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2018-06-22
Sblocco dei punteggi e più risorse agli atenei
ANSA
Un uomo di scuola. Che conosce bene il mondo della scuola. E che intende «ascoltare con cura e attenzione tutte le componenti per affrontare il lavoro insieme, nel rispetto dei ruoli». Si presenta così il neo ministro dell'Istruzione, università e ricerca Marco Bussetti. Con una promessa: «La scuola sarà per tutti una finestra sul mondo». Lombardo di Gallarate, classe 1962 e laureato all'università Cattolica di Milano, insegnante e dirigente scolastico, il nuovo responsabile del dicastero di viale Trastevere marca subito le differenze con chi l'ha preceduto. Ovvero Valeria Fedeli, finita nell'occhio del ciclone per un curriculum non all'altezza del ruolo che andava a ricoprire. Spetta a Bussetti raccogliere la sua eredità, carica di polemiche e problemi mai risolti. Si va dall'obbligo vaccinale, che rischia di tenere lontano dai banchi migliaia di bambini, alle liste di attesa nei nidi pubblici. Ma ci sono anche le aggressioni nei confronti dei docenti, per i quali Bussetti ha già annunciato che il ministero si costituirà parte civile, e l'uso dei telefonini in aula che sarà regolato dai singoli istituti.
Ma c'è anche un'altra questione urgentissima all'ordine del giorno, che riguarda gli atenei italiani. E sulla quale il nuovo ministro sarà chiamato a dare risposte certe. Il decreto attraverso il quale vengono assegnati i punti organico alle università, indispensabili per la programmazione del personale nel 2018, è ancora bloccato e con esso il destino dei ricercatori. Infatti il documento non è stato firmato dall'esecutivo Gentiloni come atto di ordinaria amministrazione nelle ultimissime fasi del suo mandato, e adesso aspetta un improrogabile atto di Bussetti per uscire dall'impasse. Non va inoltre dimenticato il dramma della dispersione scolastica, il discutibile sistema di reclutamento degli insegnanti, il flop dell'alternanza scuola-lavoro e i mali che da sempre affliggono università e ricerca. Ma il nuovo ministro, ex provveditore agli studi di Milano, va avanti per la sua strada con un obiettivo: superare il prima possibile la contestatissima Buona scuola di Matteo Renzi. Come sottolinea anche il contratto di governo Lega-5 Stelle: «In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la cosiddetta Buona scuola, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta». La Verità ha sintetizzato in cinque punti i temi più caldi.
Stipendi bassi, scarse aspettative di carriera, precariato infinito, necessità di cambiare città per coprire una cattedra. Sono solo alcuni dei nodi che strozzano il mondo dell'insegnamento nel nostro Paese. Nodi che l'esecutivo di Paolo Gentiloni non è riuscito a sciogliere. Tanto che lo scorso 20 dicembre una sentenza del Consiglio di Stato ha annunciato l'uscita dalle graduatorie, e quindi il licenziamento, di circa 6.000 maestri già in ruolo ma in possesso del solo diploma di scuola magistrale. Su questo punto il contratto di governo parla chiaro: «Particolare attenzione dovrà essere posta sulla questione dei diplomati magistrali e in generale sul problema del precariato nella scuola dell'infanzia e nella primaria». La squadra del premier Giuseppe Conte intende riformare anche il sistema di reclutamento del corpo insegnante: «Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all'origine il problema dei trasferimenti, che non consentono un'adeguata continuità didattica». In questo quadro potrebbe sparire anche la «chiamata diretta» introdotta dalla Buona scuola, che consente ai dirigenti di scegliere alcuni docenti.
Altro problema cruciale riguarda l'abbandono scolastico, che in alcune aree del Paese ha raggiunto livelli di allarme. Basti pensare che, in base all'ultimo documento della Cabina di regia sulla dispersione scolastica, in Italia fra il 2015 e il 2016 oltre 14.000 alunni delle scuole medie hanno lasciato gli studi. Si tratta dello 0,8% del totale. Una percentuale che al Sud sale all'1%. Le regioni che soffrono di più sono Sicilia, Calabria, Campania e Lazio. Quelle più virtuose sono Emilia Romagna e Marche. Anche questo tema è toccato dal contratto di governo: «Una scuola inclusiva deve essere in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l'accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini».
C'è un altro punto sul quale negli ultimi mesi si è innescata una forte polemica: il fallimento dell'alternanza scuola-lavoro, introdotta con la riforma democratica. Si tratta di un'esperienza di lavoro, sotto forma di stage, dedicata agli studenti dei cicli superiori: 200 ore per i licei e 400 per gli istituti tecnici e professionali. L'obiettivo era avvicinare il mondo dell'istruzione a quello dell'occupazione. Il risultato è stato, invece, un caos. E così il nuovo ministro dovrà correggere il futuro di questa sperimentazione. Da parte sua, il contratto di governo specifica che «quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con ragazzi impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l'apprendimento. Uno strumento così delicato, che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull'attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso».
Altra questione da tempo all'ordine del giorno, riguarda le liste di attesa per accedere agli asili nido pubblici. Su questo il contratto di governo non si esprime, ma il malcontento delle famiglie sta crescendo. In moltissime città le graduatorie sono già intasate. A Trieste il 47% delle domande è stato rifiutato perché i posti non bastano. A Pavia quasi una famiglia su due rischia di non poter iscrivere il bimbo e di dover ripiegare sulle strutture private. Stessa situazione a Parma, dove gli esclusi hanno già toccato quota 1.000, e in Alto Adige dove il problema riguarda il 19% delle iscrizioni.
Infine, ci sono l'università e la ricerca, che in Italia soffrono sempre più. Per le baronie intoccabili, l'assenza di investimenti e l'emorragia di cervelli. «Nel corso degli ultimi anni il nostro Paese si è contraddistinto a livello europeo per una continua riduzione degli investimenti nel comparto del nostro sistema universitario e di ricerca», recita il contratto firmato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio. «È pertanto urgente e necessario assicurare un'inversione di marcia. È prioritario incrementare le risorse destinate all'università e agli enti di ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento». Di qui una serie di promesse: «È necessario avere una classe docente all'altezza delle aspettative, eticamente ineccepibile. Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti». Senza tralasciare il diritto allo studio per «incrementare la percentuale di laureati nel nostro Paese, oggi tra le più basse d'Europa». Proprio per questo il nuovo governo intende ampliare «la platea di studenti beneficiari dell'esenzione totale dal pagamento delle tasse di iscrizione all'università, la cosiddetta no-tax area». Eliminando al tempo stesso i baronati «che sfruttano in maniera illegittima le risorse e il personale.
Gli insegnanti di religione chiedono un concorso: «Assumete i precari»
L'insegnamento della religione cattolica è l'unica disciplina curricolare, nella scuola italiana, che viene scelta anno per anno dagli alunni o dai loro genitori. E questo in forza della revisione del Concordato del 1929 (tra Benito Mussolini e Pio XI), avutasi con l'intesa siglata da Bettino Craxi e il cardinal Agostino Casaroli, nel 1984. In quello storico testo, si faceva presente che: «La Repubblica Italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado».
Spesso si parla del valore e dell'importanza delle radici culturali, dell'identità e perfino del recupero della tradizione, e se ne parla ormai non solo a destra. Pochi però capiscono che le radici, pur antiche e consolidate, vanno annaffiate e trasmesse, e gli insegnanti di religione, con tanti limiti, si sforzano di fare proprio questo. Molti intellettuali, come Umberto Eco o Massimo Cacciari, hanno lamentato a volte l'ignoranza dei giovani e non solo, su ciò che concerne la Bibbia, l'arte cristiana e la storia del cristianesimo d'Occidente. Se un minimo di conoscenze restano diffuse nel nostro popolo lo si deve, almeno in parte, ai valorosi docenti di religione che propongono e non impongono un bagaglio autorevole e arricchente per tutti, stranieri inclusi.
Recentemente, però, una delegazione di amministratori locali del Comune di Firenze ha depositato in Cassazione una domanda per inserire una disciplina di educazione alla cittadinanza, all'interno del già sovraccarico monte ore previsto per le discipline curricolari. Un rappresentante dell'Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar), Roberto Grandene, si è servito della proposta per ribadire la loro peraltro mai celata volontà di scristianizzare l'Italia. Ha infatti dichiarato: «Cogliamo l'occasione per rilanciare l'idea di spostare l'insegnamento della religione cattolica (Irc) in orario extrascolastico, così da creare lo spazio necessario all'introduzione delle ore di educazione alla cittadinanza, mirante a diffondere la conoscenza del principio di eguaglianza con le sue declinazioni più urgenti quali quella del contrasto alla disparità di genere e di etnia, di religione».
Pochi sanno che esiste anche un sindacato specifico per la tutela degli insegnanti di religione, lo Snadir. Fondato nel 1993, apolitico e apartitico, conta quasi 9.000 iscritti, diffusi in tutta Italia, con un'ottima proporzione dunque dell'insieme dei docenti di religione. Recentemente sul loro sito Internet esprimevano plauso per la scelta di Marco Bussetti quale ministro dell'Istruzione nel nuovo governo Conte.
Dal 2003, grazie all'impegno dell'allora ministro Letizia Moratti, non si è più avuto un concorso nazionale per gli insegnanti di religione (che in teoria vista la normativa dovrebbe ripetersi ogni tre anni), e i sindacalisti dello Snadir si sono fatti sentire più volte, anche attraverso colloqui informali con l'ex ministro Valeria Fedeli. Ora, secondo i dirigenti sindacali Orazio Ruscica e Claudio Giudobaldi, i tempi sono più che maturi per un nuovo concorso e la messa in ruolo definitiva di troppo docenti che da anni attendono invano di uscire dal precariato. Sarebbe un'occasione per sanare le pendenze e dare speranza a migliaia di giovani insegnanti che vivono la vita a scuola come una missione educativa.
Fabrizio Cannone
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Il nuovo ministro Marco Bussetti deve superare il fardello della Buona scuola . A partire dal decreto per l'assegnazione dei ricercatori all'università e dal nodo dei maestri diplomati licenziati. Regole per l'uso dei telefonini in aula, frenata sui trasferimenti dei docenti.Gli insegnanti di religione chiedono un concorso: «Assumete i precari». Manca dal 2003. Ma l'Unione atei vuole che l'ora introdotta dal Concordato sia abolita.Lo speciale contiene due articoli.Un uomo di scuola. Che conosce bene il mondo della scuola. E che intende «ascoltare con cura e attenzione tutte le componenti per affrontare il lavoro insieme, nel rispetto dei ruoli». Si presenta così il neo ministro dell'Istruzione, università e ricerca Marco Bussetti. Con una promessa: «La scuola sarà per tutti una finestra sul mondo». Lombardo di Gallarate, classe 1962 e laureato all'università Cattolica di Milano, insegnante e dirigente scolastico, il nuovo responsabile del dicastero di viale Trastevere marca subito le differenze con chi l'ha preceduto. Ovvero Valeria Fedeli, finita nell'occhio del ciclone per un curriculum non all'altezza del ruolo che andava a ricoprire. Spetta a Bussetti raccogliere la sua eredità, carica di polemiche e problemi mai risolti. Si va dall'obbligo vaccinale, che rischia di tenere lontano dai banchi migliaia di bambini, alle liste di attesa nei nidi pubblici. Ma ci sono anche le aggressioni nei confronti dei docenti, per i quali Bussetti ha già annunciato che il ministero si costituirà parte civile, e l'uso dei telefonini in aula che sarà regolato dai singoli istituti. Ma c'è anche un'altra questione urgentissima all'ordine del giorno, che riguarda gli atenei italiani. E sulla quale il nuovo ministro sarà chiamato a dare risposte certe. Il decreto attraverso il quale vengono assegnati i punti organico alle università, indispensabili per la programmazione del personale nel 2018, è ancora bloccato e con esso il destino dei ricercatori. Infatti il documento non è stato firmato dall'esecutivo Gentiloni come atto di ordinaria amministrazione nelle ultimissime fasi del suo mandato, e adesso aspetta un improrogabile atto di Bussetti per uscire dall'impasse. Non va inoltre dimenticato il dramma della dispersione scolastica, il discutibile sistema di reclutamento degli insegnanti, il flop dell'alternanza scuola-lavoro e i mali che da sempre affliggono università e ricerca. Ma il nuovo ministro, ex provveditore agli studi di Milano, va avanti per la sua strada con un obiettivo: superare il prima possibile la contestatissima Buona scuola di Matteo Renzi. Come sottolinea anche il contratto di governo Lega-5 Stelle: «In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la cosiddetta Buona scuola, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta». La Verità ha sintetizzato in cinque punti i temi più caldi.Stipendi bassi, scarse aspettative di carriera, precariato infinito, necessità di cambiare città per coprire una cattedra. Sono solo alcuni dei nodi che strozzano il mondo dell'insegnamento nel nostro Paese. Nodi che l'esecutivo di Paolo Gentiloni non è riuscito a sciogliere. Tanto che lo scorso 20 dicembre una sentenza del Consiglio di Stato ha annunciato l'uscita dalle graduatorie, e quindi il licenziamento, di circa 6.000 maestri già in ruolo ma in possesso del solo diploma di scuola magistrale. Su questo punto il contratto di governo parla chiaro: «Particolare attenzione dovrà essere posta sulla questione dei diplomati magistrali e in generale sul problema del precariato nella scuola dell'infanzia e nella primaria». La squadra del premier Giuseppe Conte intende riformare anche il sistema di reclutamento del corpo insegnante: «Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all'origine il problema dei trasferimenti, che non consentono un'adeguata continuità didattica». In questo quadro potrebbe sparire anche la «chiamata diretta» introdotta dalla Buona scuola, che consente ai dirigenti di scegliere alcuni docenti.Altro problema cruciale riguarda l'abbandono scolastico, che in alcune aree del Paese ha raggiunto livelli di allarme. Basti pensare che, in base all'ultimo documento della Cabina di regia sulla dispersione scolastica, in Italia fra il 2015 e il 2016 oltre 14.000 alunni delle scuole medie hanno lasciato gli studi. Si tratta dello 0,8% del totale. Una percentuale che al Sud sale all'1%. Le regioni che soffrono di più sono Sicilia, Calabria, Campania e Lazio. Quelle più virtuose sono Emilia Romagna e Marche. Anche questo tema è toccato dal contratto di governo: «Una scuola inclusiva deve essere in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l'accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini».C'è un altro punto sul quale negli ultimi mesi si è innescata una forte polemica: il fallimento dell'alternanza scuola-lavoro, introdotta con la riforma democratica. Si tratta di un'esperienza di lavoro, sotto forma di stage, dedicata agli studenti dei cicli superiori: 200 ore per i licei e 400 per gli istituti tecnici e professionali. L'obiettivo era avvicinare il mondo dell'istruzione a quello dell'occupazione. Il risultato è stato, invece, un caos. E così il nuovo ministro dovrà correggere il futuro di questa sperimentazione. Da parte sua, il contratto di governo specifica che «quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con ragazzi impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l'apprendimento. Uno strumento così delicato, che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull'attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso».Altra questione da tempo all'ordine del giorno, riguarda le liste di attesa per accedere agli asili nido pubblici. Su questo il contratto di governo non si esprime, ma il malcontento delle famiglie sta crescendo. In moltissime città le graduatorie sono già intasate. A Trieste il 47% delle domande è stato rifiutato perché i posti non bastano. A Pavia quasi una famiglia su due rischia di non poter iscrivere il bimbo e di dover ripiegare sulle strutture private. Stessa situazione a Parma, dove gli esclusi hanno già toccato quota 1.000, e in Alto Adige dove il problema riguarda il 19% delle iscrizioni.Infine, ci sono l'università e la ricerca, che in Italia soffrono sempre più. Per le baronie intoccabili, l'assenza di investimenti e l'emorragia di cervelli. «Nel corso degli ultimi anni il nostro Paese si è contraddistinto a livello europeo per una continua riduzione degli investimenti nel comparto del nostro sistema universitario e di ricerca», recita il contratto firmato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio. «È pertanto urgente e necessario assicurare un'inversione di marcia. È prioritario incrementare le risorse destinate all'università e agli enti di ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento». Di qui una serie di promesse: «È necessario avere una classe docente all'altezza delle aspettative, eticamente ineccepibile. Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti». Senza tralasciare il diritto allo studio per «incrementare la percentuale di laureati nel nostro Paese, oggi tra le più basse d'Europa». Proprio per questo il nuovo governo intende ampliare «la platea di studenti beneficiari dell'esenzione totale dal pagamento delle tasse di iscrizione all'università, la cosiddetta no-tax area». 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In quello storico testo, si faceva presente che: «La Repubblica Italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». Spesso si parla del valore e dell'importanza delle radici culturali, dell'identità e perfino del recupero della tradizione, e se ne parla ormai non solo a destra. Pochi però capiscono che le radici, pur antiche e consolidate, vanno annaffiate e trasmesse, e gli insegnanti di religione, con tanti limiti, si sforzano di fare proprio questo. Molti intellettuali, come Umberto Eco o Massimo Cacciari, hanno lamentato a volte l'ignoranza dei giovani e non solo, su ciò che concerne la Bibbia, l'arte cristiana e la storia del cristianesimo d'Occidente. Se un minimo di conoscenze restano diffuse nel nostro popolo lo si deve, almeno in parte, ai valorosi docenti di religione che propongono e non impongono un bagaglio autorevole e arricchente per tutti, stranieri inclusi. Recentemente, però, una delegazione di amministratori locali del Comune di Firenze ha depositato in Cassazione una domanda per inserire una disciplina di educazione alla cittadinanza, all'interno del già sovraccarico monte ore previsto per le discipline curricolari. Un rappresentante dell'Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar), Roberto Grandene, si è servito della proposta per ribadire la loro peraltro mai celata volontà di scristianizzare l'Italia. Ha infatti dichiarato: «Cogliamo l'occasione per rilanciare l'idea di spostare l'insegnamento della religione cattolica (Irc) in orario extrascolastico, così da creare lo spazio necessario all'introduzione delle ore di educazione alla cittadinanza, mirante a diffondere la conoscenza del principio di eguaglianza con le sue declinazioni più urgenti quali quella del contrasto alla disparità di genere e di etnia, di religione». Pochi sanno che esiste anche un sindacato specifico per la tutela degli insegnanti di religione, lo Snadir. Fondato nel 1993, apolitico e apartitico, conta quasi 9.000 iscritti, diffusi in tutta Italia, con un'ottima proporzione dunque dell'insieme dei docenti di religione. Recentemente sul loro sito Internet esprimevano plauso per la scelta di Marco Bussetti quale ministro dell'Istruzione nel nuovo governo Conte. Dal 2003, grazie all'impegno dell'allora ministro Letizia Moratti, non si è più avuto un concorso nazionale per gli insegnanti di religione (che in teoria vista la normativa dovrebbe ripetersi ogni tre anni), e i sindacalisti dello Snadir si sono fatti sentire più volte, anche attraverso colloqui informali con l'ex ministro Valeria Fedeli. Ora, secondo i dirigenti sindacali Orazio Ruscica e Claudio Giudobaldi, i tempi sono più che maturi per un nuovo concorso e la messa in ruolo definitiva di troppo docenti che da anni attendono invano di uscire dal precariato. Sarebbe un'occasione per sanare le pendenze e dare speranza a migliaia di giovani insegnanti che vivono la vita a scuola come una missione educativa.Fabrizio Cannone
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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