2024-06-26
Elly si crede Sinner: «Vinto per 6-0». Siluro Giorgia: «Era meglio Occhetto»
La Meloni interviene dopo i ballottaggi: «Avanti con premierato e autonomia, entrambe le riforme le voleva persino la sinistra». Il Nazareno lancia un’Opa sul campo largo, che diventa «progressista». Inglobando il M5s.Nel 2019 Francesco Boccia aveva architettato un decentramento che avrebbe suddiviso l’Italia in venti piccole repubbliche (bocciato anche dalla Cgil). Oggi, invece, predica l’esatto contrario.Lo speciale contiene due articoli.«Andiamo avanti con il sorriso, senza farci intimorire», promette Giorgia Meloni dopo 14 minuti di diretta social in cui non solo non fa un sorriso, ma indossa l’elmetto e lucida la baionetta. Ci sono da difendere e spiegare l’autonomia differenziata e il premierato. Ma soprattutto c’è un clima tra l’esagitato e il surreale che al premier non piace. La scorsa settimana, alla Camera, la deputata M5s Susanna Cherchi, ha minacciato il governo e la maggioranza di centrodestra con queste parole: «Gli italiani sono un popolo strano. Mussolini è arrivato a piazzale Loreto e l’hanno messo a testa in giù. Non dimenticatelo questo». Mentre ieri Elly Schlein pareva la sorella maggiore che manca a Jannik Sinner ed esultava: «Abbiamo messo a segno un sei a zero quasi tennistico nei capoluoghi di Regione». Dimenticando che città come Firenze e Bari erano roccaforti della sinistra e che solo due settimane fa, alle europee, Fratelli d’Italia ha fatto il pieno di voti, prendendo il 28,8%.Mentre il Pd esulta per il voto di domenica, Giorgia Meloni ci mette la faccia per affrontare i due temi che potrebbero aver pesato nelle ultime consultazioni, ovvero la riforma che introduce il premierato forte e quella dell’autonomia differenziata. Al di là dei toni duri, il filo conduttore è sempre lo stesso ed è quasi un invito alle opposizioni a ragionare sui fatti concreti e a «fare chiarezza», dopo aver smontato «diverse falsità».Alle spalle della Meloni c’è un grande tricolore e ha un significato preciso: «Noi siamo patrioti che sanno qual è il verso della bandiera quando si sventola e lavoriamo affinché tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti», attacca il presidente del Consiglio. Che poi risponde alla campagna di odio: «Una parlamentare M5s ha evocato per me piazzale Loreto e la sinistra manda in giro liste di proscrizione, ma io penso che i modi violenti della sinistra siano una difesa disperata dello status quo, una difesa del privilegio che ha garantito alcuni a scapito della maggioranza degli italiani». E, dopo aver ricordato le promesse mantenute in questi venti mesi di governo, dalla riforma della giustizia a quella del fisco, spiega che il premierato intende semplicemente chiudere con un passato di trasformismi e di governi, balneari, arcobaleno e «tecnici», nati in provetta nelle segrete stanze del Quirinale (anche se il Colle non lo nomina). «Sul premierato mi accusano di deriva autoritaria», osserva Meloni, «ma lo voleva Occhetto trent’anni fa e in pratica lui era più avanti della Schlein».Poi apre il capitolo autonomie e anche qui utilizza le contraddizioni del centrosinistra: «L’idea di attribuire più autonomia non è un’invenzione del centrodestra e della sottoscritta ma un principio presente in Costituzione con il titolo V, riforma varata nel 2001 approvata a colpi di maggioranza sotto il governo di Giuliano Amato, un governo della sinistra e confermata dagli italiani con il referendum». Poi cita un ex ministro del Pd, Francesco Boccia, «che nei giorni scorsi ha riconosciuto come l’autonomia regionale non sia né di destra né di sinistra ma è semplicemente scritta nella Costituzione». Quello che per il premier è inaccettabile è che l’opposizione faccia «una campagna ipocrita su una legge quadro», il cui merito e i cui dettagli tecnici andranno stabiliti più avanti. E si toglie lo sfizio di citare un altro personaggio di sinistra, l’ex dalemiano Claudio Velardi, attuale direttore del Riformista e uomo del Sud, che ha promosso la riforma sfidando il Mezzogiorno «ad alzare la testa». Il premier spiega che sono state date delle cornici ben precise, garantisce che lo Stato centrale non dimenticherà nessuno e ricorda che persino Regioni del centrosinistra, come Toscana e Campania, nel 2018 definivano l’autonomia «un’opportunità». E sui discussi Lep, i livelli minimi di prestazione, Meloni precisa che «le disparità attuali sono date dal fatto che nessuno si sia mai posto il problema di stabilire quali debbano essere i livelli minimi da garantire». E con la nuova legge «non si possono avviare gli iter per l’autonomia senza che prima siano stati stabiliti i Lep». Se questi sono i fatti su cui si può discutere, per la Meloni l’opposizione deve, però, smettere di «usare toni da guerra civile».Sono invece i toni di una grande vittoria quelli scelti ieri dalla Schlein in una conferenza stampa sulle amministrative. Il segretario del Pd parla di «Un 6-0 tennistico nei capoluoghi di Regione. Una vittoria straordinaria per il Pd e per il campo progressista». L’aggettivo «progressista» comprende, par di capire, anche i 5 stelle, che molto progressisti non sembrano e neppure vorrebbero esserlo. Il tutto nelle more di un fantomatico «campo largo» che dovrebbe unirsi e sfidare il centrodestra alle politiche del 2027. Nel favoloso mondo di Schlein è come se alle Europee non si fosse votato e quindi parla di «italiani che stanno sempre peggio» e di amministrative da cui arriva «una bocciatura delle destre sui territori e per le scelte sbagliate del governo e dei suoi alleati. Il messaggio è chiaro: basta coi tagli alla sanità e con i salari bassi, con l’autonomia. Toni da guerra civile? Meloni non accetta una sonora sconfitta». E a La Russa che aveva proposto di eliminare il ballottaggio, dice: «Non è che quando si perde si aboliscono le elezioni, non si scappa con il pallone in mano. Non è colpa degli elettori se la destra ha perso, è colpa loro».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/siluro-giorgia-era-meglio-occhetto-2668606993.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="giravolta-boccia-ora-fa-il-centralista" data-post-id="2668606993" data-published-at="1719361276" data-use-pagination="False"> Giravolta Boccia: ora fa il centralista Il Pd ha lanciato la crociata contro la legge sull’autonomia differenziata accusata di spaccare l’Italia. I big del partito scaldano i muscoli in vista del possibile referendum. In pieno delirio ideologico dimenticano che il primo disegno di legge in materia risale alla stagione del governo giallo-rosso. Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ministro degli Affari regionali Francesco Boccia firmatario del provvedimento. Il testo presentato alle Camere però era talmente surreale che anche la Cgil si era dichiarata contraria. Il precedente governo con la Lega in maggioranza non aveva fatto nulla. Il Pd invece, tornato al potere con una giravolta di palazzo, si era messo in moto nel tentativo di scavalcare il partito di Salvini. Era già successo con la riforma Titolo V della Costituzione. Una modifica confusa che non solo aveva mancato l’obiettivo principale (fermare l’avanzata della Lega) ma aveva anche creato enormi conflitti di competenza tra Stato e Regioni. Il risultato è stato la fuga delle responsabilità e il rimpallo delle attribuzioni che ancora oggi impedisce di individuare una chiara catena di comando nella pubblica amministrazione. Non meno confusa la proposta firmata da Francesco Boccia sul decentramento. Il testo nelle intenzioni doveva essere approvato alla fine del 2019 ed entrare in vigore all’inizio dell’anno seguente. Il disegno di legge era composto di due articoli corredati da nove commi. Il primo si occupava delle procedure per l’individuazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazioni) e del loro finanziamento attraverso «un meccanismo di perequazione infrastrutturale automatico» il cui funzionamento era tutto da scoprire. Il secondo indicava gli ambiti di competenza che dovevano essere trasferiti alle autonomie locali. L’individuazione era stata affidata alla Conferenza Stato-Regioni che, in quel momento, guarda caso era presieduta da Stefano Bonaccini, esponente di spicco del Pd e presidente dell’Emilia-Romagna. Il punto centrale, però, veniva subito dopo: in caso di mancato accordo sui Lep e sul sistema di finanziamento a decidere sarebbe stato un commissario nominato dal ministro dell’Economia che in quel momento era Roberto Gualtieri. Insomma, una riforma da costruire in tutta fretta a vantaggio delle Regioni amiche. Un testo talmente confuso da essere diventato bersaglio del fuoco amico. A smontarlo un documento della Cgil che, pur «apprezzando lo sforzo del ministro» per trovare una soluzione condivisa, ne metteva in luce i gravi limiti. Se oggi, infatti, la sinistra condanna la rottura dell’Italia fra Nord e Sud, il testo di Francesco Boccia avrebbe creato una ventina di repubbliche indipendenti. In materia di ambiente - scrive la Cgil - c’è il rischio che un prodotto cessi di essere rifiuto in Emilia, ma non in Toscana. Ancora peggio sulla sanità, la cui tutela è oggi la punta di lancia della propaganda della Schlein: il concetto di non autosufficienza e il relativo diritto all’assistenza rischiava di cambiare forma in base su base regionale. Per non parlare dell’infanzia: l’asilo non era riconosciuto come Lep dalla norma generale, ma come obiettivo di servizio per cui può non essere garantito dal sistema pubblico o tendere all’obiettivo del 33% dei bambini e non al 100%. Nella coda del documento della Cgil, la condanna finale: «I Lep devono costituire diritti soggettivi, prestazioni, servizi che devono essere garantiti dal sistema pubblico. Le scelte politico-economiche degli ultimi 20 anni ne hanno rinviato la determinazione, subordinandoli alla (in)disponibilità di risorse e ciò, in un sistema decentrato come quello realizzato dopo il 2001, oltre a determinare crescenti divari territoriali, ha portato ad una mancata applicazione del dettato costituzionale».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)