2024-07-06
Se tocca a Budapest la presidenza di turno vale solo a metà
Viktor Orbán e Ursula von der Leyen (Ansa)
Parigi, Vienna e Madrid si sono mosse senza via libera. Sánchez propose addirittura di riconoscere la Palestina.Il diabolico premier magiaro incontra il perfido zar russo. I capoccia continentali, da Ursula von der Leyen a Charles Michel, sono inorriditi. Avvertono: altro che «missione di pace». Viktor Orbán spalleggia Vladimir Putin. Alla luce del sole, pure. E con i galloni di presidente di turno dell’Unione europea. Poco importa che, prima di volare a Mosca, sia passato da Kiev. Resta un pericoloso guerrafondaio. Usa il nuovo abito istituzionale per fare i suoi sporchi affari. Avrebbe almeno dovuto chiedere il permesso a Ursula e Charles. Non si è però degnato di una telefonatina. Così si rischia che il suo progetto sovranista, i Patrioti d’Europa, prenda piede a Bruxelles. Ecco, vista l’avversione per la restaurazione in corso, meglio evitare. Cordone sanitario, dunque. Subito. Pretestuosetto. Come se nessuno, prima di lui, avesse organizzato strategici incontri. Invece, al pari dei predecessori, tenta la via diplomatica. Anche perché non è nemmeno il primo leader in visita a Mosca, dopo l’invasione. Ci andò anche il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, ad aprile 2022. E nonostante i sospetti dei legami tra Mosca e Vienna, pochi fiatarono. Stavolta, però, è diverso. Il premier ungherese rimane il nemico giurato degli eurogovernanti. Ed è pure presidente di turno. Ma nei semestri precedenti tutti i parigrado sono stati protagonisti di importanti bilaterali. A cominciare da Emmanuel Macron, il presidente francese, entrato in carica a inizio 2022. Va a Mosca due settimane prima della guerra. Il faccia a faccia con Putin, durato cinque ore, diventa una scena memorabile. Sono seduti uno di fronte all’altro, separati da un tavolo bianco lungo quattro metri. Il russo da una parte. Il francese dall’altra. Un modo per rimarcare supposta superiorità? Macché: Macron s’è solo rifiutato di sottoporsi al tampone molecolare chiesto dai moscoviti, per paura che potessero carpire il suo prezioso Dna. Comunque sia: l’incontro serve per discutere della situazione in Ucraina. Un fiasco diplomatico, visti i successivi sviluppi. La guerra scoppierà due settimane dopo. Al galletto transalpino, nel secondo semestre, subentra il primo ministro della Repubblica ceca, Petr Fiala. Anche lui, ovviamente, non lesina sforzi diplomatici. A ottobre 2022 è protagonista di uno storico bilaterale con Volodymyr Zelensky. Si discute di sanzioni alla Russia e dell’ingresso di Kiev nella Nato. Fiala, membro in Europa del partito del conservatori guidato da Giorgia Meloni, offre anche tutto l’appoggio del suo Paese. Il presidente ucraino commenta: «Il ruolo di Praga nella protezione della pace e delle persone che hanno sofferto per la guerra è già diventato storicamente importante». Del resto, il presidente di turno dell’Ue continua a guidare il governo del suo Paese. I due incarichi finiscono per mescolarsi. Elementare, Watson. L’ovvio vale per tutti. Meno che per il puzzone magiaro. Nessuno ha mai eccepito. Anzi. Dopo Fiala, la presidenza tocca alla Svezia. Pure Ulf Kristersson vede Zelensky: «È importante incontrarsi di persona e vedere con i propri occhi le terribili conseguenze dell’ingiusta e provocatoria aggressione della Russia» racconta il primo ministro. Sottolinea che il suo Paese vuole continuare a fornire sostegno politico, economico e militare. Zelensky, di rimando, ringrazia la Svezia per il sostegno. Come volevasi dimostrare, appunto. Perché allora adesso Orbán dovrebbe spogliarsi di ogni appartenenza, come se fosse un apolide?Che poi: il premier ungherese assicura di battersi per la pace. Intendimento che non tutti i suoi predecessori hanno dimostrato. Vedi Pedro Sánchez, a capo del governo Frankenstein più a sinistra d’Europa. L’1 giugno 2023, comincia il suo semestre con una visita lampo a Kiev. Annuncia che la Spagna garantirà altri 55 milioni di euro, più carri armati e ospedali da campo. E si impegna a perorare l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. Ma è agli sgoccioli del suo mandato, a novembre 2023, che arriva il capolavoro del gandhiano Sánchez: protagonista di «uno scontro diplomatico senza precedenti», come scrive El Pais. Ufficialmente, si trova in missione di pace in Israele e Palestina con il futuro presidente di turno: il primo ministro belga, Alexander De Croo. Il socialista iberico, però, spara: «È giunto il momento che la comunità internazionale, soprattutto l’Ue, decida il riconoscimento della Palestina». Altrimenti «la Spagna farà le proprie scelte». Insomma, sarà Madrid a riconoscere lo Stato. A nome dell’Unione, dunque, Sánchez attacca: «L’assassinio indiscriminato di civili innocenti, inclusi migliaia di bambini e bambine, è totalmente inaccettabile». E Hamas? Neppure un rimbrottino. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, è furente. Condanna le «affermazioni false dei primi ministri di Spagna e Belgio che supportano il terrorismo». Nessun eurogovernante, però, osa eccepire sullo spavaldo Pedro, robusto cardine della maggioranza Ursula. Adesso invece il tremendo Viktor è in visita a Mosca. Inaudito. Il capo dei malefici Patrioti che chiede di cessare il fuoco. Senza nemmeno aver preavvertito l’impero del bene.