2023-03-06
«L’uso dell’atomica non va escluso»
Sergio Romano (Imagoeconomica)
L’ambasciatore Sergio Romano: «Ma forse proprio il rischio del nucleare costringerà Kiev e Mosca, finalmente, a parlarsi. L’Europa non ha voce in capitolo, può solo esprimere desideri. La Nato andava sciolta, ora è solo dannosa».Nulla di fatto, ancora una volta. Ai tavoli della diplomazia internazionale non c’è spazio per il dialogo, solo scintille quando si tratta di immaginare un futuro - di pace - tra Russia e Ucraina. La speranza di una svolta è durata appena 10 minuti in India, il tempo che il segretario di Stato americano Blinken e il ministro degli Esteri russo Lavrov si sono concessi a margine del summit dei ministri degli Esteri del G20. Per il resto, le solite accuse reciproche, intransigenze e la conferma che sul conflitto il mondo è spaccato in due. «Questa volta, la guerra corre veramente il rischio di essere mostruosa», ragiona con La Verità Sergio Romano, già ambasciatore italiano presso la Nato prima di chiudere la carriera diplomatica a Mosca, negli ultimi anni dell’Unione Sovietica. Ambasciatore Romano, non esclude l’uso dell’atomica?«È la ragione per cui sono relativamente ottimista rispetto alla possibilità che prima o poi Russia e Ucraina si siederanno al tavolo delle trattative». Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Russia di rientrare nell’accordo Start sulla limitazione delle armi nucleari; di contro, visto il crescente coinvolgimento di Usa e Nato in Ucraina, Mosca minaccia «uno scontro militare diretto tra potenze nucleari con conseguenze catastrofiche». «È molto complicato azzardare delle previsioni in questo momento. Le classi politiche dei Paesi post sovietici sono svuotate del potere. Quando si è privati del potere, si ricorre talvolta anche alla minaccia più estrema. Non mi sento di scartare la prospettiva nucleare: in parecchi arsenali quell’arma c’è». In funzione per lo più deterrente, per fortuna. «Certamente, ma c’è e questo è un fatto. La prospettiva è spaventosa, ma non posso escludere la possibilità che un Paese, in circostanze al momento inimmaginabili e con il rischio di essere distrutto, non possa ricorrervi. I Paesi che hanno voluto l’arma nucleare, che hanno lavorato per costruirla e rafforzarla, lo hanno fatto solo per compiacersene? No, l’arma nucleare può essere usata». La battaglia dei droni, combattuta finora in territorio ucraino, è sconfinata in Russia, fino a Mosca e San Pietroburgo. Le azioni di sabotaggio nella regione di Bryansk hanno spinto Putin a convocare il Consiglio di sicurezza. Siamo di fronte a una nuova fase della guerra, secondo lei?«Stanno cominciando parecchie fasi nuove: bisogna prendere in considerazione il fatto che Ucraina e Russia sono due Stati palpitanti. Il primo, l’Ucraina, è praticamente un Paese non governato; Mosca, invece, non gode di buona salute politica in questo momento. C’è una forma di disfacimento al loro interno, che incide enormemente sull’equilibrio della guerra perché fa sorgere ambizioni nuove per entrambi i contendenti». Lei conosce la Russia, i suoi equilibri interni: ritiene che la guida di Putin non sia più salda?«Ne sono profondamente convinto. Conosco le doti di Putin, che è senza dubbio un uomo scaltro e con un seguito enorme all’interno del suo Paese. Ma non va dimenticato un punto: ha perso la guerra che aveva in mente». Che cosa intende? «Putin voleva conquistare l’Ucraina per farne il punto di partenza di un processo che, secondo il suo disegno, si sarebbe concluso con il ritorno a un impero russo, a un grande Stato russo. Questo progetto è tecnicamente fallito. Tuttavia, la situazione interna al suo Paese fa sì che non abbia un vero contendente in grado di sottrargli consenso e potere».Come si spiegano le tensioni nella vicina Moldova? Insieme a Georgia e una parte dei Balcani, la Moldova è percepita dall’intelligence italiana come un «punto di faglia critico tra Occidente e Russia». Potrebbe essere un nuovo fronte caldo?«Sarei rimasto sorpreso se non ci fossero state tensioni in Moldova. Non dobbiamo dimenticare che tutti i Paesi che hanno fatto parte dell’ex Unione sovietica formavano una specie di collegio delle nazionalità, tuttavia ho dei dubbi sulla possibilità che si possa aprire un nuovo fronte lì».Secondo Mosca, a determinare gli obiettivi di Kiev sarebbero la Nato e gli Stati Uniti. Cosa pensa al riguardo?«Non ho sufficienti elementi per commentare una prospettiva del genere, certo è che Nato e Stati Uniti agiscono come una specie di entità unica: l’Alleanza atlantica è lo splendido strumento che gli Stati Uniti usano per perpetuare la propria potenza».Da giovane funzionario ministeriale, nei primi anni della sua carriera, lei ha «creduto fortemente nell’utilità della Nato», come ha recentemente dichiarato. Ha cambiato idea?«Non è stato un cambio improvviso, ma maturato nel corso degli anni. Piano piano, ho cominciato a capire che la Nato stava esaurendo il suo compito strategico in ambito internazionale, cioè contenere la minaccia ideologica e strategica rappresentata dall’Unione sovietica. L’Alleanza atlantica ha avuto il grande merito di unire i Paesi democratici, di evitare che avessero ambizioni diverse. Durante la Guerra Fredda, dobbiamo alla Nato il fatto che l’Occidente abbia tenuto duro. Oggi i suoi compiti non sono più indispensabili, certi obiettivi non ci sono più e non c’è motivo di cercare di raggiungerli. Il patto è ancora in piedi perché gli Stati Uniti hanno interesse a mantenere la gestione militare di una grande parte del Pianeta. L’Alleanza è una conquista americana, alla quale Washington non intende rinunciare. Sarei stato contento se la Nato fosse stata sciolta alla fine della Guerra Fredda».L’alleanza non ha più ragione d’essere alla luce della situazione internazionale di oggi?«Non solo non ha più senso, ma fa dei danni». In che senso?«I Paesi più fragili negli anni della Guerra Fredda, cioè gli ex satelliti dell’Unione sovietica, avevano bisogno di ricostruirsi un contesto in cui avrebbero potuto esercitare una certa potenza e hanno trovato un salvagente nella Nato. L’Alleanza ha garantito loro la possibilità di vivere e continuare ad esistere all’ombra degli Stati Uniti, di cui riconoscevano l’egemonia. Via via che la situazione cambiava, hanno insistito perché il rapporto proseguisse, anche se la protezione non era più necessaria. Continuano a preferire un padrone al di là dell’Atlantico piuttosto che averne uno in Europa, che sia la Gran Bretagna o la Germania». Gli Stati Uniti hanno autorizzato la vendita di armi a Taiwan per 620 milioni di dollari, generando non poche frizioni con la Cina, che ha inoltrato una protesta formale a Washington. Pensa che questo possa essere l’ennesimo motivo di tensione internazionale in futuro?«Agli occhi degli americani, la Cina è un Paese comunista, che non si può amare e di cui si deve diffidare. Continueranno a guardarsi con sospetto, soprattutto se Pechino dovesse avvicinarsi alla Russia più di quanto non abbia già fatto». Come confermato dal ministro degli Esteri Tajani, a livello governativo sono ancora in corso delle valutazioni circa la possibilità di rinnovare il memorandum d’intesa sulla via della Seta che l’Italia ha siglato con la Cina. Cosa pensa al riguardo? «Non ho mai attribuito grande importanza a questa idea della via della Seta, credo ci siano capitoli più importanti della politica internazionale». Come giudica l’ultimo viaggio internazionale di Giorgia Meloni? I rapporti del nostro Paese con India ed Emirati Arabi sono stati piuttosto freddi negli ultimi anni.«Un presidente del Consiglio ambizioso non deve solo governare il suo Paese, ma ha anche il compito di raggiungere un certo grado di autorevolezza per ritagliarsi un ruolo ai tavoli internazionali. Una personalità politica che sta cercando di raggiungere tali obiettivi deve necessariamente avere rapporti con tutti. Giorgia Meloni governa una potenza economica, che ha un suo mercato, che compra e vende all’estero. Insomma, si trova a gestire un capitale tecnico, economico e morale costruito negli anni e che ora ha ereditato». A proposito di autorevolezza, la voce dell’Unione europea ai tavoli diplomatici non si è ancora fatta sentire con sufficiente forza: sulla guerra si è persa un’occasione? «Per quel che riguarda il conflitto in corso in Ucraina, l’Europa non ha voce in capitolo. Può esprimere dei desideri, certamente, ma il problema possono gestirlo solamente in tre: Russia, Ucraina e Stati Uniti». Il governo italiano chiede all’Unione europea una risposta comune sull’immigrazione, dopo le tante promesse mai mantenute. Per quale motivo Bruxelles non riesce a trovare una posizione unitaria?«Temo che l’immigrazione non sia l’argomento principale sul tavolo dei Paesi membri dell’Unione. È un peccato, perché il dramma è sotto gli occhi di tutti e va risolto a livello europeo. Non possiamo sperare che ci pensi qualcun altro, una collocazione a queste persone si dovrà pur trovare».