2021-03-06
Sgominati trafficanti di clandestini collegati con un terrorista dell’Isis
Smantellata a Trieste una cellula che favoriva l'immigrazione dal Kurdistan. Perquisita la sede di una Onlus sospettata di complicità. Nella rete anche un iracheno legato a un attentatore che colpì a Londra nel 2017.Passeur del varco triestino con una rete per i documenti falsi e contatti con pericolosi jihadisti. È quanto ha scoperto la Procura antiterrorismo triestina, insieme agli investigatori della Digos, coordinati dal primo dirigente Fabio Zampaglione, e dell'Ucigos della polizia di Stato, che ieri hanno smantellato la cellula che favoriva l'immigrazione clandestina dal Kurdistan. Sono state eseguite cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere, di cui due estese in ambito europeo, e due misure di custodia agli arresti domiciliari nei confronti di cittadini iracheni di etnia curda. Perquisito anche un cittadino italiano. E, qualche giorno prima degli arresti, nell'ambito della stessa operazione, è stata perquisita la sede di Linea d'ombra, l'associazione, fondata da Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi (molto conosciuti in città per avere in passato anche manifestato a favore dell'accoglienza dei migranti e contro quelle che definiscono «fake news» sugli ingressi illegali dalla rotta balcanica), impegnata nell'assistenza dei migranti in transito a Trieste. Proprio Franchi, scrive il quotidiano online Cafè Trieste, «è sospettato di aver aiutato persone appartenenti a cellule paramilitari».Altri dieci indagati, tutti colpiti da mandato d'arresto internazionale, sono ricercati in Europa. Secondo gli investigatori è la rete che era in contatto con il siriano Ahmed Hassan, alias Aljaf Aziz, responsabile dell'attentato terroristico del 15 settembre 2017 a Londra, durante il quale un ordigno rudimentale montato in un secchio di metallo (di quelli usati per la pittura) venne fatto esplodere a bordo di un vagone della metropolitana nelle vicinanze della stazione Parsons Green. Un attentato sul quale mise il cappello l'Isis, rivendicando l'azione nella quale rimasero ferite 30 persone. Aveva ottenuto asilo nel Regno Unito e viveva con altri ragazzi in affidamento nel Surrey. Arrestato, ha ammesso di aver assemblato la bomba, ma ha negato una reale intenzione di uccidere. È stato quindi ammesso a un programma di deradicalizzazione. Hassan era entrato clandestinamente in Italia il 26 agosto 2015 dalla frontiera marittima di Trieste proveniente da Istanbul e dotato di permesso di soggiorno per minore età con le generalità di Aljaf Aziz. Al suo arrivo era bastato dichiararsi minorenne e intenzionato a richiedere la protezione internazionale. Fu collocato in una struttura protetta per minori non accompagnati, dalla quale successivamente si era allontanato, facendo perdere le sue tracce. È ricomparso a Londra nelle vesti di attentatore maggiorenne radicalizzato. E, hanno scoperto gli investigatori, era in contatto con M. F. S., 30 anni, iracheno, residente a Trieste. Gli 007 inglesi hanno segnalato all'Aise, il servizio segreto italiano che si occupa di minaccia estera, che Hassan era in contatto sui social con l'iracheno che viveva a Trieste e che con lui aveva scambiato diversi messaggi che provavano una certa confidenza. L'inchiesta è partita da quelle chat. L'hub dei passeur è spuntato dopo. Ricostruendo i contatti dell'iracheno e monitorando i suoi movimenti e le sue telefonate gli investigatori hanno scoperto che era molto attivo nell'aiutare i clandestini, dietro pagamento, a entrare in Italia e poi a lasciare il Paese per raggiungere il Nord Europa. L'operazione di polizia giudiziaria, coordinata dal pubblico ministero del pool antiterrorismo Massimo De Bortoli, si è estesa in altre città del Nord Italia, dove oltre agli arresti sono state eseguite numerose perquisizioni. Le indagini per ora non hanno fatto emergere riscontri legati a reati di terrorismo internazionale, ma hanno consentito di individuare e smantellare quella che gli investigatori definiscono «un'ampia e organizzata attività» che favoriva il transito di clandestini provenienti dall'area del Kurdistan e diretti in Europa. In Italia riuscivano a trovare documenti d'identità falsi, sui quali la banda riusciva a lucrare. Il perno attorno al quale ruotava la cellula triestina, secondo l'accusa, era il trentenne iracheno, che nel corso delle indagini si era trasferito prima in Olanda e poi in Germania (lì è stato arrestato dalle autorità locali, anche grazie a una collaborazione internazionale di polizia), mantenendo comunque contatti con i suoi «fratelli» in Italia. E sulla loro attività aveva mantenuto la supervisione. L'accusa: associazione a delinquere transnazionale finalizzata a favorire l'immigrazione illegale in Europa (con destinazione finale, tra l'altro, in Germania, Francia e Paesi del Nord). Il numero di migranti irregolari, prevalentemente curdi originari dell'area siro-irachena, con transito e tappa per Trieste (città rivelatasi sempre più punto di snodo della rotta balcanica) al momento è indefinito. Ma viene descritto dagli investigatori come «elevato». Sono infatti stati ricostruiti diversi episodi caratterizzati anche dal fine di lucro. Nelle intercettazioni, infatti, sarebbero numerosi i riferimenti a denaro, pagamenti e riscossioni. E anche se tutto è partito da Trieste, la banda aveva aperto filiali (descritte come vere e proprie «basi logistiche»), anche con l'aiuto economico dell'organizzazione transnazionale, in altre città del Nord Italia. Una delle quali, molto attiva, in provincia di Bolzano. Quello era anche un centro di smistamento dei documenti d'identità falsi che venivano usati per rendere più semplice e sicuro il flusso migratorio illegale.
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