimento e offre molteplici spunti di riflessione. Ai poliziotti della Mobile di Roma rivela di aver ascoltato Trocchia parlare con la Giudice («l’uomo ha chiesto a quella che probabilmente era la moglie se poteva baciare la ragazza e la moglie ha acconsentito [...] il bacio non mi è sembrato forzato, ho pensato che fossero matti tutti e tre come tutti quelli che incontro di notte»). Una richiesta che appare insolita visto che dovrebbe essere il soggetto destinatario delle avances ad autorizzare o meno un atto intimo come un bacio, e non altri. Aggiunge ancora l’autista che la giovane, appena ritornata in auto dopo essersi rifiutata, in un istante di ritrovata lucidità, di passare la notte con i due colleghi, «tremava». Per tranquillizzarla, il tassista le dice che non le sarebbe «saltato addosso come quell’altro», ma che l’avrebbe «riaccompagnata a casa». Riconoscendo, dunque, un atteggiamento non certo «cavalleresco» da parte di Trocchia («saltato addosso») che l’autista gli attribuisce pure in una intercettazione telefonica con un amico, trascritta dai poliziotti: «[...] Una che mi è entrata in macchina... uno c’ha cominciato a prova’ con la moglie... ce provavano tutti e due co' questa, se la volevano portà a casa, io l’ho presa e l’ho riportata a casa». E, ancora, il tassista sottolinea di essersi «accorto che era un po’ scioccata solo quando lei è risalita», e che «tra tutti e tre, la ragazza [...] probabilmente era quella che nel parlare faceva più fatica, nel senso che «biascicava», tanto che, una volta arrivata a destinazione, la denunciante è così confusa che intende pagare due volte la corsa. Una condizione di malessere che, a suo dire, avrebbe fatto capolino subito dopo aver sorseggiato il drink misterioso.
Schermate «fantasma»
Leggendo le carte emergono alcune incongruenze tra le versioni dei due indagati e quelle di chi ha assistito alle fasi dell’approccio. Negli interrogatori, Trocchia e la Giudice sostengono di essere sempre rimasti lucidi, eppure la pm Trotta li sconfessa scrivendo che «i tre (i due e la denunciante, ndr) erano […] ubriachi», come dichiarono un loro amico, presente nel pub, e il tassista Patrizio F. Addirittura quest’ultimo aggiunge a verbale: «Non vedevo l’ora che scendessero dal taxi perché erano su di giri». Lo stesso Trocchia in un messaggio alla collega scrive di avere «ancora il rum in circolo». La Giudice alla polizia spiega di essere stata lei oggetto delle avances della collega e di averle impedito di salire nell’appartamento perché c’erano la figlioletta con la babysitter. Ricostruzione che la difesa contesta chiamando in causa sia l’intercettazione del tassista («se la volevano portà a casa») e due screenshot della conversazione tra la parte offesa e l’indagata, risalente a qualche ora prima della festa, che quest’ultima avrebbe dimenticato di consegnare agli investigatori. Due screenshot che dimostrerebbero, secondo la denunciante, che la casa di Trocchia e della Giudice era libera a quell’ora. Insomma, tutti hanno potuto (come giusto che sia) offrire la propria narrazione dei fatti. Tranne chi è al centro di tutto. Una delle più evidenti ambiguità dell’inchiesta, infatti, è la mancata audizione delle vittima da parte del pubblico ministero che, secondo le norme sul Codice rosso del 2019, avrebbe dovuto obbligatoriamente ascoltarla durante l’inchiesta. La Procura aveva deciso però di posticipare l’interrogatorio, per concentrarsi sulle attività di investigazione, ma poi è saltato del tutto.
Domande finali
Nell’articolo di ieri abbiamo sottolineato più volte che, in questa dolorosa vicenda, vale per tutti la presunzione d’innocenza (passaggio sfuggito forse a Grazia Volo e Virginia Ripa di Meana) e lo ribadiamo oggi. Allo stesso modo però appare iniquo il trattamento riservato alla presunta vittima in un’epoca in cui, dopo il terremoto Me too, esiste ed è unanime il sentimento di solidarietà nei confronti di chi vive episodi di violenza. È successo con chi ha denunciato Ciro Grillo e il figlio di Ignazio La Russa e accade a qualsiasi latitudine, ogni giorno. Solo in questo caso la credibilità di una donna è stata fatta a pezzi in maniera preventiva. Il Corriere della sera, ad esempio, ha erroneamente scritto che la denunciante era stata interrogata dal pm salvo poi fare marcia indietro, e correggere il tiro. E sempre il quotidiano milanese ha voluto specificare che, a causa delle carenze d’organico del Tribunale di Roma, la fissazione dell’udienza del gip è slittata a dicembre, ma doveva tenersi prima. Come se qualche mese in più o in meno togliesse il diritto alla parte lesa di opporsi alla richiesta di archiviazione. Toccherà ora al gip valutare gli elementi e decidere. Restano però le parole del pm: «Appare assodato che gli indagati abbiano baciato la P.O. (parte offesa, ndr) sul taxi e che il Trocchia l’abbia anche palpeggiata, posto che gli indagati lo ammettono in sede di interrogatorio […]» nonostante la giovane non fosse «in grado di determinarsi». Secondo il pubblico ministero, è quindi possibile che «gli indagati siano incorsi in errore in relazione al suo consenso alle condotte oggetto di denuncia». Insomma, i due avrebbero frainteso un consenso che dagli atti non appare mai esplicitato. Inoltre: se la vittima non era in «grado di determinarsi», che tipo di «consenso» ha potuto dare alla controparte? Se l’ha espresso, che valore poteva avere? Se non l’ha espresso, perché è finita bersaglio delle attenzioni dei due amici-colleghi? E infine: bastano due messaggi con l’emoticon di un bacino, come quelli depositati agli atti tra la ragazza e Trocchia che si informava sul suo stato di salute quella sera stessa e l’indomani, per demolire a priori una denuncia?
Nello Trocchia e Sara Giudice sono due volti noti del giornalismo d’inchiesta di sinistra. Coppia nella vita e nella professione, lavorano entrambi per Domani, il giornale di Carlo De Benedetti, tessera numero 1 del Pd, e per La7 di Urbano Cairo. Trocchia ha firmato decine di articoli e inchieste sul centrodestra e sull’attuale governo senza risparmiare durissimi atti d’accusa nei confronti dei vertici di Fratelli d’Italia e della Lega in particolare. Tra i suoi ultimi servizi: «Gli amici della fondazione An, i rapporti con camerati e boss»; «Fdi e il regalo agli abusivi: i fascisti non pagavano l’affitto»; «Meloni e l’indagine fantasma, anatomia del falso complotto»; «L’ultima estate da ministra, i nuovi guai di Santanchè»; «Le telefonate con i boss stragisti, indagine sul primo circolo forzista»; «Durigon e il giallo all’inglese, gli strani affari di Modaffari». L’elenco, in realtà, sarebbe molto più lungo. Per la sua attività di cronista Trocchia è sotto inchiesta, a Perugia, nello scandalo che ha travolto il sottufficiale della Guardia di finanza, Pasquale Striano, per i presunti dossieraggi su politici e vip. In qualità di «giornalista richiedente le informazioni», Trocchia avrebbe ottenuto dal militare notizie riservate, estrapolate abusivamente dalle banche dati, condensate in 11 files wetransfer.
La Giudice, invece, lavora a Piazzapulita con Corrado Formigli ed è specializzata sui temi dell’immigrazione. Nel marzo 2023 fece scalpore la decisione del conduttore di farle mostrare in studio un paio di scarpette logore di un bambino annegato nel naufragio di Cutro (94 vittime su 180 profughi).
Nello Trocchia e Sara Giudice sono indagati, a Roma, per l’articolo 609 octies e 609 ter: ovvero per violenza sessuale di gruppo con l’aggravante prevista nel caso di «sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa». La pm titolare del fascicolo, secondo quanto risulta alla Verità, ha avanzato richiesta di archiviazione che sarà discussa nel prossimo dicembre anche e soprattutto alla luce dell’opposizione presentata dai legali della vittima, una collega giornalista, che contestano le conclusioni di fatto e di diritto del magistrato.
La storia, che va raccontata per come emerge dagli atti giudiziari sottolineando la presunzione d’innocenza per i due indagati, tenacemente difesi dall’avvocato Grazia Volo, inizia il 2 febbraio 2023 quando la parte offesa denuncia alla Squadra mobile di essere rimasta vittima di violenza sessuale. La giovane, la sera del 29 gennaio, aveva trascorso la serata in un pub di Trastevere per festeggiare il compleanno di Sara Giudice. In quell’occasione, la vittima ricordava di aver bevuto una birra e due gin tonic ritirati al bancone del bar. Dopo mezzanotte, ricostruisce la pm nella richiesta di archiviazione, quando ormai il grosso della compagnia era andato via, la Giudice aveva iniziato ad assumere atteggiamenti disinvolti verso la sua ospite, dandole un bacio a stampo e passandole la panna della torta sulle labbra sì da suscitare i piccanti commenti di Trocchia.
Qualche minuto più tardi, la vittima avrebbe bevuto da un bicchiere un sorso di rum o di whisky passatole da un soggetto non meglio identificato. Ed è questo il gesto attorno a cui ruota gran parte dell’inchiesta. È a quel punto, infatti, che i ricordi e la memoria della parte offesa si offuscano. È il buio. La vittima rammenta solo che la festeggiata le avrebbe detto: «Quanto sei bona...».
Il locale frattempo si svuota e pure i pochi superstiti vanno via. I tre - Trocchia, la Giudice e la vittima - si ritrovano su un taxi diretto a casa dei due giornalisti, a San Giovanni in Laterano. La vittima è al centro sia del sedile sia delle attenzioni dei due amici-colleghi. I quali, c’è scritto nelle carte giudiziarie, la baciano a turno e la palpeggiano. Le dicono che passeranno la notte insieme. La giovane è incapace di reagire, si sente imbambolata. Arrivati a destinazione, i tre scendono dall’auto. Trocchia e la compagna, scrive il sostituto procuratore, insistono con la vittima affinché salga da loro. La giovane però riacquista un barlume di lucidità e riesce a fuggire. Tremando, raggiunge il taxi. Apre la portiera e si tuffa dentro. Il tassista confiderà poi agli investigatori di essersi accorto delle sue condizioni critiche e di aver voluto attendere qualche minuto in più per precauzione. La vittima trema sul sedile posteriore e chiede di tornare a casa. Lo spavento è tale da confessare al conducente di essere sconvolta dal comportamento dei due. È così impaurita che guarda in maniera sospetta lo stesso conducente che, intuendo la difficoltà, la rassicura. Giura che non vuole fare «come quell’altro lì e saltarle addosso». La vittima ritorna nella sua abitazione, dove ad attenderla c’è il compagno con cui si confida. Prima di andare via, il tassista le lascia il suo numero di cellulare per qualsiasi esigenza.
L’indomani lo stato di confusione della vittima non passa, ed è strano perché il malessere e lo stato di impotenza della sera prima non sono spiegabili con una birra e due gin tonic. I ricordi si confondono dal momento in cui una mano ignota le ha allungato il bicchiere. I sospetti iniziano ad affollarsi nella sua mente. La vittima decide così di portare ad analizzare un campione di urina. Il responso è positivo al Ghb, l’acido gamma-idrossibutirrico meglio conosciuto come «droga dello stupro». Il campione viene acquisito dall’ospedale di Tor Vergata ma l’esame della Procura dà esito negativo. Punto quest’ultimo che la difesa della vittima respinge con una nuova consulenza che contesta metodologia e conclusioni del primo responso. La pm rigettata inoltre la richiesta di analisi del capello della vittima.
L’iter della denuncia, intanto, va avanti.
Il tassista, Patrizio F., viene interrogato dopo una settimana. E racconta quel che ha notato nell’abitacolo. Riferisce anzitutto di aver sentito Trocchia chiedere e ottenere dalla compagna il permesso di baciare la ragazza e di salire tutti e tre nell’appartamento. È Sara a comandare, a quanto pare. Una conferma del «carattere dominante» della Giudice così come emerso pure dalla denuncia della vittima. Il conducente segue la scena dallo specchietto retrovisore ma la visuale è ostacolata dai sediolini, come riferirà più volte ai poliziotti. E poi non vuole apparire troppo interessato alle avances che la coppia riserva alla ragazza. Questo però non gli impedisce, finita la corsa, di soffermarsi in strada e di aspettare come va a finire col trio. È una intuizione che consente alla vittima di ritornare a bordo e di farsi accompagnare al suo domicilio. Quando lei gli riferisce l’indirizzo e inizia a rivelare quel che è accaduto, il conducente si accorge che «sbiascicava». Un sintomo difficilmente spiegabile con un paio di drink e una birra.
Quel che Patrizio F. ignora è che il suo telefono è sotto intercettazione. Lo è da quando Trocchia lo ha contattato e incontrato qualche giorno addietro per recuperare un cappello che sarebbe stato lasciato da Sara nel taxi. Un comportamento che allarma la vittima che lo rivela alla polizia. Così gli agenti della Mobile lo ascoltano mentre confida a un amico il motivo della convocazione in Questura e quel che lui ha visto quella notte: «Niente, era la storia de una che mi è entrata in macchina… uno che ha cominciato a provà con la moglie, ce provavano tutt’e due con questa... se la volevano portà a casa, io l’ho presa e l’ho riportata a casa a lei…».
Partono gli interrogatori anche dei due indagati, a differenza invece della parte offesa che non sarà mai sentita dalla pm nonostante la norma sul Codice rosso ne preveda l’immediata convocazione. Trocchia conferma che sul sedile sia lui sia la compagna si sono baciati e toccati con la vittima ma che, al momento di andare con loro a casa, la ragazza aveva cambiato idea.
La versione della Giudice è di fatto la quasi fotocopia di quella del compagno. Con una sola differenza: afferma che a prendere l’iniziativa sarebbe stata proprio la parte offesa a cui Sara avrebbe opposto un rifiuto a continuare le effusioni e a passare la notte insieme, sorprendendosi della audacia di lei (ricostruzione smentita da un amico che, in un messaggio Whatsapp, ammette che era la Giudice, invece, tra le due, a essere la «più spinta»).
A conclusione delle attività d’indagine, la pm inoltra istanza di archiviazione ammettendo comunque due punti qualificanti: riconosce che la vittima era «non in grado di determinarsi» e conclude che gli indagati sarebbero «incorsi in errore in relazione al suo consenso alle condotte oggetto di denuncia».
Toccherà ora al giudice delle indagini preliminari sciogliere alcune «ambiguità» nelle investigazioni. Come ad esempio l’identità di chi ha allungato alla vittima il drink che l’avrebbe mandata al tappeto (che cosa conteneva? E in quali quantità?). O ancora capire come sia possibile che la condizione della vittima, da diversi testimoni definita di alterazione psicofisica e di passività, non abbia rappresentato, nella disamina della pm, un elemento di riflessione ulteriore su quelli che sono stati i pesanti approcci di cui la giovane è stata bersaglio.





