2018-12-03
Si può essere vegetariani senza fanatismi
Dimenticate gli invasati che odiano i carnivori, i tristi ortaggi al vapore e le insalate «stitiche» condite con il contagocce. Dall'aglio arrosto con il brie alla «spianata» di zucchine, la blogger Erin Gleeson ci dimostra che mangiare verdura non è roba da estremisti.Cresce in una famiglia californiana che vive in un meleto, senza tv e accanto a una comune. Frequenta Belle arti a Bologna e poi lavora come affermata food photographer a New York e insegnante al Fashion institute of technology, mentre la sera organizza cene per gli amici con annessa visione di film nel giardino della casa di Brooklyn. Poi si sposa con Jonathan e, siccome lui va a lavorare nella Silicon Valley, lei lo segue e, mentre sistema lo chalet nei boschi in cui vanno a vivere, si reinventa una professione, quella di scrittrice di libri di cucina vegetariana autodidatta. Ci sono tutti gli elementi per incarnare lo stereotipo dell'insopportabile vegana dittatoriale e invece l'americana Erin Gleeson è semplicemente adorabile. Come lo sono le sue ricette. The forest feast (La festa della foresta), pubblicato nel 2014 negli Stati Uniti e prontamente tradotto in Italia con il titolo Naturalmente goloso da Nomos edizioni (come gli altri sui testi) e il perfetto sottotitolo Semplici ricette vegetariane dalla mia casa nel bosco, è il primo imperdibile tomo della Gleeson. Poi, nel 2016 ci sono stati The forest feast for kids, da noi non ancora tradotto, e The forest feast gatherings, da noi appena tradotto col titolo I party di Naturalmente goloso. Erin Gleeson nasce come fotografa di cibo e, quando si tratta di realizzare le sue ricette, sviluppa una concezione fotografica delle stesse davvero entusiasmante. Nessun fronzolo, nessun sofismo, nessuna vanità: sulla pagina a sinistra la ricetta, ossia una fotografia degli ingredienti a crudo con le istruzioni super sintetizzate, su quella a destra la foto del piatto finale. esperienza giocosaPuò sembrare una sciocchezza, ma quando si cucina seguendo un libro è utilissimo trovare sulla pagina esclusivamente le parole che servono a portare avanti la ricetta. Altrettanto utile è vedere con i propri occhi come deve essere il piatto alla fine della sua preparazione. La peculiarità di Erin Gleeson, rispetto a molti altri chef patentati, è la sua personalità culinaria tanto creativa quanto semplice e pratica, che trasforma il vegetarianesimo in una sorta di esperienza giocosa, un postulato senza alcuna intellettualizzazione né ideologia. Non siamo di fronte all'israelo-britannico Yotam Ottolenghi, al suo (bellissimo, capiamoci, ma è un'altra cosa) paradigma vegetariano non dogmatico, sviluppato in terra britannica eppure connotato da sapori mediorientali, costruito nel tempo, in cucine professionali poi diventate piccoli grandi templi della filosofia ottolenghiana. Non siamo nemmeno di fronte allo chef svizzero Pietro Leeman - autore di Alta cucina vegetariana - la cui «conversione» al vegetarianesimo avviene dopo un percorso in cucine stellate, compresa quella di Gualtiero Marchesi, e poi nella filosofia e ancora nelle cucine orientali; e la cui cucina vegetariana, quella del ristorante Joia, ha avuto il riconoscimento della stella Michelin (primo ristorante vegetariano in Europa a ottenerla, ben 22 anni fa, nel 1996). In confronto a costoro, Erin Gleeson è una food blogger consacrata alla fama dall'approdo in libreria. E, proprio per questo motivo, è la voce che mancava e che riesce a trasformare il vegetarianesimo in una semplice e golosa opzione culinaria per i normali appassionati di cucina. Erin mescola spesso e volentieri frutta e verdura, in originalissimi ma sensati abbinamenti. Ama usare i fiori come ingrediente: d'altronde, i fiori sono vegetali. Li usa - soprattutto ne I party, straricco di consigli su come organizzare l'accoglienza degli ospiti - anche per decorare la tavola: il suo è più un amore incondizionato verso tutto ciò che offre la natura, che un'ossessione esclusiva per tofu e quorn tipica dei vegetariani e vegani che sostituiscono il cibo onnivoro ma industriale con quello vegetariano o vegano ma altrettanto industriale. La Gleeson è una dolce saccheggiatrice della natura: dai rametti di rosmarino utilizzati come spiedini alle arance (da cui rimuovere la calotta superiore e inferiore e infilare nella polpa dei garofani per ottenere un vasetto fatto con la frutta per decorare la tavola), Erin ha semplicemente sostituito il maiale con la foresta. E di questa non butta via niente. non rinunciare al saporeInoltre, è una golosa (si capisce da certi abbinamenti) e le va riconosciuto il merito di averci ricordato che anche la cucina vegetariana può offrire gusto e goduria. Dimenticate la triste zucchina lessa o la stitica insalata di lattuga e basta condita col contagocce. Questa fricchettona un po' fou che ha un divano rivestito di stoffa stampata con arance e predilige i tessuti «vegetalier» anche per vestirsi, affetta due zucchine con il pelapatate, le posiziona sovrapposte sulla pasta per la pizza (450 grammi), ci aggiunge parmigiano grattugiato (100 grammi), due cipollotti a tocchetti, un cucchiaio di pinoli, cuoce (a 220 gradi in forno) et voilà la «spianata di zucchine» che sta all'ortaggio lesso come Nina Moric sta ad Asia Argento. Altro aspetto che la differenzia da tante blogger vegetariane è quell'idea, che ne ossessiona tante, troppe, di replicare un piatto carnivoro in versione vegetariana. No. Erin inventa altre ricette, crea sue ricette, e sa rendere appetibili perfino le teste di aglio, un ingrediente così difficile che forse soltanto lo tzatziki greco e i nostri spaghetti aglio, olio e peperoncino nella storia della cucina mondiale sono ricette che riescono davvero ad esaltarlo. Tuttavia, nello tzatziki l'aglio è «nascosto» alla vista (al gusto è impossibile) perché viene frullato con lo yogurt, e negli spaghetti «aop», se non ci fosse il peperoncino, non sarebbe uguale. Invece, nell'«aglio arrostito con brie», l'aglio è il re del piatto: Erin elimina la cima di ben 3-5 teste d'aglio, pela la buccia in eccesso, adagia le teste nella carta d'argento, versa un filo di olio di oliva, chiude il cartoccio e inforna a 200 gradi per 45 minuti. Poi affetta una baguette, olia e sala le fette e - come diremmo noi - le brusca al forno un paio di minuti. Poi mette in piatto le bruschette, le fette di brie e la ricetta si completa spalmando abbondante brie sul pane e almeno uno spicchio d'aglio tolto dalla testa con la forchetta. Olio e sale et voilà. Altro aspetto che ci piace è che il vegetarianesimo della Gleeson, per quanto ella stessa abbia il suo orto, non si configura, a livello di messaggio al lettore, come invito (o pretesa) all'autoproduzione degli ingredienti, che tanto infervora alcuni vegetariani antisistema. La Gleeson ricorre spesso a ingredienti già pronti, dal pane alla pasta per la pizza a quella brisée. E così facendo fa venire voglia anche a chi torna stecchito a casa dopo dieci ore di lavoro di cenare con un piccolo manicaretto salutare. Non esiste, nell'eloquio librario di Erin Gleeson, una sola sillaba di tipico sermone vegetariano. Ed è un rarità. Nel discorso collettivo sul cibo, infatti, non esiste dibattito più violento di quello tra vegetariani, vegani e carnivori. Non succede soltanto a livello mediatico, come nel caso della querelle che ha visto protagonisti i militanti vegani contro Giuseppe Cruciani. O dell'indimenticabile tweet della signora Daniela Martani, secondo la quale il terremoto di Amatrice era la giusta punizione per aver inventato la pasta all'amatriciana che nella ricetta contempla il guanciale. Chiunque si è trovato di fronte, a una pizzata, a una cena, a una festa, il vegetariano rabbioso che inizia a indirizzare ai commensali carnivori simpatiche definizioni come «mangiatori di cadaveri», quasi che addentassero carne umana. moralisti ai fornelliSolitamente, si affrontano due tipi di vegetarianesimo: quello «per scelta etica» e quello di chi sostiene che «la carne fa male». Alla prima tipologia appartiene il vegetariano «combat» (che, nella forma più estrema, è vegano), probabilmente il più insopportabile. La sua pretesa di essere moralmente superiore viaggia di pari passo con l'accusa violenta verso tutti coloro che non hanno compiuto la sua stessa conversione e non hanno abbandonato la carne. Non è raro che il dialogo di questo vegetariano con un carnivoro finisca in rissa, quantomeno verbale. Verrebbe da dirgli: guarda, continua a non mangiar carne, ma magari assumi del Tavor quando ti devi relazionare con carnivori. Poi c'è il secondo esemplare. Il vegetariano «perché la carne fa male tutta-fa male sempre». Costui è molto simile al vegetariano «etico», solo che al disprezzo verso «l'assassino di animali» sostituisce quello verso «il cretino che si ammala mangiando». A nulla vale obiettare che le carni non sono tutte uguali, che esistono anche allevamenti rispettosi dell'ambiente, degli animali e della salute. A nulla vale chiedergli se si cura dei pesticidi nella sua sacra verdura, a nulla vale obiettare che eliminando la carne può incorrere in pesanti problemi di salute. Lui sa, tu sei l'idiota. L'apoteosi si ottiene quando nel vegetariano sono presenti entrambe le fazioni. Era il caso dell'astrofisica Margherita Hack che, in Perché sono vegetariana, spiegava di essere vegetariana fin dalla nascita (i genitori erano teosofi, e hanno scelto per lei) e poi pontificava: «Per molti vegetariani il diventarlo è stato un atto di volontà, comportante la rinuncia ad alcuni piatti preferiti. Questo per ragioni etiche - non uccidere animali - e anche salutiste: la carne infatti è sempre un pezzo di cadavere, proveniente spesso da animali allevati in maniera innaturale». Ma perché, una patata staccata dalla pianta si può considerare «viva»? Pian piano, marcisce esattamente come una fettina di carne. La serra, poi, è naturale? La tecnologia Ogm applicata all'agricoltura è naturale? Il campo accanto all'autostrada irrigato con acque inquinate è naturale? Appare decisamente più comprensibile la posizione dei flexitariani, cioè i vegetariani occasionali, che mangiano poca carne e tendono adun'alimentazione di qualità e salutare. Come, per esempio, il Michael Pollan del Dilemma dell'onnivoro: «Mangio carne solo se ottenuta da produzioni sostenibili e umane, e al massimo una o due volte alla settimana. E non mangiare nulla che tua nonna non avrebbe mangiato». Per costoro il problema della produzione alimentare che brutalizza salute e materia prima non si risolve mangiando sassi o coriandoli di cartone, ma, come dice Carlo Petrini di Slow food riguardo a Pollan, «apportando qualche correzione urgente alle nostre diete e a come facciamo la spesa». niente radicalismiCriminalizzare in toto la carne è folle. Una soluzione può essere tornare a produrre la carne come si produceva una volta, piccoli allevamenti, dalle tempistiche di crescita e macellazione tradizionali. Mangiare meno e mangiare meglio, non eliminare la carne dalla dieta e abbuffarsi di polpette di soia disidratata. Gli effetti del consumo di carne li conosciamo: «Esso costituì il combustibile per l'espansione e l'evoluzione del cervello umano. Lo sviluppo del cervello, a sua volta, permise ai nostri antenati di inventare nuovi strumenti a bordi taglienti, adatti alla caccia di gruppo. In tal modo, si superò la fase del procurarsi cibo ucciso da altri predatori: dall'uso di semplici utensili per scuoiare e macellare gli animali, circa 2,6 milioni di anni fa, circa 500.000 anni fa si arrivò a lance in grado di penetrarli e ucciderli. Quando iniziarono a domare il fuoco, gli uomini iniziarono a cuocere il cibo. La cosa più importante fu che la cottura degli alimenti liberava nutrienti diversi spezzando le proteine, i carboidrati e i grassi, rendendoli più digeribili. Inoltre, eliminava i microorganismi che provocavano intossicazioni» spiega Cibo. La storia illustrata di tutto ciò che mangiamo. Ma non siamo soltanto carnivori. Perciò, se volete trovare una guida gentile e vitale a tutto quello che si può fare in cucina con frutta, verdura, legumi, farinacei, formaggi e uova, dimenticando le performance dei grandi chef e ritrovando la serenità del cucinare con il sorriso e il cuore, procuratevi i due libri italiani della Gleeson.