2019-03-03
Su «Vanity fair» la prova che l’ideologia gender dilaga
Growing up Coy, la serie che parla di un bimbo di 6 anni transgender
Quando lo scorso dicembre, su Panorama, pubblicammo un'accurata inchiesta sul fenomeno sociale del cambiamento di sesso fra adolescenti, le organizzazioni Lgbt si scatenarono, accusandoci di aver voluto fare scandalismo. Gli attivisti dell'ideologia gender ci rimproverarono d'aver messo in copertina il volto di un bambino «pesantemente truccato» (in realtà si trattava di un'immagine da catalogo, rielaborata al computer) (...)(...) e soprattutto di aver parlato di contagio sociale, lasciando intendere che ci fosse quasi una moda trans. L'Osservatorio nazionale identità di genere, un'associazione che promuove «aperture culturali verso la libertà di espressione delle persone transessuali e transgender», cioè fa propaganda pro gender, arrivò al punto di sostenere che scrivere di minori che vogliono cambiare sesso «deforma la realtà di questi bambini». Sono bastati pochi mesi, però, per dimostrare che con quell'inchiesta avevamo visto giusto. E la conferma arriva dall'ultimo numero del settimanale di moda Vanity Fair. Nell'edizione italiana in edicola, con il titolo «Chiamami col mio nome», viene infatti pubblicato un ampio servizio dedicato a quattro adolescenti che hanno iniziato il loro «viaggio di trasformazione». Si tratta di quattro ragazzini trans, spiega il sommario, di cui il periodico «ha deciso di mostrare anche i volti. Perché il coraggio è una musica allegra. E contagiosa». Seguono le fotografie posate dei minori, con tanto di trucco e di pubblicità per gli abiti che indossano. Abito e maglia Germanier, cintura Costume national, gioielli Glenda Lopez e Pintrill. Li indossa L., un'adolescente di 13 anni, in attesa di assumere i farmaci bloccanti che le evitino lo spuntare della barba. Poi c'è A., 17 anni, giacca vintage, camicia H&M, maglia Rick Owens, pantaloni Dolce & Gabbana, scarpe Sacai x Nike. La didascalia informa che assume gli ormoni ed è in attesa dell'intervento di riassegnazione del sesso e della variazione anagrafica. Sì, è scritto così. L'operazione per rimuovere - a carico del servizio sanitario nazionale - l'utero e le ovaie viene definita riassegnazione del sesso. Ci sono anche le immagini di G., 12 anni, in attesa di poter prendere i bloccanti della pubertà. Da piccolo voleva lo zaino delle Winx, ci informa il servizio. Anche G. ovviamente è vestito da capo a piedi con abiti firmati. Giacca Moschino, pantaloni Costume national, orecchini Gogo Philip, collana Alyx, scarpe Vic Matié. Trans sì, ma sponsorizzati. E molto alla moda. Dell'ultimo, E., 9 anni, la foto non c'è, perché, come ci informa la didascalia, dove vive ora, lontano dall'Italia, nessuno sa che biologicamente non è una bambina. La sua storia però è raccontata nei dettagli, sin da quando, piccolissimo, ha voluto indossare un vestito a fiori, per poi mettere la gonna. La mamma racconta che un giorno la chiamarono in Procura per chiederle perché vestisse suo figlio da femmina. La signora non sa se il procedimento sia stato archiviato, ma ora vive all'estero con E., cui è stato risparmiato lo shooting fotografico. Il direttore di Vanity Fair, Simone Marchetti, ovviamente è fiero dello scoop giornalistico e se ne vanta su Facebook. «Chiamami con il mio nome (il titolo del servizio, ndr) è un reportage di cui sono davvero davvero orgogliosa (sì, è scritto così, non è un errore, ndr). Racconta la storia di 4 trans-bambini che stanno cambiando la loro identità sessuale. Credo profondamente che questi bambini siano pionieri, bellissime icone di quella battaglia umana che è essere te stessa». Seguono i nomi dei minorenni - che noi come avrete capito non intendiamo fare - con i ringraziamenti di Marchetti per la condivisione delle «vostre storie stimolanti». È stata «un'occasione fantastica per diffondere qualcosa di davvero speciale e progressivo». Se c'erano dubbi sulla diffusione dell'ideologia gender, il settimanale della moda chic e di sinistra li ha spazzati via. Insieme ha però spazzato via anche anni di chiacchiere sulla Carta di Treviso , il codice di autoregolamentazione dei giornalisti, ai quali si impone di non citare i minori, di non mostrarne le immagini, anche con il consenso dei genitori, per il rischio di turbarne l'equilibrio psicologico. Chi lo fa, va incontro a sanzioni. Ma state tranquilli, in questo caso l'Ordine dei giornalisti potrebbe chiudere un occhio e forse tutti e due. Perché la pubblicazione di immagini e inclinazione sessuale è nel nome di una buona causa: la propaganda transex. Ps. Mesi fa il settimanale britannico The Spectator segnalava che in Gran Bretagna i minori che vogliono cambiare sesso sono aumentati in pochi anni del 400 per cento. Risultato delle politiche gender e di programmi di educazione sessuale che godono di finanziamenti statali. Noi siamo solo all'inizio.Ps2. Il servizio di Vanity Fair si conclude con la citazione del grooming. Il termine inglese ha sostituto il classico trucco e parrucco. Ma oltre al significato chic usato nel mondo glamour ne esiste un altro e lo si trova in Rete: adescamento di un minore in Internet tramite tecniche di manipolazione psicologica volte a superarne le resistenze e a ottenerne la fiducia per abusarne sessualmente.