2024-10-24
Il disastro in Emilia previsto...dall’Emilia quasi 20 anni fa
Un documento del 2005 elencava gli interventi da realizzare per mitigare i rischi idrogeologici. Ma è rimasto in un cassetto.Era tutto scritto. Ora il sindaco Matteo Lepore sentenzia in galosce: «Bisognerà intervenire in modo pesante sui torrenti tombati». E l’opposizione ne chiede le dimissioni. Ora la Regione (nel senso di istituzione) più umida d’Italia spiega con le orecchie basse che «bisogna stare tutti uniti, un’unità repubblicana». Ora il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, fa visita a Bologna alluvionata e prepara parole di conforto. Ora, ancora una volta, i volontari di mezza Italia (Protezione civile, alpini, associazioni) si distinguono per generosità e partecipazione accanto alle vittime materiali della colata di fango. Ma rimane l’accusa: era tutto scritto.L’allarme mai preso in considerazione era nero su bianco da 20 anni, sonnecchiava nel «Piano stralcio per l’assetto idrogeologico» dell’Autorità di bacino del Reno (istituto della Regione Emilia-Romagna) che prevedeva un programma di interventi per scongiurare il rischio idraulico. E per consolidare l’assetto della rete idrografica del torrente Idice, che con il Ravone e il Savena è stato il protagonista del più recente disastro. Diciassette pagine di investimenti e di progetti per un totale di 11,7 milioni di euro, con un focus particolare su alcune zone sensibili, dove intervenire per proteggere paesi e quartieri.È paradossale che la Regione abbia rivelato a sé stessa i pericoli e poi abbia ricominciato a dormire sul dissesto idrogeologico, obnubilata da un ecologismo radicale trasformatosi in boomerang per i cittadini. Due volte Vasco Errani e due volte Stefano Bonaccini si sono seduti invano sulla poltrona da governatore mentre il piano languiva e i torrenti si trasformavano in bombe d’acqua. Un esempio lampante è quello di Budrio, in cima alle priorità d’intervento perché attraversato dall’Idice. Fatto niente. Oggi Budrio, Provincia di Bologna, è il luogo simbolo delle alluvioni non solo perché è alla quarta evacuazione (2019, 2023, due volte nel 2024), ma perché l’acqua che ha trasformato il centro storico in un sestiere di Venezia ha fatto il giro del mondo.Nel Piano idrogeologico approvato dalla giunta regionale nel 2003 e modificato nel 2005 si legge che «nel Comune di Budrio sono state individuate aree in cui risulta necessario provvedere a interventi per la messa in sicurezza del territorio. In località Vigorso, l’area sulla quale è insediata la sede Inail, in sinistra idraulica, è già stata oggetto delle esondazioni delle acque di piena del torrente Idice in diverse occasioni. È necessaria la progettazione e la realizzazione di opere per la messa in sicurezza di tale area da eventi di piena con tempo di ritorno 200 anni. Anche in destra idraulica, di fronte alla sede Inail e quindi sempre in località Vigorso, le quote del terreno risultano più basse dei livelli idrici conseguenti ad eventi di piena con tempo di ritorno a 50 anni; pertanto, anche in tale zona andranno realizzate opere per la messa in sicurezza da eventi di piena con tempo di ritorno 200 anni».L’esempio è voluto perché il Centro protesi riabilitativo di Vigorso è chiuso da un mese, devastato dall’acqua dell’Idice in libera uscita. È un’eccellenza internazionale a 20 km da Bologna e il sindaco Debora Badiali spiega che «valuteremo l’opportunità di spostare la sua sede in un altro punto del Comune». Una scelta che conferma la sconfitta della politica perché quel benedetto piano impegnava già 20 anni fa la Regione a «progettare e realizzare opere per la messa in sicurezza dell’area». Ora gli esperti pensano a una cassa d’espansione a monte ancora da progettare per proteggere anche i paesi di Pianoro, San Lazzaro, Molinella e Castenaso, mentre il documento firmato dall’allora presidente dell’Autorità di bacino del Reno, Marioluigi Bruschini, giace in un cassetto a prendere la polvere.Accusa Marta Evangelisti, capogruppo di Fdi in Regione: «Dispiace constatare che quanto occorso nel territorio era già stato preventivato da studi approfonditi nelle mani della Regione ma, soprattutto, che i disastri potevano essere scongiurati con opere di manutenzione. Oggi bisogna intervenire con urgenza, cancellando le normative che impediscono di prendersi cura del reticolo idrografico, facendo le infrastrutture necessarie e spendendo le risorse messe a disposizione negli anni ma mai utilizzate correttamente».Mentre il progressismo stracult con l’ombrello griffato continua a ripetere a nastro che «la colpa è del riscaldamento globale», particolare attenzione merita anche la chiavica d’Accursi, una chiusa strategica sempre sul torrente Idice, già finita sotto la lente durante l’alluvione del maggio 2023. La denuncia di Claudio Giacomello, titolare della cooperativa agricola Massarenti a Molinella (cento ettari di terra finiti a mollo per la terza volta) è circostanziata: «Posso dire con certezza, essendo qui da decine d’anni, che la chiavica è stata aperta nel modo sbagliato, causando una pressione dell’acqua ancora maggiore».Il problema è anche un altro: nel 2003 alcune aree del territorio bolognese sono state inserite in Zona di protezione speciale (Zps) dove solo gli enti preposti «possono toccare, rimuovere o modificare l’habitat naturale per preservare l’aviofauna». Traduce lo stesso Giacomello: «In poche parole noi non abbiamo mai più potuto spostare tronchi, rimuoverli o modificare argini. Cosa che prima si faceva normalmente. Da allora chi lo doveva fare, enti preposti e istituzioni, non lo ha fatto e questo è il risultato». Altro che global warming. Era tutto scritto ma nessuno ha voluto leggere.