2018-05-24
«Sono nobile e discendo da tre Papi ma per i Vip sono il principe dei vini»
La sua casata è decaduta. Gelasio Filippo Gaetani dell'Aquila d'Aragona Lovatelli fa l'enologo e crea cantine personalizzate: «Una banca si prese il palazzo di famiglia a Roma, così finii in Toscana tra le vigne. Ora decido cosa far bere a De Niro, Clooney e Al Pacino».Gelasio Filippo Gaetani dell'Aquila d'Aragona Lovatelli, 64 anni, un titolo nobiliare (conte), due nomi, quattro cognomi, tre figli, quattro nipoti (tra poco cinque), tre fratelli scomparsi tragicamente, è un esperto enologo, ex direttore della rivista L'etichetta di Luigi Veronelli, produttore in proprio di un vino apprezzato anche fuori Italia, creatore di cantine personalizzate per celebrità internazionali, specialmente a Hollywood. Roffredo, suo fratello maggiore, già fidanzato di Ivana Trump, divenne famoso per aver sfidato a boxe Mickey Rourke, offrendo in beneficenza 50.000 dollari se l'attore avesse accettato, per una questione di femmine (Roffredo era intervenuto per difendere l'attrice Carrè Otis dalle angherie alcoliche del fidanzato). Non farò finta di non conoscerlo da anni, quindi scuserete il «tu».Hai tanti cognomi quanti la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare.«È un residuato dell'alto lignaggio della mia famiglia, una delle più antiche di Roma, ormai decaduta, come molte casate aristocratiche».Tra i tuoi antenati, partendo da Teodorico, ci sono tre Papi, tra cui Bonifacio VIII.«Questo non fa di me né un clericale, né un papista, anzi: ho sempre avuto un approccio molto laico e terreno all'esistenza».Domanda obbligata: credi in Dio?«Potrei replicare: e lui crede in me?, ma sarebbe arrogante. Mi definirei agnostico. Non pessimista, ma scettico». Sarò brutale: su questa visione quanto pesa la morte dei tuoi fratelli?«Roffredo è uscito di strada in auto nel 2005, nei pressi di Montalcino, in Toscana. Luca è venuto a mancare due anni dopo, cadendo o buttandosi da Ponte Garibaldi nel Tevere, dopo anni di schiavitù dalle dipendenze. Cristoforo ne aveva 25 quando è morto nel 1981 sotto i miei occhi, in Brasile. Ci siamo lanciati con il paracadute, si è schiantato a terra perché il suo non si è aperto. Ho voluto chiamare con il suo nome uno dei miei figli, perché Cristoforo era un ragazzo solare, pieno di gioia di vivere. E ora dimmi: cosa dovrei rispondere alla tua domanda?».Luca era affezionato a Edoardo Agnelli, il figlio dell'Avvocato, precipitato da un viadotto nel Duemila, con trascorsi di droga. Coincidenze non casuali?«Edoardo era un nostro fratello “adottivo". Non basta nascere in una famiglia per sentirsene parte, se gli altri non ti accettano per quello che sei. Se sperimenti il senso di abbandono, perché la tua famiglia è concentrata solo a perpetuare vacue liturgie di un mondo che non c'è più, a coltivare relazioni con il Vaticano perché lì lo stemma gentilizio ha ancora il suo peso, le tue fragilità si amplificheranno. Quanto a Gianni Agnelli, il suo faro erano denaro e profitto. Edoardo era un umanista, quindi un pezzo che non s'incastrava nel puzzle». Un altro tuo figlio si chiama Lapo, e so che sei molto legato a Lapo Elkann, anch'egli dal complesso percorso esistenziale.«Questo è davvero un caso. Per non parlare di mio figlio, ti dirò che Lapo Elkann è una persona gentile, generosa e sensibile, non riconducibile a quella macchietta caricaturale in cui i media l'hanno trasformato. Lapo è molto altro, di più, in meglio».Lapo ha descritto Gianni Agnelli come - riassumo a modo mio - «il nonno che tutti i nipoti dovrebbero avere, il padre che nessun figlio dovrebbe augurarsi».«L'Avvocato era una persona di grande charme e cultura, solo che al centro del suo sistema solare c'erano solo lui, il Re Sole, e le sue pulsioni. Gli altri? Satelliti superflui. Non sono il primo a ritenerlo un campione di anafettività, credo abbia realizzato solo con il gesto tremendo di Edoardo quali fossero le sue responsabilità. Siamo tutti protagonisti di viaggi che spesso ci portano in luoghi inesplorati o di cui non immaginavamo l'esistenza».Parli da nipote di uno dei più celebri esploratori del Ventesimo secolo, il tuo nonno materno, barone Raimondo Franchetti.«Era amante dell'Africa, nel 1929 attraversò per primo la sconosciuta regione della Dancalia, nel Corno d'Africa, 50.000 chilometri quadrati di deserti di lava. Morì nel 1935 nei cieli del Cairo: esplose l'aereo su cui si trovava con il ministro Luigi Razza. Incidente? Attentato dell'intelligence britannica? Non si è mai saputo. Da questo ramo familiare ho ereditato la propensione al nomadismo, a non avere radici stanziali».Come si cresce in una dinasty così blasonata?«Da bambino vivevo a Roma, in un palazzo che aveva uno dei miei cognomi, come la piazza antistante, Lovatelli. Poi un giorno lo trovai sigillato. Letteralmente. Se l'era preso una banca, così ci trasferimmo in Toscana, ad Argiano, nei pressi di Montalcino, in una tenuta di 1.200 ettari piena di vigneti. Lì è nato il mio amore per la terra, la produzione e la cultura del vino. Abbandonai la facoltà di lettere e filosofia per agraria. Divenni produttore di Brunello, anche se poi le vicissitudini della mia famiglia - le diverse emergenze umane e patrimoniali che si sono presentate - mi hanno costretto a occuparmi d'altro». Cosa è importante sapere per gustare un buon vino?«Lasciarsi andare alla curiosità della scoperta. Fatevi seguire dal vostro gusto, se vi piace un vino sconosciuto o un'etichetta non osannata da critici e sommelier, fregatevene. Anche perché, per assecondare il mercato, si rischia di omologare il gusto, con vini anche buoni che però si assomigliano un po' tutti tra loro».Troppo business?«È una questione di equilibrio. Quaranta anni fa, il vino italiano non faceva tendenza, era dozzinale. Oggi a livello enologico abbiamo il più alto numero di varietà vitivinicole al mondo, oltre 350 vitigni autoctoni. È diventato un fattore cospicuo del made in Italy, con la moda e il design, le cantine le disegnano gli architetti. Sono nati i wine bar, l'aperitivo non è più solo a base di superalcolici. Dopo di che, adoro i dibattiti e i tecnicismi dei convegni sul vino. È meglio ripercorrere la storia di un vitigno autoctono o promuovere vini che hanno alle spalle la grandezza degli uvaggi alloctoni? È meglio bere un antico nettare o tuffarsi in un prepotente distillato moderno? Ma chi c… se ne frega. E chissà se tra trent'anni saremo ancora qui a farci altre ricche masturbazioni intellettuali».Come sei diventato creatore di cantine che piacciono alla gente che piace?«Un giorno a Roma mi presentarono Sharon Stone, che mi fece un sacco di domande sui vini italiani. Alla fine mi chiese di segnalargliene alcuni per il suo banchetto di nozze: di lì a poco si sarebbe sposata con Phil Bronstein, editore del San Francisco Chronicle. Le suggerii due vini di piccoli produttori, uno toscano e l'altro irpino. Rimase molto contenta, e mi chiese di organizzarle la cantina di casa. Il tam-tam mi ha poi portato a farlo per Al Pacino, Robert De Niro, George Clooney. E Don Johnson, subito dopo Miami Vice. Scoprimmo di avere un'altra passione, oltre a quella per il vino: le Harley Davidson. Così quando venne in Italia facemmo lunghi giri nella campagna toscana alla scoperta dei vitigni migliori. Solo che giravamo senza casco, e fummo fermati dalla Polizia. Volevano sequestrarci i mezzi. Lui si tolse gli occhiali e disse: «Volete lasciare senza moto il poliziotto più famoso di Miami?».Ammappate: battutona. Io solo per questo vi avrei fulminato con il taser elettrico. Vogliamo parlare della tua fama di tombeur de femmes? Tua figlia Iacobella, anni fa, ti ha perfino regalato un carnet di biglietti da visita, professione: cacciatore di donne. «Quello di Iacobella (che a 21 anni lavorava in un ospedale in Etiopia, sono molto orgoglioso di lei come di Cristoforo e Lapo) era uno scherzo. Sono stato sposato con Noemi Marone Cinzano, l'incontro più importante della mia vita e con cui ho mantenuto un ottimo rapporto. Poi mi sono innamorato come capita a tutti. Ma considero il machismo un'inaudita volgarità. Fare il vino è come fare l'amore: mai per secondi fini o per vocazione a potere e denaro. Le donne vanno rispettate e venerate. Questo spiega perché io sia riuscito a conservare buone relazioni con le mie ex, anche se le donne talvolta hanno la tendenza a essere gelose retrospettivamente».Già, chissà perché. Anche Lucrezia Lante Della Rovere? Gli appassionati del genere strologano su una vostra «affettuosa amicizia».«Lucrezia non ama comparire, predilige il low profile, è una donna in gamba, indipendente, non etichettabile. Ci becchiamo perché lei, scherzando, mi dà del “vecchio fascista" (mio padre, grande finanziatore del Movimento sociale italiano, lo era davvero, ci credeva). Lucrezia mi porta bene, da quando la conosco mi succedono solo cose belle». Tipo?«Ho appena risolto il problema della sopravvivenza di una grande cantina sociale in Sud Italia, grazie a persone con cui sono entrato in contatto tramite i buoni uffici, a titolo personale, di Claudio Costamagna. Ti ricordi, Antonello, quella cena a casa di Micaela Calabresi Marconi?».Noto che nel vostro universo endogamico avete tutti almeno due o tre cognomi. Calabresi, cognata di Alessia Marcuzzi, è un'altra tua ex fidanzata. Stiamo parlando di un bel po' di tempo fa, con Costamagna (oggi presidente di Cassa depositi e prestiti) che ci raccontava divertito l'esperienza di advisor del produttore Pietro Valsecchi per la vendita di TaoDue a Mediaset. Che, chissà, magari un giorno potrebbe fare una fiction sulla tua vita. Tra trent'anni come ti vedi?«Non ci penso mai. So cosa ci sarà scritto sulla mia lapide, quando sarà: “Nato il 15 aprile 1954. E mai morto".
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