2025-11-27
Ma erano davvero in pericolo quei bimbi?
È la sola domanda da porsi sul caso dei Trevallion. La risposta la sanno tutti, anche se non vogliono ammetterlo. E la politica deve intervenire perché i tecnici hanno esondato.Il tribunale dell’Aquila che ha deciso di allontanare da casa i tre figli di Nathan Trevallion dichiara di aver agito perché i bambini erano in grave pericolo. Rischiavano importanti danni psicologici a causa della mancanza di socializzazione, ha spiegato il giudice. Vivendo isolati, i piccoli potrebbero diventare incapaci di «riconoscere l’altro», cioè di comprendere e accettare le differenze.L’aspetto curioso della faccenda è che i più incapaci di riconoscere e accettare l’altro, in questi giorni, sembrano essere proprio coloro che sostengono con forza le ragioni del tribunale e insistono a descrivere la famiglia Trevallion come una banda di psicolabili. In molti scrivono ad esempio che Catherine Birmingham, moglie di Nathan e madre dei bambini, è una pazzoide che vende sul suo sito fantomatiche guarigioni spirituali. Altri insistono a dire che padre e madre siano due fanatici, restii a trattare con i servizi sociali e chiusi nelle loro fortezze ideologiche oltranziste.Sono tutte tesi interessanti, queste. Ma ancora più suggestivo è il fatto che i grandi autonominati difensori del buon senso e della ragione dei social e della carta stampata siano i primi a ricorrere all’emotività per demonizzare i genitori selvatici. La posizione di chi difende il tribunale senza se e senza ma, in buona sostanza, si può riassumere così: non condividiamo lo stile di vita dei Trevallion, pensiamo che siano due pazzi, dunque è giusto togliere loro i bambini e sanzionarli. La ragione, tuttavia, impone di porsi diversamente e di seguire il diritto e, dunque, la legge. Qui il punto non è se la vita della famiglia dei boschi e dei neo rurali sia condivisibile o meno. Il punto è: è giusto allontanare i bambini? Sussiste il pericolo grave e immediato per la salute dei piccoli? Il nodo della faccenda è tutto qui. Si può ritenere che i genitori boschivi siano idioti, ma anche gli idioti e i fanatici hanno diritti, tra cui quello di crescere bambini. Se così non fosse, se cioè gli idioti andassero privati in quanto tali della responsabilità genitoriale, probabilmente la gran parte dei minori starebbe in case protette. Tra i commentatori più illustri, quelli che non puntano sulla mostrificazione dei genitori sembrano optare volentieri per la disapprovazione dei comportamenti degli italiani che solidarizzano con i Trevallion. Massimo Gramellini, per dire, tira in ballo il familismo amorale. A suo dire, gli italiani si fanno affascinare da un mito duro a morire. «L’articolo zero della Costituzione, mai scritto ma assai praticato, recita: “L’Italia è una Repubblica di individualisti fondata sulla famiglia”. Che viene prima di tutto. Soprattutto, viene prima dello Stato, cioè della comunità allargata e delle leggi, che spesso la famiglia considera intrusive, limitanti e meno importanti della libertà personale. Così i miti “famiglia” e “natura” finiscono per saldarsi contro i miti più recenti, “cittadini” e “civiltà”». Forse a Gramellini sfugge che, in effetti, la famiglia viene prima dello Stato e non perché lo sostengano i Trevallion. Persino Giuseppe Mazzini lo riconosceva, individuando la famiglia come prima cellula del corpo sociale. E la stessa Costituzione definisce la famiglia quale «società naturale», cioè esistente in natura, dunque precedente a ogni altro tipo di contratto sociale. Dove sta, dunque, il problema se i nostri connazionali tendono a difendere il proprio nucleo? Chi dovrebbe farlo se non loro? Certo, poi le famiglie debbono prendersi adeguatamente cura dei figli. Ma fino a che punto, si domanda giustamente Tommaso Greco su Avvenire, si estende «il nostro dovere di adeguarci al modello sociale seguito dalla collettività di cui facciamo parte?». La risposta meriterebbe un approfondito dibattito. Ma, ribadiamo, in questa storia non si sta decidendo se uno stile di vita sia giusto o apprezzabile o meno. Si sta solo cercando di stabilire se nel caso dei Trevallion sussista un vero pericolo per i bambini e se, dunque, questi debbano essere tolti alla tutela dei genitori, niente altro.Vero, alla fine la faccenda, da squisitamente tecnica, è diventata politica (e molti, Avvenire compreso, se ne rammaricano). Ma la politica è chiamata a intervenire proprio perché i tecnici hanno esondato, perdendo di vista il nocciolo della questione. Ovvero la solita, banale domanda: erano in pericolo quei bambini? La risposta la sanno tutti, anche se non vogliono ammetterlo.
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