2025-08-07
Spaccio, ecco le carte del processo al ragazzo in affido alla Apostolico
Iolanda Apostolico alla manifestazione nel 2018 per lo sbarco dei migranti dalla Diciotti (Ansa)
Il colombiano fu difeso in Aula da un candidato di Avs. La sua versione sulla droga: «Trasportavo lo zaino di uno sconosciuto».La storia di Luis Ernesto Vinasco Ocoro, il figlio affidatario ventiquattrenne dell’ex giudice catanese Iolanda Apostolico, la prima toga dello sbarramento contro il Decreto Cutro, si fa surreale nel procedimento penale che ha portato, con un giudizio per direttissima, alla sua condanna a un anno e undici mesi di reclusione (un altro mese e avrebbe perso il diritto di ottenere la sospensione della pena).Dopo essere stato fermato e controllato dalla polizia il 16 luglio scorso in piazza Manganelli a Catania (pieno centro), come ha ricostruito ieri La Verità, saltò fuori della droga: cocaina, «dal peso complessivo lordo di 8,55 grammi», che, stando alla ricostruzione del pm nella richiesta di convalida, che La Verità è riuscita a consultare, trasportava «nel pantaloncino», insieme a 550 euro divisi in undici banconote da 50 euro. In uno zaino nero, invece, c’erano «43 bustine di cellophane contenenti marijuana» dal «peso complessivo lordo di 357,59 grammi», un’altra bustina di cocaina con dentro 5,67 grammi di sostanza e «13 bustine contenenti hashish dal peso complessivo lordo di grammi 94,48».Ma è a questo punto che la ricostruzione diventa incredibile. «Giova rilevare», scrive il pm, «che in sede di spontanee dichiarazioni Vinasco Ocoro affermava di avere accettato l’offerta proveniente da uno sconosciuto su Telegram». Un contatto sconosciuto, nessun nome, nessun volto, solo un’offerta secca: «Cinquanta euro» in cambio di una consegna. «Uno zaino e una somma di denaro», avrebbe sostenuto il ragazzo stando al riassunto del suo racconto presente nella richiesta di convalida, da affidare «a un altro soggetto presso l’incrocio di via Rasà e via Ammiraglio Toscano». Un incarico da corriere improvvisato, senza domande, senza curiosità. Così, almeno, l'avrebbe raccontata il colombiano. Che alla fine «aggiungeva di non conoscere il contenuto dello zaino». Ma quello che l’indagato cerca di liquidare come un lavoretto da pochi minuti, per la Procura di Catania «depone per la non occasionalità della condotta». La versione dei fatti viene bollata come «non credibile». E il ragazzo si becca un’imputazione perché le sostanze non sarebbero «destinate a uso esclusivamente personale in ragione del quantitativo, alle modalità di confezionamento e alla disponibilità di 550 euro». La richiesta: «Custodia cautelare degli arresti domiciliari)» e «instaurazione del giudizio direttissimo». Il domicilio scelto dal colombiano era proprio a casa della Apostolico, nel cui stato di famiglia compare, insieme a un fratellastro di origini africane adottato (mentre nel caso del colombiano compaiono ancora i nomi dei genitori naturali, nell’altro caso non sono presenti). L’udienza di convalida si tiene il 18 luglio 2025. La difesa, rappresentata dall’avvocato Pierpaolo Montalto, esponente catanese di Alleanza dei Verdi e Sinistra, con un passato da coordinatore dei Giovani comunisti, opta per una strategia rapida: patteggiamento. La pena base viene calcolata in 4 anni di reclusione e 8.000 euro di multa. Si aggiunge un aumento per la «continuazione interna», arrivando a 4 anni e 5 mesi con 9.000 euro di multa. Poi scatta la riduzione per attenuanti generiche fino a 2 anni e 11 mesi. Infine, la scelta del rito porta la pena finale, condivisa dal giudice, a 1 anno e 11 mesi di reclusione e a 4.000 euro di multa. Il pm presta il consenso. Il giudice ritiene tutto «conforme». E valuta: «Considerate l’incensuratezza e la giovane età dell’imputato è possibile ritenere che la semplice minaccia di esecuzione della pena costituisca adeguato deterrente affinché l’imputato non commetta in futuro nuovi reati». C’è andato vicino, ma l’ha scampata. Il giudice dispone anche la distruzione dello stupefacente e il versamento all’erario dei 550 euro. Infine dichiara «l’immediata perdita di efficacia della misura cautelare dell’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria». Per l’accusa non era il semplice caso di un ragazzo caduto per caso in una consegna. L’ammontare, la varietà e il confezionamento della droga apparivano come sintomo di un’attività più strutturata. D’altra parte, la cifra promessa dallo sconosciuto, i 50 euro, stonava con il valore della merce trasportata. Un pagamento così basso per un carico di quel tipo non reggeva al giudizio del buon senso. Ed è proprio su questa sproporzione che deve essersi fondata parte della valutazione di «non credibilità» fatta dalla Procura. Inoltre, che in quello zaino ci fosse qualcosa che lo impensieriva, l’avevano notato i poliziotti. Nel comunicato col quale hanno dato notizia dell’arresto, infatti, spiegavano che «mentre percorreva a bordo della sua auto la centralissima piazza Manganelli, non appena incrociato con lo sguardo la volante della polizia», avrebbe «cominciato a guardare ripetutamente nello specchietto retrovisore, come per assicurarsi di non essere seguito dai poliziotti». Un tentativo «maldestro di non essere notato», secondo la Questura. E che invece «ha insospettito gli agenti che hanno deciso di fermarlo». Proprio durante il controllo il colombiano si sarebbe mostrato «insofferente e nervoso». Forse non sapeva cosa c’era nello zaino, ma aveva capito benissimo chi lo stava seguendo.
Chuck Schumer (Getty Images)
Matteo Bassetti (Imagoeconomica)