2023-01-21
Soldati, il Goethe dell’Italia del cibo e del vino
Mario Soldati (Leonardo Cendamo/Getty Images)
Fu il primo divulgatore (anche) di quella tradizione gastronomica che rischiava di venire travolta dai venti della modernità. Raccontò chi, con il raggiungimento del tanto agognato benessere, «si sentiva finalmente emancipato dalle fatiche della cucina».Il suo era un volto che non passava inosservato. L’occhio sornione, il baffo complice, il sigaro in resta. Per descrivere Mario Soldati basterebbe il ritratto che gli ha dedicato Indro Montanelli, maestro di penna senza sconti per nessuno: «Aveva un talento che bastava una serata con lui per rendersene conto». Nato a Torino nel 1906, il giovane Mario iniziò a zig zag i suoi primi percorsi di vita. Dopo studi presso il collegio dei Gesuiti si laureò in storia dell’arte. Vincitore di una borsa di studio visse per un periodo a New York, docente di storia dell’arte italiana alla Columbia University. Di quegli anni un libro che è rimasto nelle corde del cuore di molti suoi lettori fidelizzati nel tempo: America primo amore. Tornato in Italia si stabilisce a Roma, dapprima come sceneggiatore di Mario Camerini e poi come regista. Nel 1941 è suo il ciak si gira di Piccolo Mondo antico, anche se il film che gli fece ancora una volta cambiare passo, nel 1954, fu la Donna del Fiume, girato nel Polesine con una giovane Sofia Loren. Anno galeotto per l’eclettico Mario, vincitore del Premio Strega con Lettere da Capri, dove racconta scenari che si sommano agli orizzonti nativi del Monviso, nella sua Torino. Le skyline americane, le umide atmosfere del delta. Nel 1954 la Rai inizia a trasmettere regolarmente le prime trasmissioni via etere. Oramai ci sono tutte le premesse per arrivare al Soldati che lo ha reso famoso a dimensione familiare in tutto il Bel Paese. Nel 1956 mamma Rai gli commissiona una trasmissione «per dare voce e dignità culturale e sociale agli abitanti attorno al grande fiume». Sono gli anni dell’incipiente boom economico, quello che rivoluzionerà molti aspetti del vivere nazionale. L’industrializzazione porta al nord flussi di migranti che non devono più varcare i confini nazionali per uscire dalla povertà. Si svuotano progressivamente le campagne per riversarsi nei centri urbani. Le cucine abbandonano usanze secolari, per dare spazio a frigoriferi, e quindi a cibi più conservabili. L’elettricità del fornello sostituisce il calore del fuoco a legna. Non è più necessario andare al mercato ogni giorno, i bancali delle catene commerciali entrano sempre più nella borsa della spesa di madri che lavorano, con le cucine delle nonne destinate a diventare un lontano ricordo. Su queste premesse nasce Viaggio nella valle del Po, alla scoperta dei cibi genuini, 12 puntate trasmesse a partire dal 3 dicembre 1957. In questo modo Mario Soldati diventa il primo divulgatore (anche) di quella tradizione gastronomica che rischiava di venire travolta dai venti della modernità. Una missione che Soldati sentiva nel profondo, come ha ben descritto Anna Marmiroli, accademica della cucina emiliana. «Con la sua trasmissione Soldati ha saputo dare voce a contadini, ortolani, piccoli produttori che mai avrebbero avuto la capacità di raccontarsi. Dona a tutti loro quella dignità culturale che, diversamente, non avrebbero mai saputo conquistarsi». È quella che, poi, diventerà la cultura materiale, una delle grandi risorse del nostro Paese. Non ancora del tutto scoperta e valorizzata ancora oggi, agli inizi del terzo millennio, ma del cui valore Mario Soldati ne intuì le grandi potenzialità, primo fra tutti. Una sorta di Goethe a dimensione padana con poche certezze, ma precise. «Viaggiare è conoscere e il modo più facile, più diretto per arrivare a conoscere un paese è praticare la cucina della gente che lo abita». Una marcia in più, che passava per la tavola, utile a valorizzare le mille bellezze di un’Italia fino ad allora conosciuta per le sue città d’arte, per i luoghi della villeggiatura, di mare o di montagna. Il tutto costruito con grande passione e talento, in quanto «l’abilità di Soldati non era semplicemente quella di scovare ingredienti, ma di raccontare persone, dialogando con pescatori, ristoratori, artigiani con grande semplicità, mettendosi al livello dello spettatore curioso, fingendo di non sapere, per rendere il gioco ancora più intrigante». Partiva dal basso per volare alto, come ben lo descrive Maurizio Sentieri. «Ciò che lo muove all’interesse del racconto sono solo apparentemente cibo e vino, certamente collanti formidabili dell’esistenza quotidiana per molti di noi, ma che sempre aprono riflessioni sul tempo, luoghi, persone». Una chiave di lettura ben descritta da Anna Prandoni, già direttrice de La Cucina italiana: «Nella cucina c’è tutto e, nel modo di cucinare, c’è la storia, la civiltà di un popolo». Concetto che Mario Soldati aveva ben saldo nella sua missione di testimone a salvaguarda delle comunità che andava ad incontrare per salvarle «dalla peggiore delle profanazioni, con il gusto che si smorza e si abbassa al falso per assaggiare piacevolmente il peggio».È vero che, specialmente in questi ultimi anni, con una sorta di bulimia catodica che ha invaso i palinsesti, si spignatta in diretta ad ogni ora del giorno, ma quando Soldati, dopo la fortunata serie televisiva, iniziò sempre di più a scrivere e raccontare di storie golose a tutta penisola, vi erano fasce sempre maggiori di popolazione che, con il raggiungimento del tanto agognato benessere, «si sentiva finalmente emancipata dalle fatiche della cucina», senza rendersi conto che la perdita della memoria equivaleva alla perdita delle radici, della propria identità. Sono anni in cui a Soldati si affiancano altri testimoni che si adoperano per la diffusione degli antichi saperi e sapori. Su tutti il bergamasco Luigi «Gino» Veronelli. Erano due giganti, con le loro caratteristiche che ne rendevano interessante il confronto. Ad esempio sullo stile di scrittura. Veronelli amava dire di sé: «Sono un centometrista, non un maratoneta». I suoi testi asciutti, spesso conditi con neologismi frutto di genio e passione, anche a causa della sua progressiva cecità, tanto che, negli ultimi anni, dettava alla segretaria il suo pensiero. Diverso Soldati, certamente per il suo talento eclettico, che aveva esercitato in altri settori. Un raccontare fluido e narrativo, svincolato dalla clessidra di arrivare quanto prima alla conclusione. «Soldati si prendeva tutto il tempo necessario per raccontare e intervistare con calma. In certe situazioni, quando dialogava con gente di paese che aveva difficoltà ad esprimersi in italiano, lui li affiancava, con il piemontese nativo». Oppure ancora, quando l’intervista trovava un interlocutore stimolante, pronto a svelare i suoi segreti «Soldati fa domande, non si preoccupa di passare per incompetente, con un singolare porsi tra curiosità e modestia a chi può trasmettere, a lui e quindi allo spettatore, storie e tradizioni che meritano di essere valorizzate». Molti degli scritti di Mario Soldati sono stati riuniti in una antologia, Da leccarsi i baffi, curata da Silverio Novelli che così è penetrato nell’anima più vera del Soldati narratore gourmet e non solo. «Soldati non racconta soltanto l’uomo che si lecca i baffi o che usma nel bicchiere ma, con tono rilassato e affabile, descrive un’Italia paesistica quasi preindustriale. Un’Italia animata dai valori di una civile laboriosità contadina, colte entrambe nel momento in cui stanno per spiccare il grande salto verso la piena modernità urbana e consumistica. Il Soldati gourmet è come una torta a strati dove nei suoi incontri, nei suoi ritratti, vengono presentati al lettore stuoli di personaggi diversi». Ed è proprio sull’onda di un «Soldati che riesce sempre a fare del cibo e del vino un prisma che rifrange una variegata iride di umanità» che ne racconteremo, nelle prossime tappe, di quell’Italia unica e irripetibile con le sue bellezze, le sue curiosità golose, i suoi personaggi che Soldati ha saputo trasmettere a noi, incuriosendo, con la sua penna ed il suo stile, ad andarli a conoscere e scoprire li dove vibrano le radici identitarie del Bel Paese.
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