Operazioni di ripristino dell’argine sul Lamone (Ansa)
Il Lamone allaga ancora Traversara dopo aver eroso la barriera. Decine di cittadini esasperati scrivono ai pm. Un sindaco denunciava già nel 2021 i ritardi dei lavori.
L’Emilia-Romagna è di nuovo sott’acqua e, come un anno fa, invece di guardare a ciò che si è fatto e alle molte opere che non sono state portate a compimento, si discute di cambiamento climatico per spiegare l’alluvione.
È lo stesso espediente usato lo scorso anno, quando la Regione fu travolta dalle acque: dare la colpa al surriscaldamento che provoca fenomeni estremi è come maledire il destino cinico e baro. Scaricare, cioè, le colpe su qualche cosa che è sopra di noi e che non sta nelle nostre disponibilità, né è possibile modificare in tempi brevi, equivale a non fare niente. Dire che dobbiamo cambiare le nostre abitudini, sostituire le fonti fossili con le rinnovabili e consumare meno è, infatti, una grande operazione di distrazione di massa, che serve a non parlare delle colpe di chi non ha fatto, e non fa, ciò che si dovrebbe.
La spiegazione di tutto sta in una mappa del rapporto sul rischio idrogeologico in Italia. A redigerla è stato l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, una sorta di authority che vigila sui pericoli legati al territorio. Lo studio, predisposto nel 2021 dall’ente statale, dimostra che nel nostro Paese ci sono zone che potenzialmente possono finire sott’acqua e, nella classifica delle Regioni più esposte a questo rischio, l’Emilia-Romagna è al primo posto. Secondo Ispra, in Italia quasi sei milioni di persone abitano in aree esposte al pericolo di un’alluvione. E sapete quante di queste risiedono nel triangolo che si estende fra Piacenza, Ferrara e Rimini? Beh, all’incirca la metà del totale. Infatti, secondo l’istituto, a essere esposti a un’inondazione sono 2,7 milioni di emiliani e romagnoli, vale a dire circa il 64% della popolazione. Non c’è Regione della penisola che sia messa così male, perché la seconda a presentare un pericolo idrogeologico alto è la Toscana, che vede il 26% dei suoi abitanti risiedere in aree giudicate a rischio di esondazioni o frane.
Che dovrebbero fare degli amministratori di fronte a dati così preoccupanti, per di più segnalati già da tempo (come detto, l’ultimo rapporto è del 2021 ma non è che in precedenza nessuno avesse puntato il dito sui rischi)? La risposta mi pare scontata: certo non girarsi i pollici, ma rimboccarsi le maniche. E invece, salvo organizzare un certo numero di convegni per parlare di cambiamenti climatici, le cose fatte sono state poche e di certo non sufficienti a mettere al riparo la popolazione dai pericoli di un’alluvione. Qualcuno potrebbe obiettare che questa è storia passata e che adesso tocca spalare il fango. Vero, peccato che, guardando le esondazioni del passato in Emilia-Romagna, si capisce che il pericolo viene da lontano, non dal cambiamento climatico, e se il problema, in maniera più o meno grave, persiste, è perché nessuno ha tempestivamente messo mano alle opere necessarie per evitare che i fiumi esondassero e invadessero strade e case. E qui veniamo alla polemica del giorno, con la popolazione che mugugna, la politica che gioca a scarica barile anche perché, fra poche settimane, da quelle parti si vota e nessuno si vuole prendere la responsabilità di dire che qualche cosa non ha funzionato.
I dati, però, sono pubblici e non si spreca molto tempo nel consultarli. Dopo l’alluvione dello scorso anno dove, nonostante le solite giustificazioni adottate dagli amministratori per addossare la colpa al cielo e all’universo mondo, una cosa è stata da subito chiara: se non si rafforzano gli argini e non si fanno i bacini di compensazione, quelli che servono a trattenere e dirottare le acque, sarà difficile evitare altri allagamenti. Infatti il problema è che, invece di presentare progetti, concedere autorizzazioni per l’inizio dei lavori e iniziare la realizzazione delle opere necessarie a evitare il bis del maggio scorso, sindaci e Regione hanno perso tempo.
Il risultato è che altre migliaia di persone hanno visto la propria casa finire sott’acqua e adesso provano a dare la colpa ad altri. La tutela del territorio è competenza delle autorità locali, non certo di Roma. E se invece di organizzare convegni e parlare di cambiamento climatico qualcuno avesse sistemato i fiumi, certo ora non ci sarebbe da spalare fango e nessuno rischierebbe di esserne politicamente travolto.