2022-10-04
Sfruttano la psicosi da bollettino per reintrodurre i bavagli a scuola
La Società di pediatria si tuffa sui contagi in aumento e chiede di nuovo l’obbligo di mascherine tra i banchi: «Si insista pure con le vaccinazioni». Presidi in confusione sui protocolli per le Ffp2 ai contatti dei positivi.«Newsweek» denuncia gli strascichi delle restrizioni negli Usa: milioni di liceali rinunciano al college. E nel Regno Unito già si riscontra uno «sviluppo ritardato».Lo speciale contiene due articoli.Non si capisce se sia più opportuno considerarli gli orfanelli di Roberto Speranza, oppure i suoi soldatini. Parliamo di esperti, presidenti di fondazioni mediche, virostar, tutti pronti a entrare a gamba tesa sulla transizione dal regime sanitario al governo di centrodestra. Con il solito asso nella manica: il terrore. Dopo Ilaria Capua, che prevede il ritorno delle mascherine in inverno e Walter Ricciardi, che in ospedali e Rsa le esigerebbe «fino a fine pandemia» (cioè per sempre, visto che il virus non sparirà mai), è la presidente della Società italiana di pediatria a intestarsi lo spot per la museruola nelle classi: bisogna «rivalutare» l’obbligo di coprirsi naso e bocca, predica Annamaria Staiano, perché stanno aumentando i contagi tra i bimbi, come ha segnalato l’Iss. Non solo: è necessario «intensificare la campagna vaccinale per la fascia pediatrica e i bambini in età scolare», poiché «la copertura finora raggiunta con le dosi previste resta molto bassa». Pensate un po’ che imponderabile sciagura: i ragazzini vanno a scuola e, con l’inizio dell’autunno, ricominciano a infettarsi con il coronavirus; più in là, potrebbe fare la sua comparsa persino l’influenza stagionale. Ma ora tenetevi forte: incredibilmente, alla stragrande maggioranza di questi garzoncelli, il Sars-Cov-2 non fa un baffo. Da 0 a 19 anni, la letalità della malattia si attesta al di sotto dello 0,1%. Da inizio pandemia, si sono verificati 72 decessi e 518 ricoveri in terapia intensiva, su un totale di oltre 4 milioni e mezzo di casi. Sono cifre tali da giustificare l’allarmismo? Sufficienti per riportare in auge l’insopportabile impacchettamento delle vie respiratorie, magari anche tra quei piccolini per i quali osservare le espressioni facciali rappresenta un’impellente esigenza, legata allo sviluppo cognitivo? Per non parlare dell’inscalfibile religione della puntura: esiste uno straccio di prova che dimostri che le inoculazioni, nei giovani, rappresentano un vantaggio? A fronte delle pochissime circostanze in cui il Covid, su di loro, comporta conseguenze serie? E dinanzi all’evidenza di effetti collaterali potenzialmente pesanti, quantunque altrettanto rari? Questi vaccini dovrebbero proteggerli da un rischio che, sostanzialmente, non corrono. E non servono neppure a garantire loro che, in caso venissero raggiunti dal virus, non perderebbero giorni di scuola: nemmeno i rimedi tarati su Omicron, infatti, bloccano il contagio. Anzi, nello studio condotto da Moderna sui bivalenti per Ba.4 e Ba.5, si sono verificate più infezioni nel gruppo che aveva ricevuto il vaccino aggiornato che in quello che aveva ricevuto il vaccino vecchio. Eppure, Ema ha avviato l’analisi dei dati Pfizer su questi preparati per i bimbi da 5 a 11 anni. Intanto, dilaga il prevedibile caos sui protocolli che avrebbero dovuto liberare gli alunni dal fardello delle mascherine. E che, invece, hanno ridotto le scuole a uno dei pochi ambienti in cui, senza ragione scientifica, lo spettro dei Dpi continua ad aleggiare. Le regole prescrivono che a «coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al Sars-Cov-2 è applicato il regime dell’autosorveglianza». Essi potranno continuare a seguire le lezioni, purché indossino per dieci giorni la Ffp2. Il problema è capire chi sono i «contatti stretti». La numero uno dell’Associazione nazionale presidi Lazio, Cristina Costarelli, sul Tempo, se l’è presa con i ministeri della Salute e dell’Istruzione e con le Asl: «Nessuno si è espresso chiaramente su chi siano i contatti che vanno in autosorveglianza a scuola. I compagni di classe? I compagni vicini di banco? I compagni di altre classi se si hanno contatti? I docenti e il personale? La questione è stata scaricata sui dirigenti scolastici, che ad oggi decidono tra combinati disposti di normative in essere e buon senso». Assumendosene - è ovvio - la responsabilità. Ai piani alti, si adottano le peggiori pratiche dei burocrati polverosi: si partoriscono protocolli astratti, poi se nella realtà succede un casino, tanto peggio per chi ci si trova. I deliri si moltiplicano con le infezioni. Un esempio paradigmatico: di domenica, al compagno di mio figlio è salita la febbre ed è risultato positivo; loro si sono visti l’ultima volta il venerdì mattina, perché sabato la scuola è chiusa; mio figlio è contatto stretto? Valgono le 24 o le 48 ore? Deve portare o no la Ffp2? Arriverà una circolare della scuola?Tra i banchi, le patologie influenzali sono sempre state gestiste così: chi sta male rimane a casa, gli altri vivono normalmente. I ragazzi sono poco esposti ai pericoli del Covid. In famiglia, non hanno più nonni da salvare con l’astinenza da qualsiasi attività: anziani e fragili sono vaccinati e, comunque, impedire la trasmissione del virus è impossibile. Urge una coraggiosa svolta: il centrodestra elimini i farraginosi vademecum dei boiardi ipocondriaci. È il momento giusto, adesso che non ci sarà più Speranza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sfruttano-la-psicosi-da-bollettino-per-reintrodurre-i-bavagli-a-scuola-2658382428.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="niente-studio-niente-lavoro-e-neanche-baci-i-giovani-della-pandemia-sono-fottuti" data-post-id="2658382428" data-published-at="1664869397" data-use-pagination="False"> Niente studio, niente lavoro (e neanche baci): «I giovani della pandemia sono fottuti» La generazione Covid è fottuta? L’interrogativo che pone in prima pagina Newsweek non usa mezzi termini, per denunciare quanto accade negli Stati Uniti, ma che si registrerà anche in molti Paesi Ue, Italia compresa. «A tre anni dall’inizio della pandemia, dopo due anni di isolamento, scuole chiuse e frequentazioni virtuali», scrive la rivista americana, i diplomati delle scuole superiori delle classi del 2020, 2021 e oltre, «chiamateli Generation Covid», evitano l’università in percentuali preoccupanti. «Le iscrizioni sono diminuite di quasi il 10% negli ultimi due anni, una perdita di 1,4 milioni di studenti» che potrebbero laurearsi. Su TikTok, dove le variazioni sull’hashtag #NotGoingToCollege hanno accumulato più di 30 milioni di visualizzazioni, i giovani sostengono «la mia carriera non ha bisogno del college» e parlano di avviare un’attività in proprio «spesso come influencer». Solo il 51% degli adolescenti della Gen Z sta valutando una laurea quadriennale, secondo un sondaggio di quest’anno svolto da Ecmc group, società senza scopo di lucro che aiuta gli studenti a raggiungere i loro obiettivi accademici e professionali. Un calo di 20 punti, iniziato a maggio 2020. Non è solo il rifiuto di proseguire con percorsi accademici o programmi professionali per fare carriera. Secondo un’analisi realizzata per Newsweek da Lightcast, società di consulenza, tra i 18 e i 24 anni un giovane americano su sei non studia né lavora. Non sta facendo nulla, e il numero di chi si trova in questa situazione è cresciuto di circa 1 milione dal 2019 al 2021. D’altronde, anche in Italia, secondo l’Ocse, è aumentato il numero dei cosiddetti Neet: durante la pandemia la quota era salita al 31,7%, nel 2021 è arrivata al 34,6%. Le conseguenze possono essere pesanti. Si traducono in salari più bassi, rischio elevato di disoccupazione «e maggiori probabilità di cattive condizioni di salute». Un futuro segnato. «Entro il censimento del 2060, vedremo un impatto a vita su questa generazione», sostiene Michael Hicks, direttore del Center for business and economic research presso la Ball State University di Muncie, nell’Indiana. Certo, il basso numero di iscritti alle università non è fenomeno degli ultimi anni, il calo demografico ha influito sulla frequentazione di high school, institute e college, ma il Covid ha dato una forte accelerata. Secondo un sondaggio dell’organizzazione no profit YouthTruth, più di un liceale su quattro afferma di aver «cambiato i propri piani di scuola post secondaria dall’inizio della pandemia», con meno della metà che ora prevede di frequentare un college quadriennale. Difficoltà economiche, la perdita di familiari in seguito al Covid, l’isolamento sofferto durante la pandemia ha creato disagi mentali. «Secondo un rapporto del marzo 2022 dei Centers for disease control (Cdc), più di uno studente su tre delle scuole superiori ha riferito condizioni di “scarsa salute mentale” durante la pandemia, il 44% di “persistenti sentimenti di tristezza e disperazione”. Nel 2009, in confronto, solo il 26% degli adolescenti si sentiva in questo modo», riferisce Newsweek. Apatia, disimpegno «come probabili risultati di traumi, dell’isolamento», e conseguenza di scuola virtuale, senza gite e opportunità collettive, ipotizza la rivista americana dopo aver sentito il parere di esperti. Disconnessione dal mondo scolastico, produttivo, sociale, significa anche che le competenze dei giovani si atrofizzano rapidamente, rendendoli meno propensi a essere occupabili in futuro. «Storicamente, i lavoratori meno istruiti hanno avuto la peggio durante i periodi di recessione», sottolinea l’autrice dell’inchiesta, Anne Kim. Anche un’indagine di Savanta, società che gestisce il più grande gruppo di ricerca fra i giovani del Regno Unito, segnala cali forti di interessi, di aspirazioni, dopo la pandemia che «ha inaugurato una nuova era di incertezza e mancanza di fiducia in sé stessi», scriveva ieri The Guardian. «L’impatto di quei due anni di indipendenza perduta potrebbe avere conseguenze di vasta portata», afferma Josephine Hamson, vicepresidente di Savanta, che nel suo rapporto evidenzia «prove di un diffuso sviluppo ritardato tra i giovani». La percentuale di coloro che si sentono in grado di concentrarsi su un compito per un periodo prolungato è scesa dal 55%, di prima della pandemia, all’attuale 39%. Se sapevano che cosa aspettarsi dal lavoro (il 68%), adesso a sostenerlo sono il 49%. Solo il 21% si sente in grado di interloquire con i diretti superiori, nell’ambito occupazionale, rispetto al 37% di due anni fa. Oltre il 60% dei giovani di età compresa tra 16 e 25 anni ha dichiarato di essere spaventato dal futuro della propria generazione, riportano i dati dell’indagine svolta dall’ente di beneficenza inglese The Prince’s Trust, che supporta i giovani disoccupati di età compresa tra gli 11 e i 30. Uno su tre pensa di non avere prospettive di lavoro. Tra lockdown e misure anti Covid son venute a mancare l’istruzione, l’occupazione, la formazione chiave «lasciando molti incerti e spaventati per un futuro che sembra sfuggire al loro controllo», ha commentato Jonathan Townsend, ceo dell’ente di beneficenza. Chiusi in casa, i giovani hanno sofferto anche sul piano affettivo. Secondo Savanta, quasi un quarto dei ragazzi inglesi di 16-19 anni non ha potuto dare il primo bacio a causa del Covid. Fa sorridere? Niente affatto. Sui danni della pessima gestione della pandemia troppo poco si riflette, mentre già molti tornano a parlare di contagi da contenere, anche sulla pelle dei più giovani.
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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