2023-05-20
Così la sinistra ha frenato le opere contro l’alluvione
Vasche di laminazione (che hanno salvato il Veneto) non fatte, dighe stoppate, fiumi non puliti, fondi destinati al dissesto idrogeologico dirottati: ecco le colpe della Regione Emilia Romagna. Prona all’ideologia «green». «La più grande opera per salvare Ravenna l’avevamo fatta. Quando? Nel 1600». Osservando i gorghi che lambiscono le arcate del vecchio ponte di mattoni rossi, i tre amici con giubbotti e cerate scuotono il capo. Piove e pioverà su questa terra a mollo da secoli, che ha sempre combattuto e vinto a mani nude contro l’invadenza dell’acqua. A quell’epoca il letto del Ronco e del Montone fu deviato, raddoppiato con un’impresa ingegneristica visionaria. Quello che abbiamo davanti non si chiama Fiumi Uniti per caso. Ha ragione il sindaco, Michele De Pascale : «Basterebbe essere all’altezza del proprio passato». Allora era più semplice, non c’erano i Verdi a opporsi, fare distinguo, a brandire con fanatismo ecologista i diritti delle nutrie che scavano gli argini.Il disastro è davanti agli occhi dell’Italia che muore di alluvioni mentre è terrorizzata dalla siccità. Il disastro dell’Emilia annegata dall’ideologia green va raccontato lontano dalle strumentalizzazioni e dall’ineluttabilità pelosa di chi adesso dà tutta la colpa al clima. Il geologo divulgatore radical Mario Tozzi incolpa a reti unificate il cambiamento climatico e le attività dell’uomo: «Azzeriamo le emissioni, facciamo pagare le compagnie gassificatrici e carbonifere, lasciamo liberi i fiumi. Io piangerei solo su noi stessi che abbiamo creato queste disgrazie». Come un virologo da lockdown che ha trovato terreno fertile, cavalca la narrazione mainstream più alla moda, la usa come un diversivo.Gli emiliani e i romagnoli con l’acqua in casa e con le vittime in famiglia sono scettici perché conoscono un’altra verità. Più vicina a loro, con responsabili che hanno nomi e cognomi. Massimo Donati da Lugo di Romagna è furibondo, il suo video sta facendo il giro del mondo e le sue parole sono pietre: «I fiumi vanno puliti d’estate, non quando piove. Il Lamone, il Montone, il pericolo arriva da lì». Ha perso tutto e indica la montagna con gli stivali da pescatore alle cosce. «Le casse di espansione dovevano essere fatte a Solarolo, Castel Bolognese, Faenza, Imola; sono 20 anni che promettono e non fanno niente. La colpa è della gestione del territorio, Bonaccini impari come si lavora». L’Emilia Romagna è sott’acqua perché chi la governa da sempre è stato imprevidente, ideologico, meno avveduto degli antenati del 1600. L’Emilia Romagna è in ginocchio perché le vasche di laminazione che hanno salvato il Veneto cinque anni fa (allora caddero 700 millimetri di pioggia in poche ore, qui 300) sono state solo promesse. Su 23 progetti finanziati con 190 milioni dallo Stato, ne funzionano a pieno regime 12. Perché? Perché gli ecologisti (che in Regione stanno in maggioranza con il Pd) non le vogliono, le ritengono ulteriore consumo di suolo, cemento dannoso che destabilizza l’armonia della natura. Secondo il Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo dal 1999 al 2023 in Emilia sono stati finanziati 529 progetti di messa in sicurezza con un impegno spesa di 561 milioni, ma solo 368 sono stati ultimati. All’appello ne mancano 161 che valgono 258 milioni, oltre la metà dei soldi destinati alla Regione.Si può parlare di disastro annunciato, i niet del fanatismo green impediscono di contenere i fiumi, proteggere i boschi, salvaguardare paesi e città. A Imola il Santerno era già uscito nel 2014, stesse foto, stessi video, stesso motivo: «Mancanza di pulizia degli alvei fluviali». Per non disturbare istrici, tassi, volpi che con le loro tane ne ampliano la vulnerabilità. L’argine del Senio a Castel Bolognese era franato due volte, nel 2013 e nel 2016, suscitando contenziosi e polemiche fra amministrazione e privati. Le casse di espansione del Senio, fra Riolo e Castel Bolognese, sono una sorta di fabbrica del duomo. Il progetto ha 30 anni e come sottolinea Valeria Castaldini (capogruppo di Forza Italia in Regione) «non è mai stato portato a termine completamente, salvo una promessa dell’assessore all’Ambiente, Irene Priolo, che nel 2021 parlava di conclusione dei lavori in 15 mesi. Mai raggiunta. Ed è una delle zone più colpite».A Forlì il fiume Montone e il torrente Rabbi erano esondati con effetti devastanti nel 2005, 2010, 2013 e 2014, e l’amministrazione aveva stanziato inutilmente 1 milione di euro per risolvere il problema. La natura aveva mandato avvisi inascoltati. Al colabrodo degli argini si aggiunge una burocrazia paralizzata dalle guardie rivoluzionarie green. È in vigore la «legge taglio del bosco» che praticamente impedisce di tenere pulite le zone limitrofe ai corsi d’acqua; se un privato vuole raccogliere legna per uso personale o manutenere un castagneto deve «richiedere autorizzazione da inoltrare tassativamente mediante Spid». Con rischio di multe salate. A quel punto si siede sulla sponda del fiume a leggere Hemingway.Mentre Tozzi va di violino in tv parlando come Greta Thunberg, c’è chi mette a fuoco il problema con maggiore realismo. Il geologo Massimiliano Fazzini: «Non si può sempre dire di no a tutto. Con questo nuovo clima bisogna regimare i corsi d’acqua laddove occorra, anche con opere impattanti sull’ambiente, ma sempre nel rispetto di quest’ultimo». Alberto Prestininzi, ordinario di geologia applicata alla Sapienza: «Negli ultimi 20 anni si è diffuso un analfabetismo di ritorno scientifico che coinvolge le nuove generazioni e fa perdere il senso di realtà. Non si possono più costruire dighe, evitare che i fiumi vadano in piena. Ormai si pensa solo al cambiamento climatico». La responsabilità politica della sinistra emiliana è evidente. La consigliera Castaldini porta ulteriori indizi: «Non si è fatta prevenzione. Guardando fra le delibere ho visto che nella foga di chiudere in pareggio il bilancio della Sanità, la giunta ha deciso di svincolare fondi destinati a interventi urgenti rivolti alla riduzione del dissesto idrogeologico. Così nel bilancio regionale il buco è stato coperto». Ma le opere non ci sono, la terra è fradicia e gli alibi sono finiti. Piove, pioverà.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)