La carenza di posti letto fu uno dei pretesti addotti per giustificare le restrizioni e per alimentare la retorica sul vaccino sola salvezza. «Mai più, corriamo ai ripari», avevano giurato tutti. Però il bilancio è impietoso.Alla faccia della resilienza, delle lezioni apprese con il Covid, della sanità che non avrebbe mai più dovuto essere trascurata: a oltre quattro anni dall’entrata in vigore del decreto che imponeva di aumentare i posti letto in terapia intensiva e subintensiva, le Regioni sono ancora a carissimo amico. Lo ha certificato il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, rispondendo a un’interrogazione, peraltro risalente allo scorso 20 marzo, della deputata leghista Simona Loizzo.La tabella con le cifre esatte, diffusa dal numero due del dicastero e ripresa da Quotidiano sanità, è aggiornata al 31 luglio. E parla da sé: l’Abruzzo è l’unica Regione ad aver raggiunto gli obiettivi, realizzando il 100% delle unità ospedaliere - 66 in terapia intensiva e 92 in terapia subintensiva - benché debba fare i conti con il piano di rientro dal disavanzo. Prossima a compiere la missione anche la Provincia autonoma di Bolzano, che ha completato i posti letto in terapia subintensiva e deve aggiungerne solo due in terapia intensiva. Tra le Regioni a buon punto, figurano poi l’Emilia-Romagna (96% di letti aggiunti in terapia intensiva, 93% in subintensiva) e le Marche (84% in terapia intensiva e 85% in subintensiva). La Campania, sottoposta a piano di rientro, si è portata avanti sulle terapie intensive (72%), ma è più lenta sulle subintensive (55%). Tutti gli altri enti locali sono messi decisamente peggio. E i ritardi sembrano essere trasversali sia rispetto agli schieramenti politici, sia rispetto alle collocazioni geografiche.Ad esempio, la Toscana di Eugenio Giani, incrollabile roccaforte rossa, non è andata oltre il 60% delle nuove unità in terapia intensiva (ne ha terminate 116 su 193) e il 61% in terapia subintensiva (ce ne sono 158 su 261). La Puglia, feudo di Michele Emiliano alle prese col piano di rientro, è ferma rispettivamente al 37% e al 52%. Ma anche le Regioni leghiste del Nord sono state piuttosto distratte: il Friuli-Venezia Giulia è arenato al 33% di nuovi posti letto in terapia intensiva e, addirittura, al 4% in subintensiva. La Lombardia, al 31% e al 24%. E se la maglia nera deve indossarla il governatore Vito Bardi, il cui Molise, peraltro commissariato, non è riuscito a realizzare nemmeno uno dei 14 posti letto in terapia intensiva né dei 21 in subintensiva, la Valle d’Aosta, nel profondo Nord Ovest, non è stata tanto più efficiente del Meridione: ha predisposto solamente due unità ospedaliere in terapia intensiva sulle 10 previste; e nemmeno una delle 9 necessarie in terapia subintensiva.Va molto male anche l’altra Regione tuttora commissariata, la Calabria, che ha completato il 18% dei posti letto in terapia intensiva e l’8% in subintensiva. Il Lazio, altro ente con piano di rientro, arranca: non va oltre, rispettivamente, il 34% e il 38%. La Sardegna è a metà strada sulle terapie intensive, ma del tutto al palo sulle subintensive; la Sicilia, che ha dovuto predisporre anch’essa il suo piano di rientro, è al 60% sulle prime ma al 31% sulle seconde. In due Regioni in cui a breve si voterà e dove ora governa il centrodestra, si va per le lunghe: la Liguria ha creato 31 terapie intensive su 87 e 42 subintensive su 100; l’Umbria 15 intensive su 58 e 15 subintensive su 62. Ma nemmeno il Veneto, per molti versi un’eccellenza sul fronte sanitario, nonché protagonista di una gestione oculata del Covid nelle prime settimane di emergenza, si è dato troppo da fare su questo punto specifico: ha realizzato l’84% dei posti aggiuntivi nelle terapie subintensive, ma solo il 48% nelle subintensive.Nella risposta all’interrogazione nella commissione Affari sociali di Montecitorio, Gemmato ricorda che, facendo seguito al decreto del 19 maggio 2020 e alle indicazioni della circolare ministeriale di dieci giorni dopo, Regioni e Province autonome «hanno predisposto appositi Piani di riorganizzazione», già approvati dal direttore generale della Programmazione sanitaria e sottoposti alle «verifiche degli organi di controllo». Ogni mese, esse sono tenute a comunicare a Lungotevere Ripa «i dati al fine di consentire il monitoraggio e lo stato di avanzamento di ogni singolo intervento del programma». Che cosa non sta funzionando, quindi? Non ce lo chiediamo mica per pignoleria. È che la carenza di posti letto, durante la pandemia, fu uno dei pretesti addotti per giustificare i lockdown, le zone rosse e per alimentare la retorica sul vaccino sola salvezza. Tutte pezze peggiori del buco, che il piano pandemico aggiornato non ha propriamente cassato una volta per sempre. Se - e non venga mai quel giorno - arrivasse un nuovo Covid, essere in grado di curare i malati eliminerebbe ogni alibi per i fan di restrizioni e obblighi.Anche il Pnrr ha previsto uno stanziamento di 1,4 miliardi per i posti letto. Ma si fa presto a dire che l’Europa ci ha dato i soldi, mentre lo Stato e le Regioni dormono. Ingrandire i reparti di per sé non basta. I malati non devono essere soltanto ricoverati; devono essere assistiti. E per quello ci vogliono medici e infermieri. Professionisti da assumere e da pagare per decenni, fino alla pensione. Come la mettiamo col debito, il deficit, i parametri di finanza pubblica e il Patto di stabilità? A questo, in Europa, ci avevano pensato?
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Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
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Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.






