2019-02-04
Si fa presto a dire «cinese»
Amiamo illuderci di provare la cucina del Celeste impero e proprio sotto casa... Ma i locali gestiti da orientali riservano mille sorprese. La prima? Il cibo sa tanto di globalizzazione.Siete davvero sicuri che quando pasteggiate al ristorante cinese state «veramente» mangiando cinese? Negli anni Ottanta, il leader Deng Xiaoping, grande sostenitore del rilancio economico-produttivo liberista, ma controllato dal Partito comunista, parlava di «socialismo con caratteristiche cinesi». Da allora, persone e prodotti cinesi sono espatriati in tutto il mondo, Italia compresa. I cinesi residenti in Italia sono circa 332.000: nella classifica delle comunità di stranieri sul nostro suolo, sono la quarta. In generale l'immigrato cinese non è molto interessato alla cittadinanza italiana (tra il 2010 e 2014 l'hanno chiesta soltanto in 2.545) e di rado si coniuga in un matrimonio misto. Le attività che i cinesi maggiormente svolgono sono commercio (40%), attività manifatturiere (30,3%), ristorazione (20,4%). Pensate che il primo ristorante cinese italiano, Shanghai, ha aperto esattamente 70 anni fa, nel 1949, in via Borgognona a Roma. A seguire, nel 1962 ha aperto a Milano La Pagoda di Sang Fyi Ming, in via Fabio Filzi, citato anche da Dino Buzzati in un articolo per il Corriere della Sera. Ormai i ristoranti cinesi sono diffusissimi. Così, nei decenni, quella che chiameremo «cinesità» si è diffusa in molti settori commerciali fuor di patria. Esportando però con sé, talvolta, «caratteristiche cinesi» - usiamo le parole di Deng Xiaoping - che da una parte non rispecchiano quelle reali, dall'altra non sempre sono propriamente nobili. È un peccato, perché la cultura cinese possiede molto di nobile. Realtà e percezioneQuesto scollamento tra la vera Cina e la «Cina percepita» fuor di Cina è altissimo nel settore culinario contemporaneo. I ristoranti cinesi in Italia sono abbastanza spesso nel mirino dei Nas dei carabinieri e della Guardia di finanza. Esempi? Dal Messaggero, gennaio 2019: «Albano. Blatte “fuori menù" al ristorante cinese. Disavventura di due turisti irlandesi al pranzo di Capodanno: nel piatto di pesce ordinato si aggiravano anche due scarafaggi». Dal sito dei Sostenitori delle Forze dell'ordine, gennaio 2019: «Como, sequestrate 7 tonnellate di salmone destinate a un ristorante di sushi. Una vasta operazione denominata Confine Illegale e portata a termine dagli uomini della Guardia Costiera in diverse regioni d'Italia, tra cui Liguria, Piemonte e Lombardia, ha portato al sequestro di oltre 86 tonnellate di pesce. (…) A Bregnano, nel Comasco, i militari hanno scoperto un magazzino in cui erano stipate tonnellate di salmone con etichette alterate: il titolare della società intestataria del magazzino, un imprenditore cinese che con la moglie distribuiva pesce nella zona destinato, dunque, ai ristoranti di sushi, modificava le date di scadenza e il peso del pesce importato dalla Norvegia e solitamente utilizzato nei ristoranti proprio per la preparazione del più tipico piatto giapponese» (non sono pochi i ristoranti di cucina giapponese gestiti da cinesi, da quando il ristorante giapponese è diventato di moda). Conoscere l'altro da séOltre che per le sofisticazioni alimentari o la scarsa igiene, i ristoranti cinesi o gestiti da cinesi finiscono nei guai anche per questioni che non riguardano direttamente la cucina. Da Repubblica on line, settembre 2018: «Firenze, scoperta bisca clandestina in ristorante cinese all'Osmannoro: nove denunciati. Un ristorante trasformato di notte in una bisca frequentata da numerosi cittadini cinesi». Da TrentoToday.it, novembre 2018: «Lavoratori segregati e sfruttati in un ristorante cinese: arrestati titolare e socio. Alloggiati in un appartamento in condizioni degradanti i 12 lavoratori pakistani erano costretti, dietro minaccia, a restituire in nero buona parte dello stipendio». E la cinesità culinaria che non rispecchia quella reale è altrettanto preoccupante. Il cibo è uno strumento di conoscenza del soggetto altro da sé, cioè dello straniero, molto importante. Mangiando una enjera etiope/eritrea nel piatto comune e con le mani, noi italiani possiamo capire molte cose di una cultura culinaria così diversa dalla nostra. Mangiando un kalakukko, il pasticcio di pesce e carne di maiale inserito in un pane di segale, possiamo capire molto della Finlandia. Un non italiano, mangiando un essenziale e quasi austero risotto alla milanese oppure una anarcoide e sovraccarica pasta al forno napoletana con ragù, polpettine, uova sode, fette di salame, mozzarella e provola può capire molte cose della nostra italianità e, allo stesso tempo, delle differenze tra Nord e Sud e tra Regione e Regione. La vera cucina cinese è molto più articolata e diversa di quanto crediamo. Gli abitanti del fu Celeste impero non mangiano di certo tutti e ogni giorno il tipico menù di nostra conoscenza: involtini primavera, riso alla cantonese, pollo alle mandorle, funghi e bambù, gelato fritto anche col freddo da pinguini. Innanzitutto, i piatti serviti in questi ristoranti, appartengono per lo più (ma spesso ci si ispirano e basta) alla cucina cantonese della regione del Guangdong e alla cucina chuan del Sichuan. Abbiamo detto «ci si ispirano»… Gli involtini primavera in Italia sono abbastanza grandi e ripieni quasi sempre di carote e cavolo, e basta. Invece nel Guangdong sono più piccoli, ripieni anche di carne di maiale, granella di frutta secca, spezie e non sono esclusivamente fritti. Il riso alla cantonese nella vera Cina sarebbe il riso fritto di Yangzhou, che ha tante varianti di condimento e soprattutto contempla il maiale grigliato e grandi quantità di aglio e cipolla. Gelato fritto? Al 99% si tratta di pura invenzione di cinesità per un pubblico non cinese. I dolci cinesi non sono una branca quantitativamente molto ricca della cucina della patria di Mao, quei pochi che ci sono non abbondano nemmeno in gusto zuccherino. Secondo alcuni, il gelato fritto è un falso culinario nato negli Stati Uniti, secondo altri apparterrebbe a una tradizione cinese molto antica. Tuttavia in Cina il latte vaccino non è consumato come in Occidente, quindi sembra improbabile che il gelato possa essere davvero un piatto tradizionale (figuriamoci il gelato fritto). Dunque il menù dei classici ristoranti cinesi in Italia è sostanzialmente un rimaneggiamento o un'invenzione ex novo di piatti: noi crediamo di mangiare cinese, ma non lo stiamo facendo. Anzi, neanche ci avviciniamo all'effettiva realtà culinaria di quel Paese. Che, innanzitutto, è vastissima. La Cina copre un territorio enorme, con differenze molto spiccate di clima che si ripercuotono anche sui prodotti coltivati e consumati. Sintetizzando, le tradizioni culinarie sono otto (stiamo appunto sintetizzando, perché c'è anche la cucina medicinale cinese, c'è la nouvelle cuisine cinese e delle otto categorie tradizionali esistono anche le sottocategorie…). Vediamole. 1. La cucina cantonese del Guangdong, anche detta Yue, con gusto dolciastro e agrodolce, usa cotture come brasata e stufata e, trattandosi di regione costiera, associa pesce alla carne (comprese rane, frattaglie, zampe di pollo, lumache). 2. La cucina del Sichuan, detta Chuan, è invece assai piccante e speziata: aglio, zenzero, peperoncino, pepe, farina di arachidi. A sua volta si divide in quattro altre sottocategorie: chongqing, chengdu, zigong e buddista vegetariana. Tipico lo stufato piccante Chengdu, una zuppa piccante con vari ingredienti che si fa direttamente a tavola (in pentole condivise che a volte hanno anche una separazione interna per ottenere una multizuppa): è, talmente piccante che sul web esistono anche articoli intitolati «Come sopravvivere alla Sichuan Hot Pot». Varietà regionaliÈ, questa, l'ultima tendenza in fatto di ristoranti cinesi nelle nostre città. 3. La cucina del Jiangsu (cucina Su), terra di riso e pesce, ma anche di carne, con le polpette «testa di leone», l'anatra salata essiccata e il già citato riso fritto di Yangzhou. 4. La cucina dello Hunan fa da complemento a quella del Sichuan: la cucina piccante del Sichuan è detta «ma la», ossia «anestetizzante e piccante», per via soprattutto del connubio pepe e peperoncino, mentre la cucina Hunan è «gan la», «secca e piccante», perché predilige il peperoncino da solo. 5. La cucina dello Xhejiang (cucina Zhe), dell'omonima provincia costiera, dove il pesce viene mangiato croccante, sia crudo che cotto - cioè fritto - e ha qualcosa in comune con la parte ittica della cucina giapponese, ma c'è anche la carne, con piatti come il «pollo del mendicante»: un pollo ripieno, avvolto nell'argilla e cotto a bassa temperatura. 6. La cucina di Anhui (cucina Hui) usa molte erbe selvatiche e selvaggina, appartenendo a una provincia ricca di fiumi e foreste. 7. La cucina del Fujian (cucina Min) propone gusti leggeri, con funghi e germogli di bambù, cercando l'umami (il quinto gusto) senza sovraccaricare di spezie. Tipici l'omelette di ostriche e il bak kut teh, che si traduce «tè con osso di carne» ma si tratta di grasse costolette di maiale cotte in brodo che contiene erbe e spezie (anice stellato, cannella, chiodi di garofano, semi di finocchio, aglio, gui dang). 8. La cucina dello Shandong (cucina Lu) appartiene all'omonima regione sulla costa settentrionale, utilizza anche mais e pane, perché i cereali come il grano, grazie alle temperature calde, sono più coltivati che nel resto della Cina. Se vi tufferete in un viaggio nella vera cucina cinese, ci metterete settimane a capirci qualcosa, ma scoprirete che tanti, troppi sono i luoghi comuni occidentali. Per esempio: bevono solo tè. Risposta: anche, non solo. Bevono acqua e bevono il vino. Lo avreste detto? È riservato soprattutto alle occasioni sociali e consumato più in casa che al ristorante, ma alla fine è il quinto Paese consumatore di vino al mondo (17,3 milioni di ettolitri nel 2016). Grappa cinese alle rose e sakè, i classici del ristorante cinese seriale? Sì, certo, ma conoscete il Maotai (o Moutai)? È un super alcolico delizioso, il liquore più diffuso in Cina, distillato di frumento e sorgo, dalla storia bimillenaria con episodi rimasti leggendari anche nell'epoca più recente (Mao Zedong lo offrì a Richard Nixon e Henry Kissinger disse a Deng Xiaoping che «se avessero continuato a bere Maotai, avrebbero risolto qualsiasi problema sul tavolo»). Altro luogo comune: i cinesi non mangiano pane perché hanno il riso e per accompagnare i piatti usano quello, pensiamo ogni volta che ordiniamo pane fritto o pane al vapore. In realtà, i cinesi non mangiano solo riso, mangiavano gli altri cereali prima di noi, molti li mangiano ancora e panificano pure. Non solo soiaIl panino al vapore che si chiama Mantou viene mangiato come piatto base nella Cina del Nord, dove non si coltiva riso, ma grano, come spiegavamo sopra. È un pane lievitato esattamente come i nostri, varia di dimensioni, quindi non esiste solo quello piccolino che assaggiamo qui, ci sono anche Mantou di 15 centimetri di diametro che, farciti, costituiscono il pranzo di lavoratori e operai. Nel Nord si mangia anche pasta: non solo spaghetti di soia, ma anche noodles di grano e perfino gnocchi. Ennesimo luogo comune è poi quello secondo cui la Cina mangi soltanto soia e che con quella crei tutto. È un'altra distorsione occidentale. Infine, un'indicazione di buon senso orientale. La prossima volta che andate al ristorante cinese, usate le bacchette. Non perché servano a immergersi nell'ambiente esotico, ma in quanto tradizionalmente utilizzate per lasciare nel piatto salse troppo ricche: si mangia il condimento legato al cibo che riusciamo ad afferrare, niente di più. Hanno, dunque, una funzione anche nella concezione dell'alimentazione. Se ci mangiate dei noodles in brodo, però, siete autorizzati a bere il liquido portando la ciotola alla bocca con le mani: quello non va lasciato. Poi, non arrabbiatevi se vi portano le ordinazioni tutte insieme. Questo, sì, è molto cinese: in Cina non esiste il menù sequenziale, ma piuttosto un menù orizzontale, con tutte le pietanze in tavola disposte in piattini da cui attingere. Le zuppe, ricordatevi, solitamente chiudono il pasto con intento digestivo, non lo aprono.
Jose Mourinho (Getty Images)