
I risultati medi degli alunni alle elementari di nuovo ai livelli dei primi anni Duemila. È lo strascico dei diktat, che i ragazzi scontano ancora con depressione e istinti suicidi.Ansia, depressione, apatia, insonnia, stanchezza, irritabilità, riduzione della socialità e la lista è ancora lunga. Sono i disturbi pisco-emotivi, cui si associano quelli fisici, causati dalle restrizioni imposte durante la pandemia. Sono moltissime le persone che ancora non si sono liberate di questi disagi, che spesso influenzano pesantemente la vita di tutti i giorni, gli affetti, il lavoro. La notizia è stata riportata dalla Stampa, ma a certificarlo ci ha pensato una relazione di Alessandro Stecco, medico e presidente della commissione Sanità del Consiglio regionale del Piemonte. Il lavoro è il frutto di un approfondimento voluto dalla Commissione di indagini conoscitive sul disagio psicologico post Covid. Un tema, questo, di cui si è parlato diffusamente: sono molti gli esperti che hanno rappresentanto il problema in tutto il territorio nazionale. A pesare, in molti casi, è stato l’aumentato carico di lavoro che ha creato veri e propri casi di burnout, esaurimenti nervosi dovuti ad eccessivo stress da lavoro. Nella relazione si spiega che gli psicologi intervenuti durante l’emergenza, di cui fino ad adesso si è parlato poco, hanno manifestato una sintomatologia clinicamente rilevante, che poteva essere indicativa di un probabile disturbo psicologico fino a casi di disturbi post traumatici da stress. Oltre ai medici e agli infermieri ospedalieri, poi, anche i medici di famiglia hanno sofferto moltissimo l’eccessivo carico di lavoro. Ne è un indice il fatto che chi poteva in questi tre anni ha deciso di anticipare la pensione. Secondo la relazione, in Piemonte, «un medico di base su tre riferisce una sintomatologia depressiva clinicamente rilevante e una percentuale altrettanto elevata, il 32%, riferisce sintomi post traumatici da stress. Il 71% dei medici dichiara che il suo livello di ansia è aumentato a causa del carico di lavoro, dei problemi legati all’organizzazione degli spazi secondo le norme sul distanziamento sociale e la paura del contagio per sé e i familiari». Molti di loro si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni perché in quel contesto non hanno ricevuto i dispositivi di protezione individuale (41%), né informazioni adeguate a proteggere le loro famiglie (48%) né chiare linee guida diagnostico-terapeutiche sulla gestione dei pazienti positivi al Covid. Il problema è stato riportato non solo dai medici piemontesi ma in maniera diffusa in tutta Italia. Uscendo dalla sfera medica, si passa a quella lavorativa generale. Lo smart working, utile per certi versi, per altri ha creato un aumento della distanza fisica tra le persone ma anche della possibilità di essere contattati in qualsiasi momento anche fuori dall’orario lavorativo. Come già detto più volte, però, a pagare il prezzo più alto sono stati i giovani. «Un adolescente su quattro (il 16%), soffre di depressione, disturbi comportamentali, ideazione suicidaria, episodi di autolesionismo, alterazione del ritmo sonno-veglia, ritiro sociale, forme di violenza. In Piemonte si registra un aumento di casistica del 30% di ragazzi che soffrono di disturbi alimentari esorditi durante il Covid». Lo certificava anche l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma: gli accessi per ideazione suicidaria o tentato suicidio sono cresciuti del 75% nei due anni della pandemia rispetto al biennio precedente. Dai 369 casi del 2018-2019 ai 649 del 2020-2021, in media praticamente un caso ogni giorno.Secondo Stecco questo è un tema con cui non si può pensare di non fare i conti. La relazione propone diverse proposte: potenziare programmi di screening psicologico su larga scala; momenti strutturati, negli ospedali, con l’aiuto di uno psicologo del lavoro; puntare sulla figura dell’infermiere di famiglia, oggi presente in modo sporadico; proseguire, e rendere stabile, il servizio di supporto psicologico nelle scuole. Non ultimo, anzi, monitorare il potenziamento della rete territoriale. Eppure non è finita qui, perché per i più piccoli si palesano anche problemi di apprendimento. Come già riportato dalla Verità, infatti, il lockdown ha ridotto del 35% la capacità di apprendimento di un anno scolastico nei bambini e nei ragazzi in età scolare. Come fosse un ritardo di tre mesi, mai più recuperati finora. Era il risultato di una meta-analisi su 42 studi condotti da un gruppo di ricercatori francesi di Sciences Po a Parigi. Questa tesi oggi è avvalorata dall’indagine Iea Pirls 2021 (Invalsi), da cui si evince, sì, che la nostra scuola elementare funziona bene: gli alunni di quarta ottengono un punteggio medio superiore a quello medio internazionale di tutti i Paesi partecipanti e superiore al quello medio dei Paesi Ue. Allo stesso tempo, però, il risultato medio è inferiore di ben 11 punti rispetto a quello di 5 anni fa, il che ci riporta indietro di 20 anni. E non solo in Italia, perché sono 21 su 32 i Paesi che hanno registrato risultati inferiori a quelli di cinque anni prima. Sono passati più di tre anni da quel maledetto lockdown, l’inizio di un incubo che oggi sembra lontano, ma le sue conseguenze le paghiamo ancora e lo faremo ancora per molto.
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