2020-03-29
Sull’isola misteriosa di Jules Verne si scopre che la scienza non basta
Jules Verne (Wikicommons)
Il grande autore francese è da sempre considerato un adoratore della tecnica, ma i suoi libri più oscuri ne svelano lo scetticismo nei confronti della ragione e del progresso. E perfino la (nascosta) fede cristiana. In effetti l'immagine che abbiamo di lui corrisponde in gran parte a quella tratteggiata da Alberto Savinio in Narrate, uomini, la vostra storia. Da quando Jules Verne, nel 1862, s'incontrò con l'editore Pierre-Jules Hetzel, e quest'ultimo ne intuì il grande potenziale commerciale, lo scrittore francese è divenuto «il San Nicola della ragazzeria dei due emisferi. Del San Nicola acquisterà a poco a poco anche l'aspetto: barba di bambagia, sopracciglia a gronda, passo dell'orso ballerino. Per quarant'anni e più», prosegue Savinio, «questo San Nicola scientifico e immaginoso arriverà puntuale al convegno di fine d'anno, colma la gerla di bei volumoni nuovi, vestiti di rosso e col filetto d'oro sulle coste. E mentre squillano le campane della Natività [...] il radioso volto dell'Avventura splende nelle finestre gelate dalla brina, e dentro le camere imbottite di tappeti, al calore mormorante delle stufe, un immenso sospiro di felicità, un vento di cime e di largo gonfia il cuore di migliaia e migliaia di piccoli lettori». Del resto chi non ha per lo meno sfogliato Il giro del mondo in 80 giorni, Ventimila leghe sotto i mari, Dalla Terra alla Luna... Magari in una bella edizione piena d'illustrazioni. Tutto può cambiare, però, non appena si mette mano a un tomo robusto come L'isola misteriosa, ripubblicato ora in edizione economica da Feltrinelli, magistralmente curata da Jacopo De Michelis. D'un colpo si abbandona la fascinazione da fanciulli (che difficilmente regge alla concorrenza digitale) e ci si trova catapultati dentro una puntata di Lost. Anche il romanzo, dopo tutto, uscì a puntate tra il 1874 e il 1875 sul Magasin d'Éducation et de Récréation. I protagonisti sono l'ingegnere Cyrus Smith, accompagnato dal fedele servitore Nabucodonosor (Nab), il reporter Gideon Spilett, il marinario Bonadventure Pencroff e il giovane Harbert Brown. Sono statunitensi che, nel 1865, trovandosi prigionieri nel pieno della guerra di secessione, riescono a rubare un pallone a gas e a fuggire, trovandosi poi - per varie vicissitudini - a planare su un'isola che credono deserta. Già qui ci si sono tutti i grandi temi diciamo superficiali dell'universo di Verne: gli occidentali che conquistano un luogo selvaggio (lo scrittore è stato spesso considerato un cantore della colonizzazione francese); l'idea di sfuggire al mondo per rinchiudersi in un luogo appartato e protetto; l'avventura e, ovviamente, le portentose capacità della scienza. Grazie al genio di Cyrus Smith, infatti, gli uomini riescono sulle prime a dominare la sconosciuta isoletta, ribattezzata «isola Lincoln». Ma ecco che, nemmeno troppo lentamente, la situazione inizia a sfuggire di mano. Sull'isola è all'opera una forza appunto misteriosa, una sorta di Provvidenza che segue e guida i naufraghi. Giorno dopo giorno, tutte le loro convinzioni scientifiche, tutte le loro menti raffinate saranno sopraffatte dall'imponderabile e dal Mistero. Non possiamo certo svelare il finale, ma poco importa. Quel che più conta è che nel cambiamento di scenario fra la prima e la seconda parte del romanzo troviamo il Verne più profondo, adulto e spirituale. Ventimila leghe sotto la patina di autore da bimbi, si scatena la potenza di un romanziere che non è affatto un fanatico positivista, un ingenuo adepto della Scienza Dominante. Che immensa lezione per i nostri tempi sudditi della Tecnica. Sin dagli esordi, Verne mostra uno scetticismo di fondo nei confronti della Ragione trionfante. Resta un romantico, e in lui si agitano istinti oscuri che spesso sovrastano i lampioni a gas e le luminarie dell'Esposizione universale. Basti pensare che il terzo manoscritto presentato da Jules al suo editore, nel 1863, fu l'incredibile Parigi nel Ventesimo secolo. Hetzel lo rifiutò scandalizzato, bocciandolo come un'opera immatura. In realtà, aveva semplicemente paura delle profezie che conteneva. Verne descrive infatti una Parigi del 1960 in cui, come ha scritto Gianfranco De Turris, «l'economia e la finanza fanno aggio sulla politica dominata dai capitalisti; l'istruzione pubblica, totalmente in mano alla Società Generale di Credito Istruzionale, è gestita da privati che privilegiano le materie scientifiche ed economiche; l'università è organizzata come una fabbrica, anzi “una caserma dell'istruzione"; le materie letterarie sono in decadenza, il francese è quasi una “lingua morta" (perché scienziati, filosofi e commercianti attingano alle lingue straniere)». Il Ventesimo secolo, scrive Verne, è un tempo in cui «la famiglia tende a disgregarsi, in cui l'interesse individuale spinge ciascuno dei suoi membri in una direzione diversa, in cui il bisogno di arricchirsi ad ogni costo uccide i sentimenti del cuore, il matrimonio sembra un'eroica inutilità». Vi ricorda qualcosa? L'idea del «tramonto dell'Occidente» e del declino inevitabile delle civiltà è presente anche in un altro libro uscito postumo, L'eterno Adamo, dai toni apocalittici. Ancora una volta, il grande francese ci mostra un uomo che - nonostante tutte le sue invenzioni e la sua intelligenza - rimane impotente di fronte al rivolgersi implacabile della Storia. Ed è proprio a questi chiaroscuri che hanno attinto tutti i grandi eredi contemporanei dello spirito verniano, pensiamo a Thomas Pynchon (in particolare romanzi come Mason&Dixon o Against the day) e ad Alan Moore, che ha ripreso il Capitano Nemo nella sua Lega degli straordinari gentlemen. C'è un intero genere letterario - lo steampunk - che prende le mosse da Verne, in particolare da Viaggio al centro della Terra (leggere per credere La macchina della pace di Özgür Mumcu appena edito da Bompiani). Scienza e tecnologia, dunque, ma anche anima. C'è chi sostiene - come Michel Lamy - che Verne fosse un iniziato alla massoneria, ma la sua componente cattolica è innegabile. Lo dimostra il libro che dedicò al massacro della Vandea, Il conte di Chanteleine (edito in Italia da Solfanelli). Fu il conte Piero Gondolo della Riva, vicepresidente della Società Jules Verne di Parigi, a sostenere - a metà degli anni Novanta - che a togliere Dio dalle opere di Verne fu suo figlio Michel in accordo con l'editore Hetzel, a sua volta in odore di massoneria. Di sicuro c'è che papa Leone XIII era un estimatore del grande francese e pare che lo abbia ricevuto in Vaticano il 7 luglio 1884. Uscito dall'udienza, riporta Alberto Savinio, Jules «piangeva come un vitello». In fondo, importa relativamente se fosse fedele o meno. Quel che conta è l'eredità che ci lascia, intessuta di avventure meravigliose, ma pure delle consapevolezza che - senza qualcosa di più grande di lui - l'uomo è nessuno: nemo.
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