- Dietro il presunto braccio di ferro con Viktor Orbán emerge la difficoltà di Bruxelles di far tornare i conti (alla fine gli aiuti veri sono solo 21 miliardi). Da qui è scaturita l’idea temeraria di mettere le mani sui fondi della Russia, una mossa che può danneggiare l’euro.
- Volodymyr Zelensky vuole cacciare il capo dei militari Valeriy Zaluzhnyi. E i suoi colpiscono un panificio nel Lugansk.
Dietro il presunto braccio di ferro con Viktor Orbán emerge la difficoltà di Bruxelles di far tornare i conti (alla fine gli aiuti veri sono solo 21 miliardi). Da qui è scaturita l’idea temeraria di mettere le mani sui fondi della Russia, una mossa che può danneggiare l’euro.Volodymyr Zelensky vuole cacciare il capo dei militari Valeriy Zaluzhnyi. E i suoi colpiscono un panificio nel Lugansk.Lo speciale contiene due articoli.Il Consiglio europeo straordinario di giovedì pare sia stato dominato dal braccio di ferro tra il premier ungherese, Viktor Orbán, e gli altri leader. Ma questa è stata solo la cortina fumogena che ha impedito di ragionare sulle oggettive difficoltà del bilancio dell’Ue a reggere le tante, troppe, sfide che sta raccogliendo negli ultimi anni. Troppe cose da fare e poche risorse finanziarie su cui far leva, con i fondi russi sequestrati nel mirino.Orbán ha astutamente sfruttato quest’occasione come contropartita per oliare i meccanismi che tuttora bloccano i fondi di coesione e dell’Ngeu, trattenuti dalla Commissione per presunte violazioni dello Stato di diritto, a favore del proprio Paese. Se il problema fosse stato davvero la destinazione dei fondi all’Ucraina, non si sarebbe certo accontentato di una relazione annuale della Commissione, un dibattito sull’attuazione dello strumento di finanziamento e una eventuale proposta di riesame («se necessario») dello strumento tra due anni. Appena sufficienti per cadere in piedi, ma non certamente una significativa contropartita.Al netto di questo «cinema» in favore di telecamere, sono passati appena tre anni da quando, a fine dicembre 2020, si raggiunse un faticoso compromesso - anche in quel caso fronteggiando l’opposizione strumentale di Orbán - sul Quadro finanziario pluriennale che, dal 2021-2027, prevedeva circa 1.100 miliardi di spese, finanziate come al solito, per la gran parte (70-80%) dai contributi degli Stati in proporzione al reddito nazionale lordo (Rnl) e da una quota unionale del gettito Iva.Da allora, a Bruxelles hanno scoperto di aver esaurito qualsiasi margine di flessibilità per fronteggiare gli aiuti all’Ucraina - finora la Commissione ha deciso prestiti per circa 70 miliardi - e per coprire il costo degli interessi sulle obbligazioni emesse per il Next Generation Eu. Quest’ultimo capitolo si sta rivelando un pozzo senza fondo. Infatti la previsione iniziale di 14,9 miliardi per il settennio si basava su tassi non superiori all’1,15% fino al 2027. Con l’aumento dei tassi, la Commissione ha stimato che il buco oscilli tra 15 e 24,8 miliardi solo sul triennio 2025-2027. Ci sono poi altre richieste per l’emergenza migrazione, la gestione delle frontiere, la difesa, gli aiuti per le calamità naturali. Una lunga lista della spesa formulata dalla Commissione che è sul tavolo dei leader dal 20 giugno scorso e su cui le divisioni sono state profonde.Il problema principale è sempre stato quello di dove prendere i soldi. La Banca mondiale stima che il costo di ricostruzione dell’Ucraina sia pari a 411 miliardi di dollari e finora i Paesi occidentali hanno impegnato ben 228,6 miliardi in aiuti di varia natura e noi siamo stati sei mesi bloccati per 50 miliardi (17 sovvenzioni e 33 prestiti). E qui è balenata la «pazza idea» di mettere le mani sui fondi della Banca centrale russa e di altre entità private, sequestrati nel 2022. Già a metà dicembre le conclusioni riportarono che «Il Consiglio europeo ribadisce l’invito a compiere progressi decisivi, in coordinamento con i partner, sulle modalità con cui le entrate straordinarie detenute da entità private derivanti direttamente dai beni bloccati della Russia potrebbero essere destinate al sostegno dell’Ucraina […] In tale contesto, prende atto delle recenti proposte relative alle entrate straordinarie derivanti da beni russi bloccati».E giovedì i leader sono tornati sul tema, ribadendo che «potenziali entrate potrebbero essere generate in virtù dei pertinenti atti giuridici dell’Ue, per quanto riguarda l’uso di entrate straordinarie detenute da entità private derivanti direttamente dai beni bloccati della Banca centrale russa».I fondi russi sequestrati ammontano a circa 260 miliardi, la gran parte in deposito presso la società belga Euroclear (191 miliardi), che proprio giovedì ha comunicato che nel 2023 hanno generato proventi finanziari per 4,4 miliardi di euro che non sono stati corrisposti ai legittimi beneficiari. Da Bruxelles si attende a breve una norma che ne dispone l’accantonamento obbligatorio, ma la confisca è un passo che non si riesce a compiere. Il punto è che da tempo la Bce, ma anche Francia e Germania, hanno avvertito che passare dal sequestro alla confisca non solo dei proventi ma anche dei capitali, creerebbe una notevole instabilità finanziaria e danneggerebbe l’euro come valuta di riserva internazionale, perché tale mossa potrebbe indurre altre banche centrali a spostare altrove le loro attività finanziarie in euro. Al massimo sarebbe legalmente possibile imporre una tassa sugli extraprofitti.A questo proposito, il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, ha lanciato un chiaro monito venerdì 26 parlando a Riga - ignorato dai giornali italiani ma ripreso con ampio risalto dal Financial Times - e avvertendo che detenere una moneta di uso globale come l’euro impone delle responsabilità e «usarlo come un’arma ne riduce l’attrattività e incoraggia l’uso di valute alternative». Non a caso il cinese renminbi ha superato l’euro come seconda valuta più usata al mondo nelle transazioni commerciali. Non si è riferito specificamente ai piani del Consiglio e della Commissione, ma era là che puntava. Sempre sul quotidiano londinese, per superare gli ostacoli legali, è stata avanzata la suggestiva proposta di ordinare che i fondi russi siano investiti in bond di guerra ucraini, con rischio di perdita del capitale in caso di danni di guerra ulteriori.Allora il Consiglio - aldilà dei proclami - per il momento si è assicurato che le maggiori spese siano finanziate con i contributi degli Stati. Si sfrutterà il plafond aggiuntivo richiesto per garantire il NextGenEe pari al 0,6% dell’Rnl di ciascuno Stato, oltre al 1,40% preesistente. Per indorare la pillola amara dei 64,6 miliardi di maggiori spese, si è deciso di tagliare 10,6 miliardi da altri capitoli di spesa e - al netto di 33 miliardi che sono comunque prestiti - si è ridotto a soli 21 miliardi il fabbisogno effettivo da coprire con maggiori «risorse proprie». Il curioso nome con cui l’Ue chiama i soldi «nostri» che gli versiamo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/soldi-kiev-ue-si-spacca-2667162771.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zelensky-scarica-il-capo-dei-militari-i-filorussi-civili-sotto-le-macerie" data-post-id="2667162771" data-published-at="1707006465" data-use-pagination="False"> Zelensky scarica il capo dei militari. I filorussi: «Civili sotto le macerie» Mesi di discussioni e alla fine il presidente ucraino, Volodomyr Zelensky, ha deciso di licenziare il comandante supremo delle forze armate, Valeriy Zaluzhnyi. Non esiste ancora nessun decreto ma Zelensky ha informato la Casa Bianca circa le sue intenzioni. Washington non ha espresso alcuna posizione, chiarendo che spetta all’Ucraina prendere decisioni sovrane sul proprio personale. Zaluzhnyi da tempo è impegnato in una disputa con il presidente ucraino per quanto riguarda la nuova mobilitazione militare che prevede il reclutamento di altri 500.000 soldati da portare al fronte. Decisione che Zelensky non ha preso di buon grado, convinto che i soldati attualmente schierati da Kiev siano sufficienti e che piuttosto debbano essere gestiti in modo più efficace. I due per altro si sono scontrati molte volte circa la gestione e l’andamento del conflitto, soprattutto dopo il fallimento della controffensiva ucraina. Insomma la notizia, che aveva cominciato a circolare già a inizio settimana, non sorprende visti i trascorsi. Nel frattempo si continua a combattere sul campo. I servizi segreti ucraini hanno colpito la raffineria Lukoil di Volgograd con due droni facendo esplodere un incendio. La Sbu, il servizio di intelligence ucraino, ha rivendicato l’attacco, chiarendo che l’obiettivo è quello di tagliare la logistica delle forniture di carburante per le attrezzature nemiche, ma anche di ridurre la capacità della Russia di rimpinguare il suo bilancio. L’attacco non ha provocato né morti né feriti e il deposito nel pomeriggio ha ricominciato a funzionare normalmente, ha dichiarato la società petrolifera Lukoil, proprietaria dell’impianto. Sette morti e sei feriti almeno nell’attacco alla panetteria di Lysychansk, che sarebbe stata colpita dalle forze ucraine. «I nostri nemici, non avendo successo al fronte, hanno attaccato la popolazione civile. Sapendo che nel giorno libero gli abitanti di Lisichansk venivano al panificio, hanno aperto il fuoco sull’edificio», ha commentato il capo della autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk, Leonid Pasechnik. Il bilancio delle vittime è destinato a salire in quanto si ritiene che sotto le macerie potrebbero trovarsi altri 23 civili. In Ucraina centrale, nella città di Kryvyi Rih, ci sarebbero almeno 15.000 famiglie senza elettricità a causa di un attacco delle forze russe che nella notte ha colpito un’infrastruttura energetica. «Nella regione di Dnipro e in particolare a Kryvyi Rih, i tecnici dell’energia elettrica stanno lavorando per ripristinare l’elettricità a tutti i consumatori il prima possibile», ha dichiarato Zelensky congratulandosi con le squadre all’opera. «Le nostre unità stanno avanzando, espandendo la zona sotto il loro controllo, migliorando la loro posizione in prima linea», così il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, in una riunione con alti ufficiali a Mosca. Nella Capitale russa ieri le forze di sicurezze hanno arrestato e poco dopo rilasciato circa 20 giornalisti che erano impegnati a seguire la manifestazione delle mogli dei soldati russi schierati al fronte. La manifestazione era stata convocata dal movimento Put domoj’ (la strada di casa), nel cinquecentesimo giorno dall’inizio della mobilitazione in Russia. Le donne chiedono il ritorno a casa dei loro figli e mariti.
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
Varsavia: «Da noi già troppi ucraini, frontiere chiuse». I tedeschi per gli hub in Paesi terzi. L’Olanda: «Patto con l’Uganda». Invece è stallo sui rimpatri validi in tutta l’Ue.
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)
L’ad di Eni: «La transizione energetica deve essere complementare e non sostitutiva, l’80% della domanda attuale è coperta da fonti fossili. Trascurati i biocarburanti». Lollobrigida: «Non condividiamo buona parte del bilancio europeo sull’agricoltura».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 16 ottobre con Flaminia Camilletti